Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36107 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36107 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a San Cataldo il 06-06-1988, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME nata a San Cataldo il 16-07-1976, COGNOME Richard, nato a Roma il 06-06-1992, COGNOME NOME, nata ad Avezzano il 08-10-1985, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata; udito l’avvocato NOME COGNOME sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dei ricorrenti RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e COGNOME NOME
NOMECOGNOME che ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziaria rispetto al reato associat riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzionale, mentre, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. riten configurabile non il contestato delitto di truffa aggravata, ma quello di indebit compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze delle verifiche fiscali eseguite in capo a imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., disponeva, in relazione al capo 8 della provvisoria imputazione, il sequestro preventivo diretto, fino alla concorrenza dell’importo di 105.645,11 euro, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilit della RAGIONE_SOCIALE; il sequestro preventivo diretto e per equivalente, fino a concorrenza dell’importo di 105.645,11 euro, di beni mobili e immobili, somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rappor bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE o, in via subordinata, in caso di incapienza parziale o totale dei b riconducibili alla società, il sequestro per equivalente, fino alla concorrenz dell’importo di 105.645,11 euro, di beni mobili e immobili, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti banca intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, NOME COGNOME, NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori hanno proposto ricorso per cassazione.
3.1. NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE tramite il loro comune difensore, avvocato NOMECOGNOME hanno sollevato sei motivi.
Con il primo, si contesta la valutazione indiziaria, evidenziandosi che è stato erroneamente individuato il concorso di persone di NOME COGNOME nel reato di false
compensazioni con le imprese committenti, mentre lo stesso doveva essere ritenuto persona offesa del reato di truffa, non potendo il concorrente ex art. 110 cod. pen. rivestire anche la contestuale veste di danneggiato principale del medesimo reato, dovendosi considerare che il ricorrente, dopo aver pagato il costo dell’appalto, è rimasto debitore dell’intero nei confronti dell’Inps, ciò in quanto decreto legge n. 25 del 2017, convertito dalla legge n. 49 del 2017, ha modificato l’art. 29 del d. Igs. n. 276 del 2003 in tema di appalto di lavoro, estendendo l’operatività della già esistente responsabilità solidale, eliminando la possibilità p il committente di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore o del subappaltatore, per cui, a seguito di tale modifica, lavorator ed enti possono liberamente scegliere di agire in giudizio direttamente nei confronti del committente, che spesso presenta maggiori garanzie di solvibilità rispetto al soggetto appaltatore, e di chiedere direttamente a lui il pagamento.
Con il secondo motivo, ci si duole del difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto alla circostanza che NOME COGNOME prima della conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, ha presentato querela nei confronti delle ditte appaltatrici che gli fornivano il personale, il che non si conc affatto con l’ipotesi di un accordo criminale con gli autori materiali del reat giustificando piuttosto la presentazione della querela, volta a fare luce sull’accaduto, una lettura alternativa dei fatti, con la quale il Tribunale avrebbe de tutto omesso di confrontarsi.
Con il terzo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 18, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, per avere il Tribunale individuato la competenza per territorio utilizzando il criterio sussidiario del luogo di accertamento del reato, anziché il luogo di commissione del reato, che, come si desume dallo stesso atto di appello del P.M., va individuato nel circondario del Tribunale di Torino, dove sono incardinati già quattro procedimenti penali, in ragione del fatto che nella città piemontese insiste la sede delle ditte appaltatrici ritenute autrici materiali d reato, che si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24.
Con il quarto motivo, oggetto di doglianza è la violazione degli art. 310 e 322 bis cod. proc. pen., per avere il Tribunale riqualificato il reato di truffa aggrava ai danni dello Stato nel reato di concorso in indebita compensazione, reato per il quale il capo di imputazione indica che la Procura sta procedendo separatamente. Si evidenzia al riguardo che il G.I.P. e il Tribunale hanno condiviso la medesima qualificazione giuridica contraria a quella richiesta della Procura, pervenendo tuttavia a esiti opposti sulla possibilità di procedere al sequestro; ciò, tuttav avrebbe imposto di considerare la rilevanza della pendenza degli altri procedimenti che lo stesso P.M. ammette essere pendenti presso altre Procure della Repubblica.
Con il quinto motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 322 bis cod. proc. pen., per avere il Tribunale riconosciuto il sequestro diretto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE senza tenere conto dei costi sostenuti e del profitto individuato dalla Guardi di Finanza; in particolare, il Tribunale avrebbe ordinato un sequestro per una cifra superiore al doppio del beneficio individuato dalla Guardia di Finanza, secondo cui il vantaggio economico per la RAGIONE_SOCIALE non era pari ai contributi previdenziali, ma era notevolmente inferiore, tanto che il risparmio annuo è stato quantificato in 51.981,72 euro, per cui, ferma restando la illegittimità del sequestro, quest’ultimo in subordine andava ridotto al predetto importo.
Con il sesto motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sul periculum in mora, rilevandosi che la RAGIONE_SOCIALE, dopo aver scoperto il meccanismo fraudolento volto a sottrarre le somme destinate al pagamento dei contributi, ha provveduto ad assumere i dipendenti, pagando gli stipendi e gli altri oneri. La valutazione del periculum in mora effettuata dal Tribunale non avrebbe tenuto poi conto dei due anni successivi di «totale fedeltà fiscale», della circostanza che l’impresa continua a operare sul territorio, e, soprattutto, della dissociazione avvenuta con la querela.
3.2. NOME COGNOME tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato un unico motivo, con cui la difesa ha dedotto la violazione del ne bis in idem cautelare, rilevandosi che, come era stato osservato dal G.I.P., in relazione a tutte le operazioni di compensazione per cui si procede, è stata già esercitata l’azione penale in altre sedi giudiziarie, non avendo il P.M. fornito alcun dato certo, in forz del quale possa escludersi una duplicazione del presente procedimento.
Il Tribunale del riesame, aderendo in maniera illogica alla prospettazione accusatoria, quanto alla posizione dell’odierno ricorrente, avrebbe omesso di considerare l’esistenza (prima presso la Procura della Repubblica di Roma e poi presso la Procura di Torino dove il fascicolo fu trasmesso per competenza) del procedimento penale R.G.N.R. n. 16240/2022 iscritto a carico di «COGNOME NOME + altri», evincendosi dai capi di incolpazione provvisoria che NOME COGNOME risulta essere stato legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dal 16 gennaio 2019 al 29 gennaio 2020 e dal 31 agosto 2020 alla data odierna, per cui tale circostanza indurrebbe a ritenere che tra i citati altri coindagati vi sia anche NOME COGNOME che è stato anch’egli legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.3. NOME COGNOME, tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa censura la valutazione del fumus commisi delicti, osservando che l’indagata ha rivestito il ruolo di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE società costituita nel 2017, dal 27 gennaio al 12 marzo 2020, ossia per soli 44 giorni, nei quali la ricorrente non ha compiuto alcuna operazione riconducibile alle contestazioni, non sottoscrivendo contratti di appalto e non compensando
debiti tributari, essendo proseguita la gestione amministrativa solo con l’elaborazione delle buste paga, delle fatture e con il pagamento degli stipendi.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., non avendo í giudici cautelari indicato le ragioni che avrebbero reso necessario anticipare l’effetto ablativo prima della definizione del giudizio i termini di periculum in mora, che deve essere attuale e concreto, e per aver fornito un’erronea interpretazione della nozione di profitto del reato, ritenendo soddisfatto solo in via presuntiva l’onere di accertare il profitto del reato concretamente riconducibile alla ricorrente, atteso che nessun rapporto diretto, di natura personale o economica, sarebbe emerso tra i coindagati, specie per NOME COGNOME che ha ricoperto per soli 44 giorni l’incarico di amministratrice della società.
3.3.1. Con memoria del 17 maggio 2024, il difensore della COGNOME COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso, richiamando sia le considerazioni del Procuratore generale, sia l’esito favorevole del procedimento n. 302 del 2024 definito da questa Sezione in data 12 aprile 2024, a seguito di ricorso della medesima indagata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato e assorbente il primo motivo del ricorso della Lo Russo, mentre gli altri ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.
1. Iniziando dal ricorso della COGNOME, deve premettersi che le censure difensive investono la sola posizione soggettiva della ricorrente e la sua responsabilità concorsuale, non anche la ricostruzione del più generale contesto in cui si inseriscono i fatti, riferiti a un articolato meccanismo fraudolento incentra sulla stipula di numerosi contratti di appalto di servizi che mascheravano illecite somministrazioni di personale. Tale espediente, al di là del suo rilievo penale ai sensi ex art. 38 bis del d. Igs. 81 del 2005 (titolo di reato non deducibile in sede cautelare, stante la natura contravvenzionale della relativa violazione), consentiva alle società committenti di evadere gli oneri contributivi e previdenziali e all società appaltatrici di opporre in compensazione crediti fittizi.
Ribadito che lo scenario complessivo della vicenda non è oggetto di doglianza, occorre evidenziare che, quanto alla posizione dell’indagata, il Tribunale del Riesame ha ripercorso le risultanze investigative da cui è emersa la natura fittizia dei crediti portati in compensazione, in quanto derivanti da fraudolente annotazioni nelle scritture contabili e dalla falsa annotazione di fatture emesse per operazioni inesistenti. Ciò posto, i giudici dell’impugnazione cautelare hanno osservato che, una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode, l’assunzione della gestione, anche solo da un punto di vista formale, delle società coinvolte (come, ad esempio, nel caso della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE) e, conseguentemente, della
supervisione delle operazioni illecite dalle stesse poste in essere implicava evidentemente la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, alla cui realizzazione era, del resto, finalizzata la previa assunzione del debito fiscale mediante fittizi contratti di appalto.
1.1. Orbene, il percorso argomentativo del Tribunale del Riesame non si sottrae alle censure difensive, non potendosi sottacere che nel provvedimento impugnato sono rimaste prive di risposta, integrando ciò un profilo di violazione di legge, le obiezioni difensive volte a rimarcare la circostanza, di per sé non proprio irrilevante, che la COGNOME è stata amministratrice della RAGIONE_SOCIALE solo nel breve periodo compreso tra il 27 gennaio e il 12 marzo 2020, non essendo stato chiarito se in questo circoscritto arco temporale siano stati stipulati contratti appalto o siano stati comunque portati in compensazione crediti fittizi. Tale accertamento avrebbe dovuto invece assumere carattere pregnante, non potendosi desumere, in via automatica e apodittica, il coinvolgimento nell’attività illecita dal mero status di legale rappresentante ricoperto in un periodo così limitato nell’ambito di una delle società inserite nel meccanismo fraudolento. In tal senso, non può non rimarcarsi che le date di utilizzazione dei falsi crediti i compensazioni non sono specificate, per cui non può affermarsi con ragionevole certezza che la COGNOME, sia pure indirettamente, abbia avuto un ruolo nella vicenda, come pure non è proprio irrilevante il dato che i contratti di appalto di cu si discute sembrano essere stati stipulati in epoca non coincidente con quella in cui in cui l’indagata ha ricoperto la carica di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE società che risulta attiva già dal 2017, ossia dal ben prima del 27 gennaio 2020, in cui ha avuto luogo l’assunzione della carica da parte della Lo Russo.
1.2. Alla luce di tali considerazioni, si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con conseguente rinvio al Tribunale del Riesame di Caltanissetta per nuovo giudizio, dovendosi approfondire in sede di merito, ai fini della valutazione sul fumus commisi delicti, se, al di là della formale assunzione della legale rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE nel breve periodo prima indicato (45 giorni), la ricorrente abbia compartecipato attivamente, sia pure in maniera indiretta, alla commissione delle condotte penalmente rilevanti, condotte di cui andranno conseguentemente chiarite le coordinate temporali, ciò al fine di stabilire un eventuale collegamento tra la veste dell’indagata e la commissione degli atti (stipula dei contratti di appalto, utilizzo in compensazione dei crediti fittizi o altr integranti, nelle loro diverse fasi, la progressione criminosa dei reati contestati. L’accoglimento delle censure in punto di fumus commissi dell’ai deve ritenersi assorbente rispetto alla valutazione delle doglianze sul periculum in mora.
2. Venendo alla posizione di COGNOME se ne deve rimarcare l’inammissibilità, posto che le censure sulla violazione del divieto di bis in idem, fondate sul rilievo
che i fatti oggetto di questo procedimento sono gli stessi che costituiscono oggetto del procedimento penale pendente a Torino, risultano manifestamente infondate. Sul punto deve rilevarsi che il divieto di bis in idem non derivante da giudicato, come afferma ripetutamente la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente (così Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800 – 01, nonché Sez. 6, n. 41380 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285354 – 01, e Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269422 – 01). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno precisato che: «il riferimento alle regole sui conflitti risulta indubbiamente corretto nei casi duplicazione del processo dinanzi a sedi giudiziarie diverse, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un “conflitto positivo proprio” risolubile mediante l’applicazione delle disposizioni degli art. 28 e segg. In simil casi, il criterio di risoluzione della litispendenza deve essere costitui dall’applicazione delle disposizioni del codice che regolano la competenza, che devono sempre prevalere sui parametri empirici della progressione o della maggiore ampiezza della regiudicanda, il cui impiego può considerarsi consentito a condizione che la concentrazione dei procedimenti si realizzi dinanzi al giudice “precostituito per legge” in base alle norme sulla competenza» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 3.2). Ed hanno aggiunto: «l’operatività del principio generale del ne bis in idem presuppone proprio la pluralità di procedimenti ed è subordinata alle sole condizioni della perfetta coincidenza della regiudicanda (stesso imputato e medesimo fatto), dell’identità dell’ufficio del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale e dell’identità dell’ufficio de giudice chiamato a pronunciare una decisione rispetto alla quale, avendo già provveduto sul medesimo oggetto, ha definitivamente esaurito il suo compito» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 5.2). Sembra utile rappresentare, inoltre, che, nel caso di procedimenti pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, l’applicazione del principio del ne bis in idem e non delle disposizioni sui conflitti positivi di competenza finirebbe per infrangere il complesso sistema procedurale apprestato dal legislatore per la salvaguardia degli ambiti di giurisdizione riconosciuti a ciascun giudice, sostituendolo arbitrariamente con quello della priorità della procedura (cfr. Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, cit.). In applicazione del principio precedentemente indicato, risulta evidente che, nel caso di specie, non è in alcun modo ipotizzabile l’applicazione del divieto di bis in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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idem, atteso che il procedimento asseritamente relativo ai medesimi fatti e nei confronti della stata persona è pendente in una sede giudiziaria, Torino, ben distinta da quella in cui è radicato il presente procedimento, Caltanissetta.
Per nessuno di essi, inoltre, si è pervenuti a una sentenza irrevocabile.
Di conseguenza, allo stato, in considerazione di quanto esposto in precedenza, il ricorrente, per contestare l’asserita indebita duplicazione dei procedimenti, è ammesso a fruire dei rimedi previsti per i conflitti di competenza, ma non può certo invocare una pronuncia di non luogo a procedere per violazione del principio del ne bis in idem. Di qui l’infondatezza manifesta della doglianza difensiva.
2.1. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Residuano i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE. Partendo per ragioni di priorità logica dal terzo motivo, deve osservarsi che il rigetto dell’eccezione di competenza per territorio non presenta vizi di legittimità deducibili in questa sede, avendo l’ordinanza impugnata (pag. 7) richiamato, in maniera pertinente, la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, Rv. 285747 – 02 e Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057), secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per territorio per il delitto di indebita compensazione, rileva i luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente nell’an interessato, mediante inoltro del modello F24 ovvero, se non è possibile la sua individuazione, il luogo di accertamento del reato ai sensi dell’art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen.
Ora, premesso che nel caso di specie non è emerso in maniera chiara il luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente, legittimamente giudici cautelari hanno fatto riferimento al luogo di accertamento del reato, individuato in Caltanissetta, dove la locale Procura della Repubblica ha provveduto a dirigere e a portare avanti le attività investigative, impostazione questa coerente con il principio elaborato da questa Corte (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260992), secondo cui il luogo dell’accertamento nei reati tributari va individuato nella sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta un’effettiva valutazione degli element
che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica. Ne consegue che la censura difensiva si palesa come manifestamente infondata.
3.2. Non meritevoli di accoglimento sono invece le doglianze in punto di fumus commisi delicti sollevate con il primo, il secondo e il quarto motivo, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
3.3. In via preliminare, occorre richiamare in proposito la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
3.4. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile, avuto riguardo alla posizione di NOME e NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione. In particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente legale rappresentante e amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società committente, abbiano concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, composto dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, nella qualità di appaltatore (capo 8) per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavoratori formalmente assunti dal consorzio, ma in realtà in servizio presso la “RAGIONE_SOCIALE“, ciò tra il 10 gennaio e il 31 dicembre 2020 (capo 8).
A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha richiamato gli accertamenti investigativi da cui è emersa l’esistenza di una fitta rete di enti variamente dislocati sul territorio nazionale che, assumendo la veste formale di soggetto appaltatore, simulavano contratti di appalto di servizi con i rappresentanti di alcune imprese committenti locali al fine di dissimulare una fraudolenta somministrazione di lavoratori dalla società appaltatrice a quella committente, di modo che le imprese
locali, gestendo il personale senza assumere la veste formale di datori di lavoro,
realizzavano un ingiusto arricchimento, omettendo di assolvere all’obbligo di versamento dei contributi all’Inps e delle imposte relative ai rapporti di lavoro, mentre le imprese appaltatrici, quali formali datori di lavoro, pur assumendo il debito fiscale, previdenziale e contributivo, eludevano l’effettivo versamento dei relativi importi, opponendo crediti fittizi all’Agenzia delle Entrate e all’Inps. I coindagati COGNOME e COGNOME, grazie alla intermediazione di NOME COGNOME e del consulente del lavoro NOME COGNOME sono entrati in particolare in contatto con NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente legale rappresentante e amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società committente, in ultimo beneficiaria delle compensazioni indebite direttamente realizzate dalle società appaltatrici. Nel calcolare la somma algebrica degli importi delle indebite compensazioni, i giudici cautelari hanno ritenuto superata la soglia di punibilità del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, per cui, in assenza di censure specifiche sul punto, la riqualificazione giuridica del fatto operata dal G.I.P. prima e dal Tribunale poi non può ritenersi lesiva delle prerogative difensive, e ciò anche in ragione della fluidità che spesso connota le imputazioni della fase cautelare.
Con riferimento alla posizione degli odierni ricorrenti, l’ordinanza impugnata ha sottolineato che in capo agli stessi era ravvisabile il dolo richiesto ai fini del configurabilità del reato, ciò in ragione del fatto che il meccanismo dell’opposizione al Fisco di crediti inesistenti rappresentava uno stratagemma essenziale per la riuscita della frode, atteso che chi agiva in nome e per conto della società committente non poteva accontentarsi del solo trasferimento ai coindagati che rappresentavano le società appaltatrici dei loro debiti fiscali, ma doveva pretendere necessariamente che questi ultimi provvedessero, sia pur fittiziamente, ad assolvere al pagamento del debito medesimo, non potendo quindi disinteressarsi delle modalità attraverso le quali ciò sarebbe accaduto, rientrando dunque evidentemente la compensazione del debito fiscale nell’accordo criminoso. In tal senso, è stato altresì ricordato il meccanismo della responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nel caso di appalto di servizi, per il trattamento retributivo per i contributi previdenziali e per i premi assicurativi dovuti dall’appaltatore e da eventuali subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di servizi, ed entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto, da ciò ricavandosi che l’impresa beneficiaria, perché potesse effettivamente liberarsi del debito tributario, non doveva limitarsi a trasferirlo sul terzo appaltatore, ma doveva assicurarsi che quest’ultimo riuscisse a simularne il pagamento, incorrendo in caso contrario nell’azione di recupero dello Stato, che avrebbe potuto agire anche nei confronti del soggetto committente.
3.5. Orbene, rimarcato il differente standard valutativo richiesto ai fini dell’adozione delle misure personali e di quelle reali, deve osservarsi che il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, in quanto fondato su una disamina non manifestamente illogica delle fonti investigative disponibili, non presta il fianco – alle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa circa i concreto ruolo assunto nella vicenda dai COGNOME ben potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che, per quanto in questa sede rileva, il provvedimento impugnato risulta sorretto da un corpus argomentativo non definibile come apparente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
3.6. Parimenti immune da censure è la valutazione sull’individuazione del profitto e sulla sussistenza del periculum in mora, valutazione rispettivamente contestata con il quinto e il sesto motivo, anch’essi suscettibili di esame unitario. Ed invero, correttamente i giudici cautelari hanno individuato l’importo da sequestrare in euro 105.645,11, somma corrispondente al risparmio di spesa conseguito in virtù del mancato pagamento dell’obbligazione tributaria derivante dall’indebita compensazione di cui al capo 8, avente ad oggetto il predetto importo. Tale impostazione è del resto coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 03), secondo cui, in tema di indebita compensazione di crediti di imposta, il profitto del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è costituito dall’importo corrispondente all’imposta evasa nella sua totalità, dovendosi a ciò aggiungere, da un lato, che risultano non specifiche le deduzioni difensive volte a sollecitare un computo differente dell’importo oggetto di cautela reale, e, dall’altro, che il Tribunale, nell’individuare l’ordine con cui procedere all’apprensione dei beni, ha altresì fatto buoni governo del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258647, Gubert), ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rv. 272238, Sez. 3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Rv. 271254 e Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, Rv. 262770), secondo cui, in tema di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale
della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
l’ordinanza impugnata, nel richiamare e
Quanto poi al periculum in mora,
nell’applicare correttamente i dettami delle Sezioni Unite di questa Corte (sen n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, ricorrente NOME) in ordine all’oner
motivare, in caso di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod.
pen. finalizzato alla confisca, le ragioni che rendono necessaria l’anticip dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giu
valorizzato, in modo non improprio, il concreto rischio che i legali rapprese delle società coinvolte nelle indebite compensazioni possano far disperder
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somme conseguite tramite manovre fraudolent4
rendendo così impraticabile una successiva confisca, dovendosi tenere conto in tal senso delle modalità elusiv
cui sono stati commessi i reati, peraltro in un ambito territoriale non circos
Anche in tal caso, invero, le doglianze difensive sostanzialmente evocano motivazionali del provvedimento impugnato che, come si è precisato, esulano da
perimetro del giudizio di legittimità in materia cautelare reale.
3.7. Alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell’in di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE devono e dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi d 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 g 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi sian presentati senza “versare in colpa nella determinazione della caus inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinat via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME Marta e rinvia per nuo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 324, com cod. proc. pen. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME Richard, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE che condanna al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso il 04.06.2024