Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16346 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16346 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Irsina il 17/01/1949 avverso la sentenza del 13/02/2024 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 2020 dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso pe l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 febbraio 2024 la Corte di appello di Bologna -in parzi riforma della sentenza con cui il Tribunale di Modena, in composizio monocratica, aveva dichiarato NOME responsabile del reato di cui all’ 10 quater d.lvo.74/2000 e, esclusa la contestata recidiva specifica, lo av condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento d
spese processuali ed alle pene accessorie previste dall’art. 12 del medesimo normativo, con confisca, ex artt. 10-quater e 12-bis, dei cespiti finanziari e dei beni nella disponibilità dello stesso fino alla concorrenza dell’importo d 99.999,79- ha riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 10-quater, comma 1, D.Ivo 74/2000 e rideterminato la pena inflitta all’imputato in mesi sei di reclu confermando la sentenza nel resto.
NOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso cassazione.
Con un unico motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione degl artt. 192, 530 e 533 cod proc pen e correlativo vizio di motivazione per non la corte territoriale osservato il principio u -pringip -I« del ragionevole dubbio, giungendo a condanna a fronte di un quadro probatorio fondato su presunzioni circa la consapevolezza da parte del ricorrente della indebita compensazione credito non spettante con le cartelle esattoriali a suo carico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo ripropone quello di appello nel porre la questione della consape partecipazione dell’imputato alla condotta di compensazione del debito tributa mediante accollo, posta in essere, con procedura telematica, da soggetto ter ossia la RAGIONE_SOCIALE società nei cui confronti non sarebbe stato svolto, prospettazione difensiva, alcun approfondimento investigativo, ed al cui propos non risulterebbe alcun rapporto o contatto o collegamento, anche indiretti, ricorrente.
Insufficiente ad affermare la responsabilità dell’odierno ricorrente sare valorizzazione da parte della Corte territoriale della rilevante entità degli dovuti e della risalenza nel tempo delle cartelle esattoriali a nome dell’imp da cui la presunzione di conoscenza del debito, invero non provata.
La medesima censura è svolta con riferimento alla consapevolezza dell’inesisten dei crediti portati in compensazione dalla società accollante, affermata dalla territoriale perché «la società non poteva opporre in compensazione crediti Ir potendo essere al più titolare di crediti Ires, Iva e Irap, sia perché non è la compensazione tramite accollo». Affermazione -l’ultima in particolar contestata in ragione della normativa in vigore al momento confermata dal risoluzione della Agenzia delle Entrate del 15 novembre 2017.
2. La Corte bolognese, contrariamente a quanto argomenta il ricorrente, escl simile ricostruzione piuttosto inverosimile della vicenda, attraverso speci circostanze e dati oggettivi, partitamente indicati nella entità dei de confronti dell’erario, per euro 99.999,79, nella risalenza nel tempo delle c esattoriali relative, come chiarito in sede dibattimentale dal teste COGNOME logico rilievo che «l’entità non indifferente del debito rende improbabile che l’operazione nel suo complesso fosse stata congegnata e eseguita da terzi in maniera del tutto gratuita verso l’imputato, senza alcu iniziativa senza previo concerto con il medesimo unico diretto interess benefici della compensazione», nella omessa dichiarazione dei redditi nel 20 sicchè NOME non poteva vantare un credito per saldo Irpef con riferiment quella dichiarazione, tali da privare di significato la denuncia, sporta contro solo postuma alla ricezione dell’avviso di conclusione delle indagini prelimi dunque evidentemente sospetta.
Tanto a fronte degli accertamenti svolti anche sul conto della RAGIONE_SOCIALE non spettanza (cfr. pag 2 e segg della motivazione) di crediti Irpef in capo ultima società (al più potenziale titolare di crediti Ires, Iva e Ir inammissibilità della compensazione tramite accollo in forza del disposto dell
17 d.lvo 241/1997 che «stabilisce che la compensazione avvenga unicamente tra medesimi soggetti. In più è pacifico che l’estinzione del debito medi compensazione può avvenire, nel settore tributario, solo ove la legge lo amme espressamente» (cfr. Sez 3, n 55794 ud. 30/11/2017 dep. 14/12/2017, n.m.).
Argomentazioni che vanno lette insieme con quanto già rilevato dal Tribunale, c aveva puntualmente indicato le fonti probatorie fondanti l’affermazione responsabilità nella produzione documentale, e, nella specie, nella attesta della presentazione dei modelli F 24 con cui erano state compensate imposte ruolo a carico di NOME NOME pari ad euro 4.999 circa per ciascuno dei 21 mode F 24 presentati (per un totale di euro 99.999,79), in cui si deduceva compensazione crediti derivanti da saldo Irpef 2016 (come dal modello da cu risultava che, nell’operazione, accollante era il soggetto identificato dal fiscale corrispondente alla società RAGIONE_SOCIALE); nelle dichiarazioni re contraddittorio con l’agenzia in data 2 maggio 2018 da NOME NOME, c dichiarava di non conoscere la società accollante e di nulla sapere in ordin compensazione contestata nella presentazione; nella presentazione da parte NOME NOME, il 3 Febbraio 2020 (quindi dopo aver ricevuto l’avviso ex art. bis cod proc pen) di querela contro ignoti.
Ed aveva riconosciuto il dolo in capo all’imputato, al cospetto dell’utilizz credito inesistente mediante un accollo di cui lo stesso imputato a disconosciuto l’esistenza, dell’artificiosa deduzione di un presupposto fa
inesistente postulando la consapevolezza in capo al contribuente; e rilevando che l’artificiosa prospettazione del credito inesistente ha poi determinato l’abbattimento del debito dell’ COGNOME verso l’erario per un importo consistente in circa 100.000 euro, senza che risultasse in alcun modo che le dimensioni dell’economia aziendale fossero tali da consentire una sorta di ‘svista’ su una voce di siffatta portata, in sé certamente non trascurabile in termini assoluti (da cu l’inverosimiglianza da un lato, della affermazione per cui l’imputato potesse non essersi avveduto della circostanza, dall’altro che altri avesse operato la compensazione a sua insaputa, oltretutto per ragioni in nessun modo chiarite).
2.1. È noto che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte già sotto il vigore del precedente codice di rito (Cass., Sez. I, 18 aprile 1985, M. cui “adde” Cass., Sez. I, 19 ottobre 1988, Q.) e dell’attuale (Cass., Sez. I, 4 febbraio 1994, A. ed altri e Cass., Sez. III, 23 aprile 1994, C. fra tante), le motivazioni della sentenz di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità.
E, secondo il prevalente e condiviso orientamento di questo giudice di legittimità (Cass., Sez. Un., 21 settembre 2000, n. 17, P. ed altri, rv. 216664, che contiene un “catalogo” dei requisiti), la motivazione “per relationem” è sempre ammissibile ove l’atto richiamato sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, appaia congruo in ordine all’esigenza di giustificazione del provvedimento di destinazione e fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione.
2.2. Nel caso di specie la riqualificazione in diritto del credito posto compensazione come non spettante piuttosto che inesistente non sposta la ricostruzione del fatto come già delineata dal giudice di prime cure.
A fronte di tali argomentazioni, corrette in diritto e adottate nel sol dell’insegnamento di questa Corte, erroneamente dal ricorrente interpretate come una sorta di presunzione iuris tantum, le obiezioni mosse per una ricostruzione alternativa della vicenda sono del tutto ipotetiche, congetturali e puntano a una inammissibile rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità.
2.3. Ed invero, occorre ribadire che l’indagine di legittimità sul discors giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del
legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè
di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato la ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Cass., Sez. Un., 16
dicembre 1999, n. 24, S., rv. 214794 e Cass., Sez. III, 11 gennaio 1999, n. 215,
F., rv. 212091 al cui lungo iter motivazionale si rinvia).
4. Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2024
Il Pres ente