Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12760 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12760 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Canonica d’Adda (Bg) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 189 della Corte di appello di Milano del 12 gennaio 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibili del ricorso, in conformità con quanto statuito da questa Corte con sentenza 325357 del 2023;
letta, altresì, la memoria di replica della difesa dell’imputato del 6 novembre 20
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 gennaio 2023, la Corte di appello di Milano ha confermato quanto alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato, la sentenza del 18 febbraio 2021 con la quale il Gup del Tribunale di Milano, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME alla pena, allora ritenuta di giustizia, in relazione ad una ser di delitti di natura tributaria da lui commessi, in esecuzione di un identico disegno criminoso nella veste di legale rappresentante sia, fino alla data del 30 maggio 2016, della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, consistenti: nella emissione, finalizzata a consentire a terzi l’evasione dalle imposte, di pi fatture per operazioni inesistenti; nell’omesso versamento di somme da lui dovute nei confronti dell’Erario, realizzato tramite la indebita compensazione di inesistenti crediti per Iva da lui vantati egualmente verso l’Erario, per u importo superiore ad euri 50.000,00; nell’inserimento nelle dichiarazioni fiscali da lui redatte nella qualità di legale rappresentante de RAGIONE_SOCIALE di fatture passive, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, relative ad operazioni inesistenti; il tutto con la aggravante della recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
La Corte territoriale ha, peraltro, ritenuto di dovere riformare, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa nel primo grado di giudizio, riducendo la pena inflitta da anni 4 e mesi 4 di reclusione, oltre accessori, quella di anni 3, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, salvo il resto.
Avverso detta sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: a) errata applicazione della legge penale per avere la Corte di appello affermato la sussistenza del reato di cui all’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000, avendo ritenuto penalmente rilevante la indebita compensazione di debiti, sebbene questi avessero natura diversa da quella prettamente tributaria (si trattava, infatti, di debiti relativi a contribuzioni di carattere assistenzi previdenziale), in contrasto coi principi dettati dalla giurisprudenza d legittimità in base ai quali, invece, era stata sancita l’irrilevanza penale di condotta; b) errata applicazione della legge penale per avere la Corte omesso di dare avviso alla parte della facoltà di sostituire la pena principale con pene sostitutive in base all’art. 20-bis cod. pen., nonché per avere omesso la motivazione in ordine al diniego della ammissione alla esecuzione delle sanzioni sostitutive ai sensi della legge n. 689 del 1981 nel testo ora vigente seguito delle modifiche ad essa apportate con la entrata in vigore del dlgs n. 150 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto dalla difesa del prevenuto è solo in parte fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto per quanto di ragione.
Inammissibile è, infatti, il primo motivo di impugnazione; questo è sviluppato con riferimento alla ritenuta mancata integrazione del reato previsto dall’art. 10 -quater del dlgs n. 74 del 2000 in quanto i debiti in relazione ai quali il COGNOME avrebbe operato la indebita compensazione con l’Iva a credito da lui vantata nei confronti dell’Erario non avevano natura tributaria ma previdenziale ed assistenziale.
L’assunto su cui si basa la doglianza del ricorrente è manifestamente errato.
Come, infatti, questa Corte ha in numerose occasioni affermato, senza che tale indicazione giurisprudenziale appaia contrastata altrimenti che da un unico, ancorché argomentato, precedente (si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 settembre 2019, n. 38042, nella quale il Collegio allora decidente, pur consapevole dell’isolamento giurisprudenziale nel quale in tal modo esso si andava a relegare, ebbe a sostenere – in funzione della collocazione nella topografia normativa della disposizione che oggi, ed allora, si riteneva violata, essendo questa inserita in un rnicrosistem dedicato alla disciplina delle sole violazioni tributarie aventi rilevanza penale ed in funzione della riferibilità dell’art. 13, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000 il quale disciplina una particolare ipotesi di causa di non punibilità per effet dell’intervenuto adempimento, precedentemente omesso, dell”obbligazione pecuniaria, alle sole ipotesi di omesso versamento di imposte – che il risultato della condotta fraudolenta, ossia l’omesso versamento delle somme dovute attraverso l’indebita compensazione con poste attive non esistenti, potesse riguardare solamente inadempimenti riguardanti le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e non già, in assenza di pertinenti specificazioni, inadempimenti di altro genere dei quali l’intero testo del dIgs n. 74 del 2000 non si occupa), il reato ora in esame riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinenti a debiti, sia tributari che di altra natura, per i pagamento debba essere utilizzato il modello” di versamento unitario denominato F24 (in tale senso, per citare solamente le pronunzie più recenti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2023, n. 552; Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 giugno 2022, n. 23083; Corte di cassazione Sezione III penale, 28 aprile 2020, n. 13149).
Come, infatti, è stato da questa Corte segnalato, in termini che qui si intendono condividere pienamente, la giurisprudenza che ritiene la sussistenza del reato anche in caso di cd. “compensazione orizzontale”, cioè nel caso in cui caso l’operazione in questione abbia per oggetto crediti e debito di imposta di natura diversa (così, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione I penale, 12 ottobre 2021, n. 37985), ravvisa la ratio della disposizione in esame nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo per la non spettanza o per l’inesistenza del crédito.
E’ evidente che, in questa prospettiva, l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti tributari inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta; risponde, dunque, del reato ex art. 10-quater del dlgs. n. 74 del 2000 non solo, come è pacifico, chi omette di versare imposte dirette o l’Iva utilizzando indebitamente in compensazione crediti concernenti altre imposte o crediti di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza.
La norma in esame, in altri termini, si presta a reprimere l’omesso versamento di somme di denaro attinente a tutti i debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario, con la conseguenza che sono sottoposti a tale disciplina sia le compensazioni di debiti afferenti ad Iva o ad imposte sui redditi con altri tributi e contributi dovuti sia le compensazioni di questi ultimi tributi e contributi con crediti Iva e imposte dirette, potendo venire in rilievo, sul lato attivo o passivo del rapporto obbligatorio, qualunque tributo o contributo che possa essere opposto in compensazione secondo le norme generali.
Tale conclusione è confortata anche dal tenore letterale della fattispecie incriminatrice che non richiede, al fine dell’integrazione del reato, il dolo
specifico di evasione d’imposta, né limita l’oggetto dell’omesso versamento (il testo normativo, infatti, richiama in termini generali “le somme dovute” senza alcuno specifico riferimento alla causale delle somme dovute) a quelle dovute a titolo di imposta.
Né rileva, in senso contrario, come invece ritenuto da questa Corte con la citata sentenza n. 38042 del 2019, la speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario di cui all’art. 13′ comma 1, del cllgs n. 74 del 2000, che, secondo l’orientamento ora avversato, sarebbe disciplinata in termini incompatibili con obblighi di natura diversa da quella tributaria, perché, parificando le tre fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10 -ter e 10 -quater del medesimo decreto, costituirebbe una conferma del fatto che anche quella regolata dall’art. 10 -quater punirebbe, come le altre due, sempre e solo l’omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
In realtà, il richiamato art. 13, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000 si limita semplicemente a prevedere che non sono più perseguibili penalmente le omissioni oggetto delle richiamate fattispeoe incriminatrici, quando il contribuente versi integralmente le somme dovute all’Erario, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi maturati, prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado.
Chiaro è l’intento premiale di tale istituto che si muove nell’ottica condivisibile, di una politica criminale e fiscale volta maggiormente alla tutela del bene giuridico protetto (id est il corretto approvvigionamento finanziario dello Stato tramite il gettito fiscale) piuttosto che alla punizione d trasgressori.
La parificazione tra le fattispecie degli art. :LO -bis, 10 -ter e 10 -quater del dlgs n. 74 del 2000, è da ricercare, dunque, nel fatto che si tratta di reati tu parimenti caratterizzati solamente da un omesso versamento (realizzato eventualmente tramite l’indebita compensazione) di somme che il contribuente aveva comunque correttamente indicato quale proprio debito delle dichiarazioni da lui presentate, a differenza di quanto invece avviene per i reati propriamente dichiarativi, che si segnalano per l’omissione dell’adempimento dichiarativo ovvero per la falsità di quanto dichiarato, per i quali il legislatore, secondo la previsione di cui comma 2 del richiamato art. 13 del dlgs n. 74 del 2000 pretende, data la loro maggiore insidiosità, espressiva di un dolo più intenso, ai fini della non punibilità delle condott delittuosa, la spontaneità della resipiscenza del contribuente (per i rilievi ch precedono e che, appunto, ora si condividono, si rimanda alle sentenze:
Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 giugno 2022, n. 23083; Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 gennaio 2021, n. 389; Corte di cassazione Sez. 3, 28 aprile 2020, n. 13149).
Alla luce degli argomenti svolti, suffragati dalla plebiscitaria indicazione giurisprudenziale, il primo motivo di ricorso deve intendersi manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
Fondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione.
Con esso il ricorrente, tenuto conto del fatto che la Corte arnbrosiana ha ridimensionato la entità della pena inflitta al COGNOMECOGNOME portandola al di sot della soglia dei 4 anni di reclusione, tale da consentire in linea di princip l’ammissione del condannato alla espiazione della stessa nei modi ora previsti per effetto della entrata in vigore della disciplina in materia di sanzio sostitutive introdotta con il dlgs n. 150 del 2022, ha lamentato la circostanza che la Corte di appello non abbia dato l’avviso all’imputato, secondo la previsione di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen. della possibilità di richied l’accesso a siffatto beneficio, né ha motivato le ragioni di tale omissione.
Come detto, si tratta di censura meritevole di accoglimento.
Premesso, infatti, che la sentenza impugnata è stata pronunziata in data 12 gennaio 2023, quindi in un momento in cui la disciplina innovativa introdotta dal dlgs n. 150 del 2022 (sebbene la sua entrata in vigore fosse stata oggetto di differimento per effetto del decreto-legge n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, con legge n. 199 del 2022) già era applicabile, e che, in particolare, con riferimento alla normativa in tema di applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, l’art. 95 del citato dlgs n. 150 d 2022 prevede che la disciplina innovativa ora contenuta nel Capo III della legge n. 689 del 1981, sia applicabile, ove più favorevole di quella previgente, anche ai procedimento’ penali pendenti in grado di appello al momento della entrata in vigore del decreto in questione, deve concludersi che, non essendo ancora stato definito in grado di appello, con la pronunzia del dispositivo della sentenza ora impugnata, il procedimento a carico del COGNOME alla data del 30 dicembre 2022, cioè al momento in cui, come accennato e pur per effetto della richiamata proroga contenuta nel decreto legge n. 162 del 2002, è entrato in vigore il dlgs n. 150 del 2022, ad esso erano applicabili, in quanto più favorevoli, le disposizioni che consentivano, anche in caso di irrogazione di una pena detentiva, non oggetto di sospensione condizionale, avente durata non superiore a 4 anni di reclusione, l’accesso alle sanzioni sostitutive previste
dall’art. 53 della legge n. 689 del 1981, cioè, nella specie, quella del detenzione domiciliare e della semilibertà.
Deve, pertanto, ritenersi astrattamente applicabile alla presente fattispecie anche l’art. 545-bis cod. proc. pen., il quale detta la discip procedimentale attraverso la quale si può pervenire, in occ:asione della definizione del processo con la pronunzia di una condanna ad una sanzione detentiva avente la durata non superiore a 4 anni e la cui esecuzione non sia oggetto di sospensione condizionale, all’applicazione, secondo la normativa contenuta nella citata legge n. 689 del 1981, delle sanzioni sostitutive.
La norma sopra citata prevede, appunto, secondo il suo tenore testuale, che “quando è applicata una pena detentiva non superiore a 4 anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, dopo la lettura del dispositivo, i giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’art. 53 (…della legge n. 689 del 1981…), avviso alle parti”.
Nel censurare la sentenza impugnata il ricorrente ha proprio lamentato il fatto che, letto il dispositivo della sentenza emessa, con la quale era sta disposta la riduzione della pena irrogata entro il limite dei 4 anni di reclusion la Corte di appello non avesse formulato alcun avviso all’imputato né al suo difensore ai fini della espressione del consenso all’applicazione delle misure sostitutive né avesse giustificato nella sentenza emessa le ragioni per cui si era in tale modo regolata.
Con riguardo alla normativa citata, osserva il Collegio, in sede di sua prima applicazione, che questa Corte si è in primo luogo espressa nel senso che l’onere di procedere all’avviso all’imputato concernente la possibile sostituzione della pena detentiva breve con altra sanzione meno afflittiva è proprio solo del procedimento ordinario e non anche di quello definito con l’applicazione della pena concordata, posto che la facoltà del giudice di procedere alla sostituzione della pena deve essere necessariamente innescata in sede di accordo negoziale fra le parti del processo (le quali, evidentemente, si sono risolte a definire il giudizio secondo un certo assetto sanzionatorio da loro condiviso i cui termini, pertanto, non possono essere stravolti da successive modifiche non oggetto di negoziazione); in tale senso si è ripetutamente già espressa questa Corte (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 14 luglio 2023, n. 30767, ord.; Corte di cassazione, Sezione IV penale, 26 luglio 2023, n. 32357); ciò è peraltro sempre avvenuto in fattispecie relative ad applicazione concordata della pena, in relazioni all
quali la segnalata ratio che conduce alla esclusione della possibilità di applicazione dell’art. 545-bis cod, proc. pen. trova una sua piena giustificazione; sarebbe, invece, ingiustificato ricondurre alla medesima ratio l’eventuale esclusione dell’avviso ove la stessa fosse riferita anche alle ipote di giudizio definito (come nella presente fattspecie) nelle forme del rito abbreviato o di quello immediato non sussistendo in tali ipotesi alcun accordo fra le parti inerente alla determinazione della pena che potrebbe essere stravolto in caso di applicazione delle sanzioni sostitutive.
Altro principio applicativo sul quale questa Corte ha già trovato un punto di equilibrio attiene, pur in attuazione della disciplina transitoria dett dall’art. 95 del dlgs n. 150 del 2022, alla impossibilità di procedere alla diret applicazione della sostituzione delle pene detentive brevi da parte di questa Corte, dovendo provvedere ad un tale eventuale incombente, dopo la pronunzia della sentenza di appello e laddove questa sia stata anteriore alla entrata in vigore della citata modifica normativa che ha ampliato le maglie attraverso le quali deve passare l’eventuale sostituzione sanzionatoria, non questa Corte di legittimità, alla cui ordinaria cognizione sono estranee l valutazioni di merito che debbono essere compiute ai fini della verifica della praticabilità della sostituzione, ma il giudice della esecuzione penale (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 dicembre 2023, n. 51557) di fronte al quale la questione dovrà essere dedotta nel termine dì 30 giorni decorrente dalla irrevocabilità della sentenza (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 2 agosto 2023, n. 34091; Corte di cassazione, Sezione V penale, 8 settembre 2023, n. 37022), o, forse più correttamente, dalla data della pronunzia della Corte di cassazione, posto che il riferimento alla irrevocabilità della decisione renderebbe di fatto non suscettibili di istanza di sostituzion tutte le pene irrogate con sentenze la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione, posto che la definitività di esse retroagirebbe, a causa della mancata attivazione del rapporto processuale di fronte a questa Corte, alla data di pronunzia della sentenza emessa in sede di merito; deve, peraltro, ritenersi che resti comunque ferma la “risorta” competenza funzionale dell’organo della cognizione laddove la sentenza con la quale questa Corte abbia definito la fase di legittimità del processo preveda l’annullamento con rinvio (ovvero senza rinvio ma con trasmissione degli atti) al giudice del merito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pacifico è che, nel momento in cui fosse investito della questione, il Giudice della esecuzione dovrebbe tenere conto, ai fini della ammissibilità della istanza, non della durata della pena residua eventualmente ancora da
espiare, ma della durata di quella a suo tempo effettivamente irrogata (Corte di cassazione; Sezione I penale, 19 gennaio 2024, n. 2356).
Deve, ancora, ritenersi che competa ad una valutazione discrezionale del giudice che deve provvedere sull’eventuale sostituzione della pena detentiva breve verificare se sono già disponibili tutti gli elementi per potere decider allo stato, ovvero se è necessaria per la loro acquisizione la fissazione di un nuova udienza entro il termine – da ritenersi ordinatorio posto che alla sua eventuale violazione non è correlata la comminatoria di alcuna sanzione processuale – non superiore a sessanta giorni, di tal che la decisione sull necessità del rinvio, se motivata in termini di non manifesta illogicità, non è suscettibile di essere sindacata di fronte a questa Corte di cassazione (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 24 ottobre 2023, n. 43263); parimenti non suscettibile di autonoma impugnativa – essendo questa consentita (coerentemente col più generale principio in forza del quale i provvedimenti endoprocessetali non sono soggetti ad essere autonomamente impugnati) solo congiuntamente all’impugnazione della decisione con la quale il giudizio viene definito – è il provvedimento con il quale si dispone in merito alla sostituzione della pena (Corte di cassazione, Sezione V penale, 31 ottobre 2023, n. 43960).
La questione che si pone ora di fronte a questa Corte è se l’avviso di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen. debba essere formulato dal giudice procedente, in questo caso dalla Corte di appello, solo in quanto vi sia stata al riguard una specifica istanza da parte dell’imputato ovvero del suo difensore ovvero se lo stesso abbia, ricorrendone le condizioni formali, per il giudice il caratte della doverosità. ;s1(
Nel primo senso indicato già si è pronunziata una parte della giurisprudenza di legittimità, laddove essa ha precisato che il difensore che nelle conclusioni o con richiesta formulata subito dopo la lettura del dispositivo non abbia sollecitato l’esercizio da parte del giudice, dei poteri sostituzione delle pene detentive di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen., no può, in sede di impugnazione, dolersi del fatto che non gli sia stato dato l’avviso previsto dal comma 1 di tale disposizione (Corte di cassazione, Sezione II penale, 31 ottobre 2023, n. 43848; in termini, sostanzialmente, analoghi, sebbene ancora più rigorosi, anche Corte di cassazione, Sezione IV penale, 9 gennaio 2024, n. 636, nella quale si è affermato che l’applicabilità delle pene sostitutive ai processi pendenti in grado di appello alla data d entrata in vigore del dlgs n. 150 del 2022, è subordinata alla richiest
formulata in tale senso dall’imputato o dal suo difensore al più tardi nel cors della udienza di discussione); analogamente si è ritenuto che – non costituendo la sostituzione della reclusione con altra pena meno afflittiva un diritto dell’imputato ma rientrando la scelta sulla praticabilità d riconoscimento del beneficio nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice – in assenza di una richiesta formulata dal soggetto interessato, nel caso si trattava dell’appellante, non vi è l’obbligo per il giudice di secon grado di motivare in ordine all’insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva breve con altra sanzione (così: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 10 novembre 2023, n. 45511, la quale conclude nel senso della inammissibilità della doglianza formulata in sede di ricorso per cassazione in ordine alla mancata applicazione delle sanzioni sostitutive, ove non richieste nel precedente grado di giudizio, al più tardi i occasione della udienza di discussione; nel senso che il giudice del gravame deve provvedere ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen., anche in caso di applicazione della norma per effetto della disposizione transitoria di cui all’ar 95 del dlgs n. 150 del 2022, solamente nella ipotesi in cui l’applicazione della sanzione sostitutiva era stata oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, argomentando sulla base della ordinaria applicabilità dell’art. 597, comma 5, cod, proc. pen. il quale individua specificamente le ipotesi in relazione alle quali il giudice del gravame può provvedere sebbene egli non sia stato sul punto sollecitato con uno specifico motivo di impugnazione, si veda anche: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 15 novembre 202:3, n. 46013).
Diversamente orientata parrebbe la Corte laddove essa ha escluso la illegittimità della sentenza emessa dalla Corte di merito, pur non avendo questa ammesso il condannato alla sanzione sostitutiva, avendo detta Corte, che non aveva trascurato di prendere in considerazione la disciplina introdotta dal dlgs n. 150 del 2022, omesso di attivare il procedimento ex art. 545-bis cod. proc. pen., solo in quanto, come puntualmente precisato nella motivazione della sentenza allora impugnata, ne aveva escluso la praticabilità argomentando dai precedenti penali del condannato e dalla di già avvenuta revoca di una sanzione sostitutiva in precedenza applicata; in tale senso risulta postulata, anche in caso di mancata attivazione della fase degli avvisi ex art. 545-bis cod. proc. pen., l’esistenza di un onere di motivazione da parte del giudice del merito riguardante la esclusione della meritevolezza dell’interessato al beneficio della sanzione sostitutiva (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 21 ottobre 2023, n. 39717; analogamente Corte di cassazione, Sezione IV penale, 30 ottobre 2023, n. 43720, la quale ritiene
legittima la mancata formulazione dell’avviso ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen. in ragione del fatto che la Corte di appello aveva adeguatamente motivato sulla impraticabilità delle sanzioni sostitutive a cagione dei precedenti penali, anche specifici, dell’imputato).
Così ricostruiti gli orientamenti giurisprudenziali andatisi a formare, con riferimento al tema ora in esame, di fronte a questa Corte nel breve, sinora, volgere di tempo successivo alla entrata in vigore della riforma veicolata dal dlgs n. 150 del 2022, osserva il Collegio che non vi sono elementi né di carattere normativo né di carattere sistematico che inducano a ritenere che il meccanismo di attivazione della procedura che può portare alla sostituzione delle pene detentive brevi con altra misura sanzionatoria, in altre parole la formulazione dell’avviso ex art. 545-bis cod., proc. pen., debba essere necessariamente preceduto da una istanza di parte.
La lettura della disposizione sopra indicata non depone in alcun modo nel senso delle necessità della istanza di parte (al riguardo si osserva che, in ogni caso, ove si ritenesse che la stessa debba sussistere, la stessa non potrebbe che essere formulata in sede di discussione orale, non potendosi ammettere che la stessa intervenga, come invece in altra occasione ritenuto da questa Corte, “subito dopo la lettura del dispositivo” stante la evidente incertezza del concreto significato da attribuirsi alla espressione avverbiale “subito dopo”, la quale, in senso procedimentale, potrebbe giungere, con risultati evidentemente inammissibili dal punto di vista della funzionalità del processo, sino a comprendere tutto il tempo intercorrente fra la lettura del dispositivo e l’atto ad essa immediatamente successivo, cioè secondo la previsione di cui al combinato disposto degli artt. 544 e 545 cod. proc. pen., la redazione dei motivi della sentenza), posto che a questa non solo non si fa mai riferimento nel testo normativo ma, anzi, vi è un dato logico che parrebbe persino escludere tale necessità.
Infatti, come si legge nella disposizione ora in esame, il giudice, avvisate le parti della sussistenza delle condizioni per la sostituzione della pena detentiva, prima di decidere su di essa deve raccogliere il consenso da parte dell’imputato “alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria”, di tal che, ove si aderisse alla tesi che ritiene necessaria l’esistenza di una preventiva richiesta da parte dell’imputato, dovrebbe sostenersi che, ove il giudice ritenesse astrattamente percorribile la via della sanzione sostitutiva, dovrebbe, comunque, verificare l’assenso ad essa del soggetto che, precedentemente, già ne aveva chiesto l’applicazione;
la esistenza di un tale momento procedimentale, parrebbe assai più coerente con la officiosità dell’avviso ex art. 545-bis cod. proc. peri., risultando inutilmente farraginoso un meccanismo che pretendesse dal Giudice la verifica della persistenza in capo all’imputato della volontà di accedere alla sanzione sostitutiva, pur dopo che una richiesta in tale senso era stata appen formulata dal medesimo soggetto processuale.
D’altra parte, si osserva, non appare distonico rispetto al sistema il fatt che l’art. 545-bis cod. proc. pen. possa prevedere che il procedimento per la sostituzione della pena detentiva breve sia attivato ex officio, atteso che non vi è alcuna disposizione che vieti, quanto meno in primo grado di giudizio, l’applicazione officiosa della disciplina in materia di sostituzione delle sanzion detentive.
Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sostituzione non può, infatti, essere disposta, in assenza di una iniziativa di parte, laddove processo sia già approdato in grado di appello stante la regola dettata dall’art 597, comma 5, cod. proc. pen. in tema di principio devolutivo e di correlata ampiezza dell’ambito di cognizione del giudice del gravame (si veda, infatti, fra le molte: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 17 marzo 2017, n. 12872, nella quale, peraltro, si segnala che la disposizione dianzi indicata, cioè l’art. 597 cod. proc. pen, la quale, si ricorda, è applicabile al solo giudi di gravame, segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 198 sul punto si riscontra un’unica, risalente, voce dissenziente, costituita Corte di cassazione, Sezione IV penale, 3 giugno 1995, n. 6526, nella la quale – osservandosi che i benefici che la Corte di appello può, di ufficio, riconoscere al condannato ai sensi dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. hanno una ben più ampia portata della sostituzione della pena detentiva con altra sanzione si ritiene “del tutto incoerente precludere al giudice di appello la facoltà concedere d’ufficio la sostituzione della pena ai sensi dell’art. 53 della leg 689 del 1981”).
Né ciò si ritiene essere possibile nel caso in cui la pena sia stata oggett di un’attività lato sensu negoziale intervenuta fra le parti, i cui termini sarebbero stravolti ove il tipo di sanzione concordata fosse mutato per iniziativa del giudice e non dei soggetti che hanno concluso il negozio processuale (cioè nei casi di cui agli artt. 444 e 599-bis cod. ;proc. pen; veda, infatti, rispettivamente: Corte di cassazione, Sezione 1V penale, 2
novembre 2023, n. 43980 e Corte di cassazione, Sezione V penale, 13 aprile 2011, n. 15079).
Ma, analizzando la giurisprudenza, si rileva, con riferimento al giudizio di primo grado, che alcuni lontani precedenti parrebbero orientati nel senso della concedibilità del beneficio della sostituzione anche in assenze’ di specifica richiesta da parte di chi se ne avvantaggerebbe (si veda, infatti: Corte d cassazione, Sezione IV penale, 27 giugno 1986, n. 6412, norché Corte di cassazione, Sezione IV penale, 12 aprile 1985, n. 3357) sebbene debba aggiungersi che gli stessi siano stati successivamente contrastati da un altro, non molto meno recente, dictum di questa Corte (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 2 febbraio 1990, n. 1482).
Giova chiarire, quanto allo specifico caso ora in esame, che, non parrebbe ostativo alla “ordinaria” applicabilità dell’art. 545-bis cod. proc. pen disposizione indubbiamente dettata per il giudizio di primo grado, anche al processo celebrato a carico del COGNOME COGNOME le ragioni già in precedenza esposte per le quali non deve ritenersi fattore ostativo il fatto che in pri grado il processo sia stato celebrato nelle forme del rito abbreviato – tenut conto non solo del fatto che a tale giudizio sono applicabili le disposizioni d carattere transitorio contenute nell’art. 95 del dIgs n. 150 del 2022, ma anche della circostanza che la possibilità di applicare nella fattispecie le sanzio sostitutive è sorta solamente a seguito della riforma del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato operata dalla Corte di Milano.
Ma, in ogni modo, va precisato che nella occasione neppure si tratterebbe di disporre ex officio la sostituzione della sanzione, ma, semplicemente, di prevedere che motu proprio i0 giudice che abbia emesso la sentenza di condanna debba avvisare il condannato della possibilità, con il suo consenso ove si tratti di sostituzione della pena detentiva con pena non esclusivamente pecuniaria, di verificare se sussistono le condizioni per procedere alla sostituzione.
Va, ancora, aggiunto che non deve, peraltro, ritenersi che esista una assoluta obbligatorietà per il giudice di formulare l’avviso ex art. 545-bis cod proc. pen. laddove ricorrano le condizioni formali per la sostituzione della sanzione detentiva (sua durata non superiore a 4 anni e non spttoposizione della esecuzione della stessa alla sospensione condizionale).
Deve, infatti, convenirsi sul fatto che la scelta in ordine all’applicazione della sanzione sostitutiva è una scelta discrezionale del giudice procedente il
quale, per come prevede la norma “se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva (…) ne dà avviso” al condannato; siffatta proposizione normativa presuppone che, prima di decidere se debba o meno dare l’avviso di cui si parla il giudice debba valutare se ricorrono o meno le condizioni per la sostituzione e, solo ove ritenga che esse, appunto, ricorrano, dovrà risolversi nel senso di ‘formulare l’avviso; ciò non toglie c:he, laddove, invece, egli opt per la seconda ipotesi, ritenga cioè che le condizioni “sostanziali” non ricorrano, questi dovrà, affinché la sua potestà discrezionale non trasmodi nel mero arbitrio, esporre in sentenza, sia pur succintamente, le ragioni che lo hanno indotto ad una tale scelta di rigore.
Ragioni che, peraltro, potranno essere sindacate di fronte a questo giudice della legittimità, stante la valenza discrezionale del giudizio ed ess sottostante, solo in quanto espressione di un’opinione manifestamente illogica.
Alla luce di quanto precede, emergendo in termini indubbi che, a seguito della intervenuta riduzione della pena detentiva inflitta al COGNOME, questa, cui esecuzione non è stata condizionalmente sospesa in sede di merito, rientra per durata, in linea di astratto principio, fra quelle che possono esser sostituite dagli arresti domiciliari ovvero dalla semilibertà e che, per quant emerge dagli atti, la Corte di Milano, che pure ha pronunziato la sua sentenza in data 12 gennaio 2023, quindi nella vigenza della norma in discorso, non ha formulato al condannato l’avviso di cui all’art. 545-bis cod. pen. né ha in alcun modo esposto le ragioni per le quali siffatto avviso non è stato indirizzato al condannato, tali non potendo essere ritenuti i soli richiami alla storia penal del ricorrente, essendo questi stati operati al fine di giustificare la ricorrenz suo carico della aggravante della recidiva, la quale, pur sussistendo, non è di per sé, né formalmente né per dettato normativo, automaticamente ostativa alla sostituzione delle pene detentive brevi, la sentenza impugnata deve essere annullata con riferimento al solo trattamento sanzionatorio, risultando essa viziata o in quanto carente di motivazione in ordine alla esposizione della mancanza delle condizioni per la sostituzione della pena detentiva breve con altra meno afflittiva sanzione, ovvero, nel caso in cui tali condizioni s ritengano sussistere, viziata per violazione di legge, ridondante sul corretto godimento di una delle prerogative in cui si compendia il diritto di difesa, per non avere la Corte di appello di Milano, dopo la lettura del dispositivo formulato l’avviso di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen.
Ferma restando, pertanto, la definitiva affermazione della responsabilità penale del COGNOME in ordine ai reati a lui contestati, la sentenza deve esser pertanto, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che provvederà, secondo i principi dianzi indicati, in ordine ai limitati punt oggetto del presente annullamento
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2023
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