Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21236 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Sulmona il 10/10/1962
avverso la sentenza del 15/10/2024 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e per la prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 27 febbraio 2024 che aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, con la confisca per equivalente dell’importo di euro 24.974,13 pari al profitto del reato.
All’imputato si contesta quale socio unico dal 28 ottobre 2016 e qua liquidatore dal 29 dicembre 2016 della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fal 7 aprile 2017, di avere conseguito una indebita compensazione per l’importo d euro 24.974,13 mediante la falsa denuncia (DM10) relativa al mese di marzo 2017 nella quale si attestava falsamente la corresponsione al dipendente NOME
COGNOME della liquidazione del fondo di tesoreria, anticipata dal datore di lavoro ma a carico dell’INPS, a conguaglio degli importi dovuti all’INPS per altre causali.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 161 cod. pen. per la mancata dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Si osserva che essendosi il reato consumato in data 20 aprile 2017 il termine di prescrizione di anni sette e mesi sei era già decorso prima del deposito della motivazione della sentenza di appello, intervenuta in data 29 novembre 2024, tenuto conto che i mesi di gennaio, marzo, maggio, luglio e agosto hanno 31 giorni.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 187 cod. proc. pen. in tema di onere della prova, che pone a carico dall’accusa di provare gli elementi costitutivi del reato oltre ogni ragionevole dubbio.
La Corte di appello ha invertito l’onere della prova facendo ricadere sulla difesa la mancata prova di quanto affermato dall’imputato circa la propria estraneità ai fatti.
In particolare l’imputato ha attribuito ad altri la responsabilità di quello che ha definito un “grossolano errore”, e precisamente al consulente contabile della società in bonis, o in via alternativa, al curatore fallimentare ed al suo consulente, che in ogni caso avrebbero dovuto rilevarlo prima dell’inoltro della dichiarazione all’INPS avvenuta dopo la dichiarazione del fallimento.
2.3. Con il terzo motivo denuncia l’erronea determinazione del soggetto beneficiario dell’indebita compensazione.
Si censura la motivazione della sentenza impugnata che, valorizzando l’interesse rispetto al vantaggio che da tale falsa attestazione è derivato, non ha tenuto conto che la società era in stato di fallimento e che di tale conguaglio indebito se ne poteva avvantaggiare solo la procedura fallimentare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo e terzo motivo di ricorso sono fondati e comportano l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni penali di condanna, dovendosi dichiarare l’estinzione del reato per decorrenza del termine di prescrizione, maturato il giorno 20 ottobre 2024, dopo la pronuncia della sentenza di appello.
La disposta confisca comporta che, nonostante la sopravvenuta prescrizione del reato, l’accertamento della responsabilità debba essere oggetto di un nuovo
giudizio, in applicazione della norma prevista dall’art. 578-bis cod. proc. pen. che prevede che quando la prescrizione sia maturata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, il giudizio di impugnazione prosegua ai soli effetti della decisione sulla confisca.
Con riguardo al primo motivo dedotto in merito alla decorrenza del termine di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello, se ne deve rilevare la manifesta infondatezza essendo del tutto irrilevante nel computo del termine di prescrizione il numero dei giorni da cui è composto ciascuno dei mesi dell’anno.
La regola generale sul computo dei termini dettata dall’art. 172 cod. proc. pen. prevede che i termini sono stabiliti in anni, mesi, giorni o ore, sicchè quando il termine è stabilito in anni e mesi non si tiene conto del numero dei giorni che compongono ciascuno dei mesi che vengono in considerazione.
Inoltre, è erroneo anche il riferimento alla data del deposito della motivazione quale momento interruttivo della prescrizione che l’art. 160 cod. pen. ricollega alla data di pronuncia della sentenza che coincide con la lettura del dispositivo che esplicita la volontà punitiva dello Stato (Sez. 5, n. 46231 del 04/11/2003, COGNOME, Rv. 227575).
Pertanto, tenuto conto del tempo di consumazione del reato coincidente con il giorno di presentazione della denuncia contributiva all’INPS del 20 aprile 2017 recante la falsa attestazione della corresponsione del trattamento di fine rapporto al dipendente NOME COGNOME il termine di prescrizione di anni sei, a seguito della interruzione dovuta alla pronuncia della sentenza di primo grado emessa in data 27 aprile 2024, non era ancora decorso, e, neppure risulta decorso il termine massimo di anni sette e mesi sei, così prolungato ex art. 161, comma secondo, cod. pen., per effetto dell’interruzione alla data del 15 ottobre 2024 di pronuncia della sentenza di appello.
Sebbene di pochi giorni, infatti, sia la sentenza di primo grado che la sentenza di appello sono state pronunciate prima del decorso del termine di prescrizione ordinario, che sarebbe maturato il 20 aprile 2024, e sia di quello massimo che è, invece, scaduto il 20 ottobre 2024, quindi cinque giorni dopo la data di emissione della sentenza.
I motivi che investono l’accertamento della responsabilità, che devono essere comunque valutati ai soli effetti della confisca per effetto della intervenuta prescrizione, sono fondati.
La tesi difensiva, secondo cui la compensazione indebita non sarebbe imputabile all’imputato ma alla curatela fallimentare perché la denuncia attestante la liquidazione del TFR è stata inoltrata all’INPS il 20 aprile 2017 dopo il subentro
del curatore a seguito del fallimento della società, è stata respinta dalle sentenze di primo e secondo grado con una motivazione superficiale e lacunosa.
La sentenza impugnata dà conto che l’imputato ha ammesso che l’errore è stato determinato verosimilmente dal consulente della propria società che si occupava della compilazione delle buste paga dei lavoratori, essendo relativo ad una denuncia contributiva predisposta il mese prima della dichiarazione di fallimento ma presentata dalla curatela fallimentare, che avrebbe – secondo l’assunto difensivo – dovuto rispondere dell’errore per non avere verificato la correttezza di quanto attestato.
Pur prendendosi atto dell’incerta ricostruzione della vicenda, sia la sentenza di primo grado (cfr. pag. 5: “Non si intende qui affermare che il Di COGNOME si è certamente macchiato di tale condotta, ma soltanto evidenziare che egli a differenza di chiunque altro poteva avere uno specifico interesse a commettere il reato per cui si procede”), come anche la sentenza di appello (cfr. pag. 7: “…l’unico soggetto che poteva avere un interesse alla falsa attestazione … era l’imputato quale liquidatore e titolare dell’intero capitale sociale della società), hanno ritenuto che fosse onere della difesa provare attraverso la testimonianza del consulente del lavoro della società (dott. COGNOME chi fosse stato il responsabile di tale indebita compensazione, e che, non essendo stata richiesta né sollecitata questa prova, poteva desumersi da tale scelta processuale un’ulteriore elemento di prova a carico dell’imputato.
In tal modo è stato attribuito valore di prova certa ad una valutazione indiziaria, in cui l’unico elemento indiziario a carico dell’imputato viene a coincidere con il movente, ovvero con la individuazione del responsabile in base al criterio dell’interesse, applicando una doppia presunzione attraverso la regola del “cui prodest” che contrasta con quella della certezza dell’indizio, la quale è espressione del requisito della precisione, normativamente previsto dall’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.
La valutazione della prova ai fini dell’affermazione di responsabilità può essere fondata sugli indizi, e quindi sulla prova indiretta del fatto ignoto attraverso la certezza di altro fatto noto, ma il fatto ignoto non può essere assunto come riscontro dello stesso ragionamento probatorio, risolvendosi ciò in una doppia presunzione (la cd. “praesumptio de praesumpto”) che contrasta con la regola della certezza dell’indizio.
In altri termini, pur volendosi ritenere certo che vi fosse un solo soggetto che avesse un interesse alla condotta di reato, inteso come conseguimento del vantaggio economico a operare la indebita compensazione di un credito inesistente della società in bonis con i debiti contributivi verso l’INPS, tuttavia, trattandosi di una operazione che si assume eseguita da altro soggetto (il consulente del lavoro
della società stessa), non può desumersi dalla mancata richiesta di esame di tale soggetto, che peraltro avrebbe assunto la veste di indagato principale del reato, la prova indiretta della responsabilità del soggetto interessato, trattandosi di una lacuna probatoria che inficia la dimostrazione della ipotesi accusatoria.
Tale argomento di prova risulta fallace anche perché parte dalla presunzione che il solo imputato potesse avere interesse alla indebita compensazione, senza considerare che l’intervenuto fallimento, con il subentro della curatela ed il conseguente spossessamento dei beni in capo al fallito, incrina una tale affermazione, potendo esservi altri interessi convergenti da parte di altri soggetti, atteso che con la procedura fallimentare vi sono i creditori che hanno interesse a ridurre la massa del passivo fallimentare per assicurarsi la maggiore soddisfazione dei propri crediti attraverso la ripartizione del ricavato dalla vendita dei beni.
Ma è soprattutto carente la pluralità degli indizi su cui si deve poggiare il ragionamento probatorio, non potendosi considerare un indizio la mancata assunzione di una prova che poteva essere decisiva per ricostruire la intera vicenda.
Si deve ricordare che la circostanza fattuale che può assumersi come indizio deve essere certa, essendo la certezza dell’indizio un suo requisito indefettibile, che postula la verifica processuale della reale sussistenza dell’elemento al quale si intende attribuire efficacia indiziante del diverso fatto ignoto da provare, non essendo consentito fondare la prova critica, di natura indiretta, del fatto pregiudizievole per l’imputato – che deve essere dimostrato, su di una circostanza soltanto verosimile, o di cui sia meramente supposta l’esistenza, che si risolverebbe nel minare la base stessa del ragionamento inferenziale e si porrebbe in radicale contrasto con la regola codificata per cui la responsabilità dell’imputato deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Infine, va ricordato che questa Corte di cassazione ha già più volte affermato che il giudizio di colpevolezza non possa essere basato sul solo criterio del “cui prodest”, essendo necessario che tale indizio sia supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante (vedi Sez. 3, n. 15755 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279271; Sez. 3, n.26527 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286792 e giurisprudenza ivi richiamata).
In conclusione, per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ai soli effetti della confisca ex art. 578-bis cod. proc. pen., dovendosi annullare senza rinvio le altre statuizioni di condanna per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione; visto l’art. 578-bis cod. proc. pen., annulla la medesima
sentenza limitatamente alla confisca e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso il giorno 15 aprile 2025
e estensore