Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23398 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23398 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Salerno il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 29-05-2023 del Tribunale di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata; udito l’avvocato NOME AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di fiducia dell’indagato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 maggio 2023, il Tribunale del riesame di Bologna rigettava l’appello cautelare reale proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 20 aprile 2023, con cui il G.I.P. del Tribunale di Bologna aveva rigettato l’istanza di revoca parziale del sequestro preventivo disposto con decreto del 25 novembre 2022 in via diretta nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e, per equivalente, nei confronti di COGNOME quale amministratore di dirit oltre che nei confronti dei due amministratori di fatto, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in relazione al profitto, quantificato in 1.204.594,23 euro, del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo 60).
Avverso l’ordinanza del Tribunale felsineo, COGNOME ha proposto, tramite il suo difensore di fiducia, ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, in relazione agli art. 17, comma 1, del d. Igs. n. 241 del 1997 e 2 quater del decreto legge n. 11 del 2023, convertito dalla legge n. 38 del 2023, evidenziando che la richiesta di revoca parziale del sequestro si fondava sulla intervenuta riduzione del debito tributario della società, che aveva riversato l’intero importo dovuto all’Inps, essendo stata richiamata al riguardo la decisione del G.I.P. del Tribunale di Avellino del 13 aprile 2023 che, in un parallelo procedimento penale avente ad oggetto le medesime contestazioni, anche se per importi differenti, aveva disposto la restituzione di quanto in sequestro.
Ciò premesso, la diversa decisione dei giudici cautelari di questo procedimento è stata censurata dalla difesa, in base al rilievo secondo cui la definizione del debito con l’Inps deve ritenersi pienamente legittima, tanto più alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 2 quater del decreto legge n. 11 del 2023, convertito dalla legge n. 38 del 2023, secondo cui l’art. 17, comma 1, del d. Igs. n. 241 del 1997 si interpreta nel senso che la compensazione ivi prevista può avvenire, nel rispetto delle previsioni vigenti, anche tra debiti crediti, compresi quelli di cui all’art. 121 del decreto legge n. 34 del 202 convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2020, nei confronti di enti impositori diversi, con conseguente operatività della cd. compensazione orizzontale; né sarebbe pertinente l’orientamento richiamato dal Tribunale del riesame, riguardante l’asserita invocabilità della causa di non punibilità di cu all’art. 13 del d. Igs. n. 74 del 2000, che la difesa peraltro non aveva richiesto.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la nullità dell’ordinanza di rigetto del G.I.P. dell’istanza di dissequestro per la mancata allegazione dell’informativa della Guardia di RAGIONE_SOCIALE che raccoglieva l’esito degli accertamenti disposti dai P.M. al fine di accertare quanto indicato nell’istanza difensiva: si contesta altresì l’apparenza della motivazione del Tribunale rispetto all’eccezione difensiva, non
essendosi tenuto conto che, alla data dell’impugnazione cautelare, non era stata ancora disposta la discovery degli atti del fascicolo delle indagini e che al provvedimento di rigetto del G.I.P. non era allegato né il parere del P.M. né la nota della Guardia di RAGIONE_SOCIALE, avendo ciò leso il diritto di difesa dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Iniziando per ragioni di priorità logica dal secondo motivo, occorre evidenziare che l’impugnazione non si confronta adeguatamente con le pertinenti considerazioni del Tribunale che, nel respingere l’eccezione riguardante la mancata allegazione al provvedimento del G.I.P. dell’informativa della Guardia RAGIONE_SOCIALE, ha osservato che, nella motivazione dell’ordinanza appellata, il G.I.P., ha proceduto a sintetizzare il contenuto della predetta informativa per poi svolgere le proprie valutazioni in merito agli elementi dalla stessa emergenti; dunque, non si era in presenza di una vera e propria motivazione per relationem, essendo evincibili dal corpo dell’ordinanza i dati su cui il G.I.P. ha fondato l proprie argomentazioni, dati del resto ricavati da un atto di indagine depositato dal P.M. che lo aveva trasmesso al G.I.P. in allegato al parere negativo sull’istanza difensiva finalizzata al dissequestro parziale ex art. 321, comma 3, cod. proc. pen., per cui alcuna violazione del diritto di difesa era ravvisabile tanto più in una fase in cui non era previsto un contraddittorio anticipato.
Tale impostazione appare immune da censure, desumendosi dalla lettura del provvedimento del G.I.P., consentita in ragione del tenore dell’eccezione sollevata, che il giudice non solo ha sintetizzato, in quattro punti, i dati sali desunti dall’informativa volta ad approfondire i temi sviluppati nell’istanza difensiva di dissequestro, ma ha compiuto rispetto ad essi considerazioni critiche alle quali la difesa ha potuto adeguatamente replicare con l’appello cautelare, il che a maggior ragione consente di escludere pregiudizi in danno della difesa.
Di qui la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al primo motivo.
Ed invero, nel condividere i rilievi del primo giudice, il Tribunale ha rimarcato che il sequestro per cui si procede è stato disposto ed eseguito nei confronti di COGNOME ai fini della confisca per equivalente del profitto del reato di indebi compensazione contestato al capo 60, dal che discende che la riduzione dell’importo sequestrato può trovare fondamento solo nella prova dell’effettiva riduzione del quantum del debito indebitamente compensato costituente il profitto oggetto della provvisoria imputazione, evenienza questa non verificatasi nel caso di specie, atteso che, come evidenziato dal G.I.P., i contributi oggetto di rateizzazione sono gli stessi che la società amministrata dall’imputato aveva
compensato mediante utilizzo dei crediti Iva ritenuti inesistenti, essendo emerso altresì che i pagamenti effettuati nell’ambito dei piani di rateizzazione erano stati eseguiti usufruendo di un’ulteriore compensazione con l’utilizzo di crediti di imposta e contributivi riferiti agli anni 2019, 2020 e 2021, da ciò desumendosi che il piano di rateizzazione era stato sin qui onorato attraverso ulterior compensazioni senza utilizzo di liquidità e senza la possibilità di verificare, all stato, l’effettività e la legittimità dei crediti di imposta impiegati compensazione, non avendo peraltro la società depositato alcun bilancio di esercizio successivo al 31 dicembre 2020 per il periodo di imposta 2021, né tantomeno presentato la dichiarazione NUMERO_DOCUMENTO necessaria a verificare i crediti, almeno quelli relativi all’anno 2021, utilizzati per la compensazione. A tal rilievi il Tribunale del riesame ha aggiunto l’ulteriore dato che l’asseverazione del 2 marzo 2023 prodotta dalla difesa attiene ai soli debiti compensati, in ordine ai quali non vi è dubbio che sono gli stessi di cui al capo 60 dell’imputazione provvisoria, non avendo la difesa fornito, come era suo onere, documentazione alcuna in ordine ai crediti utilizzati per tale compensazione, crediti neppure specificamente indicati, fermo restando che la predetta asseverazione reca la firma di NOME COGNOME, ossia di colui che è subentrato ad COGNOME nella carica di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE, essendovi dunque coincidenza tra professionista asseverante e legale rappresentante della società asseverata.
2.1. Orbene i rilievi dei giudici cautelari risultano corretti, dovendosi rileva che ad essere censurato non è stato tanto il ricorso alla compensazione orizzontale in sé, ma piuttosto il modo in cui è avvenuta ed è stata documentata la compensazione in esame, posto che, alla stregua delle allegazioni fornite, non vi è alcuna certezza che si sia verificata l’effettiva riduzione dell’ammontare del profitto del reato, non essendovi adeguata chiarezza circa i crediti portati in compensazione, non essendo peraltro affatto secondaria, in un’ottica non solo formale ma anche sostanziale, la sottolineatura della coincidenza legale rappresentante della società asseverata e professionista asseverante. à
Del resto, proprio perché si tratta di uno dei modi di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, occorre che la compensazione presenti le necessarie garanzie di effettività degli elementi strutturali dell’operazione, tra cui rientr primo luogo la legittimità dei crediti utilizzati per compensare i debiti, aspett questo che non è stato adeguatamente comprovato nella vicenda in esame.
Ne consegue che non vi è spazio per l’accoglimento delle doglianze difensive, che invero ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
Resta solo da precisare che la differente determinazione assunta dal P.M. di Avellino con il decreto di restituzione del 13 aprile 2023 non appare dirimente in questa sede, sia perché non sono note le acquisizioni documentali sottese a quella decisione, sia e soprattutto perché si tratta di un provvedimento reso, peraltro in materia cautelare reale, in altro procedimento penale pendente presso una diversa Autorità giudiziaria, senza alcun riflesso dunque in questo giudizio, a nulla rilevando l’identità soggettiva dell’indagato.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/02/2024