Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30098 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30098 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME MarioCOGNOME nato a San Benedetto del Tronto il 6/6/1950
avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio limitatamente all’aumento di pena per la continuazione e il rigetto nel resto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 novembre 2024 la Corte d’appello di Ancona, provvedendo sulle impugnazioni proposte dal Procuratore Generale presso tale Corte d’appello e da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 25 marzo 2022 del Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione in relazione al delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere effettuato, nel corso dell’anno 2018, indebite compensazioni indicando crediti d’imposta non spettanti, in quanto derivanti da un accollo del debito da parte della RAGIONE_SOCIALE per un ammontare complessivo annuo di euro 67.097,00; in Ascoli Piceno il 10 giugno 2018 e il 25 luglio 2018), in accoglimento della impugnazione del Procuratore Generale ha applicato all’imputato le pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 e ha disposto la confisca, in via diretta e per equivalente, del profitto di tale reato, pari a euro 67.097,00, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, a causa dell’omessa considerazione della buona fede del ricorrente, sia per il carattere non vincolante della circolare della Agenzia delle Entrate n. 140/E del 15/11/2017, che qualifica l’accollo del debito tributario come atto elusivo, sia per l’improprietà del richiamo da parte della Corte d’appello alla I. n. 124 del 2019, in quanto successiva alle condotte contestate, con la conseguente insufficienza della motivazione nella parte relativa alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascritto al ricorrente.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato la errata applicazione dell’art. 42, primo comma, cod. pen., con riferimento alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestatogli, giacché tale affermazione era stata fondata dai giudici di merito su quanto esposto nella suddetta circolare della Agenzia delle Entrate in ordine alla illegittimità della compensazione mediante accollo, benché priva di efficacia vincolante.
2.3. Infine, con un terzo motivo, ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. a causa della indebita esclusione della applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista da tale disposizione, stante l’assenza di premeditazione e la buona fede del ricorrente, alla luce dell’incertezza normativa esistente all’epoca in materia di compensazione mediante accollo.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando l’annullamento senza rinvio limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, pari a dieci giorni dieci di reclusione, e il rigetto nel resto del ricorso, sottolineando l’infondatezz dei rilievi sollevati con il primo e il secondo motivo a proposito della liceità dell compensazione mediante accollo e alla buona fede del ricorrente e l’inconcludenza degli argomenti posti a fondamento della richiesta di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.
Ha, però, evidenziato l’erroneità della applicazione di un aumento di pena per la continuazione, trattandosi di condotte commesse nel medesimo anno d’imposta, e ha pertanto chiesto eliminarsi il relativo aumento di pena, trattandosi di una ipotesi di pena illegale.
Con memoria del 24 giugno 2025 il ricorrente, nel replicare alle richieste del Procuratore Generale, ha ribadito la fondatezza di tutti i motivi del proprio ricorso, sulla base dei medesimi argomenti già esposti nel ricorso stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro pressoché riproduttivo dell’atto d’appello dell’imputato, nella parte relativa alla affermazione di responsabilità e alla punibilità dell condotta, adeguatamente considerato e disatteso con argomenti corretti da parte della Corte d’appello, è manifestamente infondato, ma va egualmente rilevata l’erroneità dell’applicazione dell’aumento di pena per la continuazione, stante l’insussistenza del fatto in relazione al quale esso è stato disposto.
Giova premettere, per la miglior comprensione della vicenda e l’adeguato apprezzamento delle censure sollevate dal ricorrente con il primo e il secondo motivo di ricorso, che, secondo quanto risulta dalle concordi sentenze di merito, dai controlli eseguiti dall’Agenzia delle Entrate è emerso che il ricorrente, quale titolare dell’impresa individuale denominata RAGIONE_SOCIALE COGNOME Mario, il 14 giugno 2018 aveva concluso un contratto di accollo con la RAGIONE_SOCIALE in forza del quale quest’ultima aveva assunto a proprio carico i debiti di imposta e contributivi di COGNOME maturati e maturandi fino al 31 dicembre 2018. Sulla base di tale contratto erano state effettuate, in due occasioni, il 18 giugno 2018 e il 25 luglio 2018, compensazioni d’imposta a favore di De COGNOME, utilizzando crediti d’imposta della RAGIONE_SOCIALE Tali compensazioni sono state ritenute indebite in quanto operate avvalendosi di crediti spettanti a un soggetto diverso da COGNOME, debitore d’imposta in favore e nell’interesse del quale sono state eseguite.
A tale conclusione i giudici di merito sono pervenuti non sulla base di quanto ora espressamente stabilito dall’art. 1 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili, convertito con modificazioni dalla I. 19 dicembre 2019, n. 157 (secondo cui “chiunque, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, si accolli il debito d’imposta altrui, procede al relativo pagamento secondo le modalità previste dalle diverse disposizioni normative vigenti. Per il pagamento, in ogni caso, è escluso l’utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante. I versamenti in violazione del comma 2 si considerano come non avvenuti a tutti gli effetti di legge. In tale eventualità, ferme restando le ulteriori conseguenze previste dalle disposizioni normative vigenti, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”), bensì della pacifica preclusione alla compensazione di debiti tributari mediante crediti di un accollante, che è stata ribadita nella risoluzione della Agenzia delle Entrate n. 140/E del 15 novembre 2017, ma era incontroversa nella giurisprudenza di legittimità, sia tributaria sia penale, anche anteriormente alla esecuzione delle compensazioni oggetto della contestazione.
Tale esclusione si fonda sul pacifico principio secondo cui la compensazione tributaria può essere eseguita solo per i debiti (e i contrapposti crediti) esistenti tra i medesimi soggetti e non anche tra soggetti diversi, in quanto il requisito della reciprocità dei rapporti non ricorre quando quelli su cui si fondano i crediti contrapposti riguardano soggetti diversi (come avviene quando un soggetto voglia estinguere l’obbligazione nei confronti del proprio debitore avvalendosi di un credito che verso quest’ultimo è vantato da un terzo).
3. Si tratta di conclusioni pienamente corrette, in quanto il disposto dell’art. 8, comma 1, I. 27 luglio, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), secondo cui “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”, non consente il superamento dei requisiti strutturali della compensazione tributaria e neppure un’estensione di essa al di fuori dei limiti nei quali essa è esplicitamente regolata, non essendovi alcun collegamento, come invece sostenuto dal ricorrente, tra la citata disposizione del primo comma e quella del secondo comma che, senza alcun riferimento alla compensazione, stabilisce “è ammesso l’accollo del debito di imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”.
Vige in materia, del resto, un principio di stretta interpretazione, richi dallo stesso art. 8, comma 8, della medesima disposizione, e affermato dal giurisprudenza tributaria, in particolare dalla sentenza n. 14588 del 2001 d Sezione tributaria, nella quale è stato chiarito che “In tema di I.V.A., l’a regolamentazione, nella normativa vigente, dell’adempimento del contribuente, con la fissazione dell’ammontare, delle modalità e del tempo del versamento,
delle poste detraibili, esprime l’esercizio da parte della legge speciale della facoltà di derogare alle comuni disposizioni codicistiche sull’estinzione per compensazione. Pertanto, siffatta compensazione del credito impositivo con la contrapposta posizione creditoria del “solvens”, con riguardo a credito di rimborso determinatosi in periodi successivi a quello relativo al credito di imposta, non è ammessa in quanto non esplicitamente regolata. Né tale conclusione appare inficiata dalla circostanza che l’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”) recepisce, con riguardo all’obbligazione di imposta, i generali canoni del codice civile sulla estinzione per compensazione, in quanto la stessa norma prende atto dell’applicabilità del relativo istituto, alla stregua della normativa tributaria in vigore, solo nei ca specificamente contemplati, rinviando gli effetti dell’innovazione a decorrere dall’anno di imposta 2002, previa emanazione di apposita disciplina di attuazione” (Cass. Civ., Sez. 5, n. 14588 del 20/11/2001, Rv. 550398 – 01).
La medesima giurisprudenza tributaria ha, tra l’altro, escluso la portata innovativa del citato art. 1 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla I. 19 dicembre 2019, n. 157, spiegando che “in caso di accollo negoziale per l’assolvimento del debito di imposta, l’utilizzo in compensazione di un maggior credito dell’accollante era precluso all’accollato anche prima dell’introduzione dell’espressa previsione di cui all’art. 1, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, conv. con nnodif., dalla I. n. 157 del 2019, atteso che tale possibilità, di per sé di carattere eccezionale, non era prevista da alcuna disposizione di legge e difettava, in ogni caso, dei presupposti della compensazione di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, per non afferire i debiti e crediti al medesimo soggetto” (Cass. Civ., Sez. 5, Ordinanza n. 23934 del 05/09/2024, Rv. 672133 – 01; v. anche, nel medesimo senso, Cass. Civ., Sez. 5, Ordinanza n. 9353 del 08/04/2024, Rv. 670804 – 01).
D’altra parte, anche la giurisprudenza penale, di questa stessa Terza Sezione, anteriormente alla realizzazione delle condotte contestate, aveva affermato che “in tema di reati tributari, integra il delitto di indebita compensazione di cui all’a 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito di accolto fiscale compiuto attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto l’art. 17 del d.lgs 9 luglio 1997 n. 241 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti del rapporto d’imposta» (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018, Addonizio, Rv. 272712 – 01), ribadendo la preclusione alla compensazione tributaria mediante crediti di un terzo, accollante.
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Ne consegue l’evidente infondatezza della prospettazione della liceità della compensazione tributaria effettuata avvalendosi di crediti dell’accollante e anche della possibile sussistenza di dubbi interpretativi al riguardo, in quanto il quadro normativo, giurisprudenziale e interpretativo-amministrativo escludeva ed esclude che, all’epoca dei fatti, potesse giustificarsi un serio dubbio sulla ricomprensione della condotta incriminata nel precetto dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 e che fosse consentita la proposta lettura dell’art. 8 dello Statuto del contribuente.
Il richiamo critico alla suddetta circolare della Agenzia delle Entrate contenuto nel contratto di accollo dimostra, invece, che il contenuto del precetto era non soltanto conoscibile ma ben conosciuto dal ricorrente, benché non condiviso, con la conseguente evidente insussistenza delle condizioni per poter ravvisare un errore di diritto inevitabile ai sensi dell’art. 5 cod. pen., come interpretato dal Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988, che non tende a tutelare il “dissenso” rispetto a una certa interpretazione dei precetti.
Ciò esclude anche la prospettata mancanza del dolo, conseguente, nella prospettazione del ricorrente (sviluppata, in particolare, con il secondo motivo), alla pretesa incertezza del quadro normativo, posto che le obiettive condizioni di incertezza sulla portata o sull’ambito applicativo di una norma tributaria, rilevanti ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 74 del 2000, ricorrono solo nel caso in cui l’agent abbia potuto trarre il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa da un comportamento positivo degli organi amministrativi o dall’esistenza di un pacifico orientamento giurisprudenziale ovvero qualora abbia richiesto alle autorità competenti i chiarimenti necessari e si sia attivato tramite la consultazione di esperti giuridici, così adempiendo al dovere di informazione (Sez. 3, n. 37248 del 2024, Degni, Rv. 287052 – 03), evenienze nella specie chiaramente insussistenti.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso.
Il terzo motivo di ricorso, relativo al rigetto della richiesta di riconosciment della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello escluso la configurabilità di tale causa di esclusione della punibilità in considerazione del non modico superamento della soglia di rilevanza penale stabilita dall’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, pari a 50.000,00 euro annui, essendo pari a complessivi 67.097,00 euro l’ammontare dei crediti non spettanti utilizzanti in compensazione nell’anno 2018 dal ricorrente, così correttamente applicando il principio secondo cui in materia di reati tributari la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. è applicabile laddove il superamento della soglia di punibilità sia modestissimo, in ragione del fatto che il grado di offensività che fonda il reato è già stato valutato dal legislatore nell
determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 16599 del 20/02/202 COGNOME, Rv. 278946 – 01; Sez. 3, n. 15020 del 22/01/2019, Moiola, Rv. 275931 – 01; Sez. 3, n. 12906 del 13/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276546 – 01).
Si tratta di motivazione idonea, censurata in modo generico e con argomenti non pertinenti, fondati sulla sottolineatura della assenza di premeditazione, buona fede del ricorrente e sulla incertezza normativa esistente all’epoc materia di compensazione mediante accollo, che non incidono sulla gravità dell’offesa o sulla abitualità della condotta, con la conseguente manif infondatezza di tali censure, non essendo neppure state dedotte condot riparatorie successive alle condotte.
6. Osserva, poi, il Collegio che il trattamento sanzionatorio è stato determi considerando in modo distinto due condotte di indebita compensazione, pur se realizzate nel medesimo anno d’imposta, applicando un aumento di pena di 10 6 skte.”Jarocv giorni, omettendo di considerare che il reato diindebita eren~wsi perfeziona al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’ann interessato (Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279755 – 01; Sez. n. 4958 del 11/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274854 – 01) e integra un unic reato quando, come nel caso in esame, l’indebita compensazione, da parte de medesimo contribuente, riguardi il medesimo periodo d’imposta, assumendo rilievo il complessivo ammontare annuo delle poste attive portate compensazione e non la loro diversa titolarità (Sez. 3, n. 39478 del 25/06/20 COGNOME, Rv. 287108 – 04).
Ne consegue, pur non versandosi in una ipotesi di penata illegale, che i come è noto ricorre quando la stessa non corrisponde, per specie ovvero per quantità ( in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fatti incriminatrice, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio c delineato dal codice penale (così, in motivazione, da ultimo, Sez. U, n. 5352 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851 – 01, e Sez. U, n. 877 del 14/07/202 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01, nonché, già in precedenza, Sez. U, n 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01, e Sez. U, n. 33040 de 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264205 – 01), che va rilevata d’ufficio, ex art. 129 proc. pen., l’insussistenza della prima delle due condotte, in considerazione ricordata struttura della fattispecie, che ha carattere unitario e si consuma presentazione dell’ultimo modello F24.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvi limitatamente al reato in data 18/06/2018 perché il fatto non sussiste, elimin il corrispondente aumento di pena di 10 giorni di reclusione e rideterminando pena finale in mesi sette e giorni venti di reclusione.
0,1:
Il ricorso deve, nel resto, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza dei motivi ai quali è stato affidato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato in data
18/06/2018 perché il fatto non sussiste ed elimina il corrispondente aumento di pena rideterminando la pena finale in mesi sette e giorni venti di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 3/7/2025