Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33337 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33337 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; udito l’AVV_NOTAIO, difensore dell’indagato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone, tra cui NOME COGNOME, indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato di cui all’art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziaria rispetto al reato associativo, riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, il reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzional4e, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. riteneva configurabile non il delitto di truffa aggravata, ma quello di indebita compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze delle verifiche fiscali eseguite in capo alle imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., applicava nei confronti di COGNOME la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività di impresa e di rivestire uffici direttivi delle persone giuridic per la durata di mesi 6, in relazione ai delitti di cui ai capi 2 e 4, previ riqualificazione delle condotte nel reato ex art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa censura la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, osservando che l’avere il Tribunale ribadito il primato della legge speciale sulla originaria ipotesi di truffa comportava una riflessione ulteriore in tema di eventuale responsabilità concorsuale dell’indagato, soggetto estraneo sia alla condotta tipica che all’evento tipico del reato tributario, tanto più ove si consideri che il modello accertato di elusione fiscale, di cui in via diretta si sarebbe reso autore il RAGIONE_SOCIALE, si è alimentato in assoluta autonomia; si contesta, in particolare, la diffidenza con cui è stato giudicato il contratto di appalto che ha legato la società al RAGIONE_SOCIALE, non essendosi considerato che la sottoscrizione dell’appalto è stata preceduta da un provvedimento con cui un’apposita Commissione ministeriale ha sancito la congruità dell’attività posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE. Né si è considerato che l’eventuale consapevolezza di un’elusione studiata e condivisa avrebbe semmai inevitabilmente esposto la società RAGIONE_SOCIALE a una duplice forma di danno, il primo legato ai pagamenti che nel tempo sono sempre stati regolarmente corrisposti dietro fattura al RAGIONE_SOCIALE, e il secondo legato a una sostanziale e ulteriore ripetizione delle somme che erano state indebitamente compensate dal RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 275 bis cod. proc. pen., stante l’assenza di attualità del pericolo, avendo il Tribunale ignorato il lungo lasso di tempo (circa 4 anni) trascorso dai fatti di causa, essendo il rapporto intrattenuto con le tre società del RAGIONE_SOCIALE cessato il 30 novembre 2019.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è la violazione dell’art. 287 cod. proc. pen., rilevandosi che l’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000 contempla due specifiche previsioni, che rimandano a due distinte tipologie di crediti, con limiti edittali di pena assai diversi, riferendosi la fattispecie sia a crediti n spettanti che a crediti inesistenti, categoria quest’ultima per la quale soltanto può essere applicata la misura cautelare; ciò posto, si osserva che l’ordinanza gravata avrebbe eluso una verifica analitica sulla tipologia dei crediti oggetto di indebita compensazione, nonostante la pluralità dei documenti contabili acquisiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito esposti.
1. Iniziando per ragioni di priorità logica dal terzo motivo, con cui si contesta l’assenza di presupposti per l’applicazione di misure cautelari personali, deducendosi che l’ordinanza impugnata ha omesso di verificare se i crediti indebitamente utilizzati fossero inesistenti o semplicemente non spettanti, se ne deve rimarcare l’infondatezza: ed invero, nel ricostruire le vicende relative ai crediti acquisiti dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE” e dalle società “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” con cui si è relazionata società gestita dall’indagato, la “RAGIONE_SOCIALE“, il Tribunale del Riesame ha evidenziato che gli enti societari indicati sono risultati irreperibili presso le sed legali e operative e che hanno generalmente acquistato i crediti poi utilizzati per effettuare le compensazioni da imprese dichiarate fallite o in relazione alle quali è stata disposta d’ufficio la cessazione della partita Iva. Particolarmente significativa risulta la situazione della “RAGIONE_SOCIALE“, la quale, nel 2018, ha presentato una dichiarazione Iva riportante un credito per l’abnorme somma di 1.961.586.00 euro, derivante da operazioni per oltre 25 milioni di euro, tutte non “coperte” da fatture, siccome non solo non rintracciate nella contabilità aziendale, ma non risultanti nemmeno dallo “spesometro integrato”, ossia dalla banca dati istituita presso l’Agenzia delle Entrate per raccogliere le comunicazioni dei dati di tutte le fatture emesse e ricevute dai soggetti passivi dell’Iva.
Sulla base di questi elementi, allo stato, deve ritenersi pertanto non manifestamente illogica l’affermazione dell’ordinanza impugnata secondo cui i crediti utilizzati per effettuare le compensazioni sono del tutto inesistenti.
Di qui l’infondatezza della censura difensiva, invero non adeguatamente specifica.
Sono invece meritevoli di accoglimento le doglianze in punto di gravità indiziaria sollevate con il primo motivo.
2.1. In proposito, occorre innanzitutto richiamare, sul piano metodologico, il consolidato e condiviso principio giurisprudenziale, in forza del quale, in sede cautelare, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza deve essere valutata sia con riguardo agli elementi oggettivi del reato sia con riguardo all’elemento soggettivo, il cui apprezzamento deve tenere conto di tutti gli elementi accertati (cfr. Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 259515, e Sez. 5, n. 42368 del 23/09/2004, Rv. 229952). È stato altresì chiarito che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve tenere conto della regola di giudizio a favore dell’imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto (cfr. Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Rv. 284982-03, e Sez. 3, n. 17527 del 11/01/2019, Rv. 275699).
2.2. Ciò posto, deve innanzitutto rilevarsi che l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME COGNOME, socio e amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, società di cui era legale rappresentante il coindagato NOME COGNOME, abbia concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate: a) dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, composto dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, nel periodo dall’I. aprile 2018 al 30 novembre 2019, per un importo complessivo di 197.998,05 euro, per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavoratori formalmente assunti dal consorzio, ma in realtà in servizio presso la “RAGIONE_SOCIALE” (capo 2); b) dalla “RAGIONE_SOCIALE“, nel periodo dall’i dicembre 2019 al 30 novembre 2020, per un importo complessivo di 53.649,44 euro, per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavoratori formalmente assunti dalla “RAGIONE_SOCIALE“, ma in realtà in servizio presso la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” (capo 4).
A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha premesso che gli accertamenti sono partiti dalle dichiarazioni di alcune persone, le quali avevano riferito di essere state contattate dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME per lavorare presso imprese della provincia di Caltanissetta, e, però, di essere state formalmente assunte da ditte diverse da quelle ad esse indicate nella proposta di lavoro: tra questi, in particolare, vi era NOME COGNOME, il quale ha riferito essere stato contattato per lavorare presso la “RAGIONE_SOCIALE“, e di essere però stato assunto da una società del consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, la “RAGIONE_SOCIALE“, e poi dalla “RAGIONE_SOCIALE“, e solo dall’aprile 2020 dalla “RAGIONE_SOCIALE“, pur avendo lavorato sempre e ininterrottamente presso quest’ultima. Il Tribunale, poi, ha osservato che i successivi accertamenti avevano consentito di accertare che COGNOME e COGNOME avevano operato per vari enti e
società, come il consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, i quali: a) assumevano alle loro dipendenze diversi lavoratori e poi mettevano gli stessi a disposizione di imprese aventi sede nel nisseno, tra cui appunto la “RAGIONE_SOCIALE“, sulla base di contratti di appalto di servizi, applicando ai prestatori di lavoro condizioni deteriori rispetto a quelle ordinarie in materia di retribuzioni, orari di lavoro, compensi per straordinari, permessi e trattamenti di fine rapporto; b) erano privi di compendio aziendale e non avevano mai presentato dichiarazioni Iva; c) avevano compensato, nel periodo tra il 2016 ed il 2021, i debiti previdenziali con altri crediti anche attraverso il meccanismo del c.d. “accollo tributario”.
È stato in particolare evidenziato che: 1) “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2018 per 1.765.557,00 euro e nell’anno 2019 per 475.780,00 euro, ed è risultata irreperibile, all’atto della verifica fiscale, si presso la sede legale, sia presso la sede operativa, come irreperibile è risultata essere anche la sua ultima legale rappresentante, NOME COGNOME; 2) “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2019 per 1.857.278,74 euro, mediante il meccanismo del c.d. “accollo tributario”, quindi in contrasto con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 15 novembre 2017, n. 140, per di più utilizzando crediti di imposta di società dichiarate fallite o estinte, ed è risultat irreperibile presso la sede legale dichiarata; 3) “RAGIONE_SOCIALE” è risultata inesistente presso la sede legale, per l’anno 2018 ha presentato esclusivamente la dichiarazione IVA riportando un credito IVA di 1.961.586,00, risultante da operazioni di cessioni per 187.755,00 euro e di acquisti per 25.266.387,00 euro non documentate da fatture e non risultanti nemmeno dallo “spesometro integrato”, non ha avuto posizione debitorie per lavoratori presso l’RAGIONE_SOCIALE fino al 2018, per poi avere 509 posizioni assicurative per rapporti di lavoro nel 2019 e 402 posizioni assicurative per rapporti di lavoro nel 2020; 4) il consorzio “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2019 per 616.113,00 euro, mediante il meccanismo del c.d. “accollo tributario”, ed utilizzando crediti di imposta di società di cui è stata disposta la cessazione d’ufficio della partita Iva, ed alcune delle quali accollanti anche per la “RAGIONE_SOCIALE“, aveva un amministratore risultato irreperibile, e anche nel 2018 ha effettuato compensazioni indebite per 249.581,98 euro, mediante il meccanismo del c.d. “accollo tributario”, utilizzando crediti di imposta di società spesso risultate irreperibili e che, comunque, non hanno presentato alcuna dichiarazione fiscale oltre quelle ai fini Iva per il 2017, recanti, appunto, i crediti ceduti per consentire le compensazioni. Il Tribunale, quindi, ha rappresentato, con riferimento alla “RAGIONE_SOCIALE“, che tale impresa aveva utilizzato numerosi lavoratori, nominativamente indicati, messi a sua disposizione prima dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, composto dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e poi dalla “RAGIONE_SOCIALE“, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dall’I. aprile 2018 al 30 novembre 2020, e che questi enti si erano limitati a gestire i dipendenti dal punto di vista meramente amministrativo (ad esempio per il pagamento dei contributi e degli stipendi). È stato in tal senso precisato che il ruolo di mera interposizione formale del consorzio “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE” si evinceva sia dalle dichiarazioni fornite dai prestatori di lavoro, i quali hanno riferito di aver ricevuto disposizioni esclusivamente dai fratelli COGNOME, sia dal fatto che i mezzi necessari per lo svolgimento delle attività dei lavoratori erano di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE” ed erano stati messi a disposizione degli altri due enti con un contratto di comodato d’uso gratuito.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che le conclusioni dell’ordinanza impugnata siano viziate laddove ritengono sussistenti i gravi indizi a carico dell’odierno ricorrente con riguardo al profilo del dolo.
Si è rilevato che gli aspetti valorizzati dal Tribunale sono due: quello della necessità del vantaggio economico anche per le imprese appaltatrici e quello della responsabilità solidafe dell’impresa committente. Per un verso, però, la consapevolezza di COGNOME in ordine alla ricerca di vantaggi economici anche da parte delle imprese appaltatrici, le quali assumevano i lavoratori e li mettevano a disposizione della “RAGIONE_SOCIALE“, non presuppone necessariamente la consapevolezza, o l’accettazione del rischio in termini di qualificata probabilità, del ricorso, da parte di queste ditte, a compensazioni mediante l’utilizzo di crediti inesistenti. Invero, risparmi di costi potevano benissimo provenire da trattamenti deteriori dei dipendenti; e, nella specie,
l’ordinanza rappresenta che ciò è avvenuto con riguardo a retribuzioni, orari di lavoro, compensi per straordinari, permessi e trattamenti di fine rapporto.
Sotto l’altro profilo, poi, l’istituto della responsabilità solidale di cui all’art comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, se evidenzia l’interesse dell’impresa committente dell’appalto di servizi a ricevere rassicurazioni sul pagamento dei debiti retributivi e previdenziali, non implica, di per sé, un indizio univoco a carico dei suoi gestori in ordine alla loro consapevolezza, o all’accettazione del rischio in termini di qualificata probabilità, di partecipare a condotte di evasione: la scoperta dell’evasione, proprio per la disciplina della solidarietà, ricade, per intero, per almeno un biennio, anche sull’impresa committente.
In definitiva, in applicazione della regola di giudizio a favore dell’indagato in caso di dubbio, affermata dalla giurisprudenza anche con specifico riguardo alla m teria delle misure cautelari personali, come indicato in precedenza al § 2.1., deve escludersi che sussistano gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato ricorrente con riguardo al dolo necessario perché possa ritenersi configurabile il suo concorso nelle fattispecie di indebita compensazione.
Fondate poi sono anche le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano l’affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte analoghe, deducendo che la “RAGIONE_SOCIALE” ha interrotto ogni rapporto con le ditte appaltatrici indicate nelle imputazioni da tempo, ed ha assunto direttamente persone prima dipendenti di tali ditte.
L’ordinanza impugnata, invero, ha posto a fondamento della misura la gravità, ripetitività ed abitualità delle condotte illecite, nonché l’elevata professionalità e la non comune capacità operativa dell’indagato. Tuttavia, il Tribunale non si è confrontato in alcun modo con il profilo del tempo trascorso dalle condotte.
E occorre considerare che l’ultima delle condotte illecite risale, secondo la contestazione provvisoria, al novembre 2020, ossia a tre anni prima della pronuncia dell’ordinanza che ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, e che non sono indicati fatti successivi dai quali desumere il pericolo di reiterazione, in quanto, anzi, l’attività aziendale, con riguardo alla complessiva gestione del personale, sembra proseguita con criteri di regolarità.
Stante la fondatezza delle censure esposte nel primo e nel secondo motivo, l’ordinanza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ex art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Il Giudice del rinvio accerterà, innanzitutto, se può ritenersi, in termini di gravità indiziaria, che l’odierno ricorrente abbia concorso nella stipula dei contratti di appalto di servizi, e si sia avvalso del personale conseguentemente messo a disposizione, nella consapevolezza che i pagamento degli oneri fiscali e previdenziali a questo relativi sarebbe avvenuto mediante compensazioni effettuate con utilizzazione di crediti inesistenti, o, comunque, accettando il rischio
di tale condotta fraudolenta in termini di qualificata probabilità. A tal fine, ponendo come premessa delle sue valutazioni la richiamata regola di giudizio del favore dell’indagato in caso di dubbio, esaminerà tutti gli elementi disponibili, curando di non incorrere nelle lacune motivazionali indicate in precedenza al § 3.
Il Giudice del rinvio, da ultimo, ove ritenga accertati i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, anche avendo riguardo al dolo, valuterà se sussistono le esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. pure alla luce della distanza temporale delle condotte contestate rispetto al momento dell’applicazione della misura e del successivo comportamento dell’indagato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso il 12/04/2024