Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33874 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33874 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Mussomeli il DATA_NASCITA, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; COGNOME NOME, nato a Mussomeli il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nata ad Avezzano il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziarla rispetto al reato associativ riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, il reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzionale, mentre, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. ritenev configurabile non il contestato delitto di truffa aggravata, ma quello di indebita compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze RAGIONE_SOCIALE verifiche fiscali eseguite in capo all imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., disponeva, in relazione al capo 4 della provvisoria imputazione, il sequestro preventivo diretto, fino alla concorrenza dell’importo di 53.649,44 euro, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE; il sequestro preventivo diretto e per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo di 53.649,44 euro, di beni mobili e immobili, somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, o, in via subordinata, in caso di incapienza parziale o totale dei beni riconducibili alla società, il sequestro per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo di 53.649,44 euro, di beni mobili e immobili, di somme di denaro ‘giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancar intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, hanno proposto ricorso per cassazione, tramite í rispettivi difensori, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.1. NOME .COGNOME e NOME COGNOME, tramite il loro comune difensore, AVV_NOTAIO COGNOME, hanno proposto un ricorso unitario, sollevando tre motivi.
Con il primo, è stata eccepita la violazione degli art. 321 cod. proc. pen. e 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, rimarcandosi il difetto della soglia di punibilità, atteso che il profitto ingiusto stimato dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza si è rivelato frutto di un conteggio inappropriato, nel senso che per l’anno 2019 il totale degli oneri contributivi non pagati, sommati agli oneri fiscali non pagati, restituisce un importo annuo di 14.025,25, al di sotto della soglia, come pure per l’anno 2020 il totale degli oneri contributivi non pagati, sommati agli oneri fiscali non pagati, restituisce un importo annuo di 39.624,17, anch’esso al di sotto della soglia di 50.000 euro.
Con il secondo motivo, la difesa censura la valutazione del fumus commisi delicti, osservando che l’avere il Tribunale ribadito il primato della legge speciale sulla originaria ipotesi di truffa avrebbe dovuto comportare una riflessione ulteriore in tema di eventuale responsabilità concorsuale degli indagati, soggetti estranei sia alla condotta tipica che all’evento tipico del reato tributario, tanto più ove consideri che il modello accertato di elusione fiscale, di cui in via diretta si sarebbe reso autore il RAGIONE_SOCIALE, si è alimentato in assoluta autonomia; si contesta, in particolare, la dichiarata diffidenza con cui è stato giudicato il contratto di appalto che ha legato la società al RAGIONE_SOCIALE, non essendosi considerato che la sottoscrizione dell’appalto è stata preceduta da un provvedimento con cui un’apposita Commissione ministeriale ha sancito la congruità dell’attività posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE. Né si è considerato che l’eventuale consapevolezza di un’elusione studiata e condivisa avrebbe semmai inevitabilmente esposto la società RAGIONE_SOCIALE a una duplice forma di danno, il primo legato ai pagamenti che nel tempo sono sempre stati regolarmente corrisposti dietro fattura al RAGIONE_SOCIALE, e il secondo legato a una sostanziale e ulteriore ripetizione RAGIONE_SOCIALE somme che erano state indebitamente compensate dal RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sul periculum in mora, rilevandosi che il Tribunale ha omesso di considerare l’enorme lasso di tempo trascorso dall’epoca di consumazione dei fatti, atteso che il rapporto intrattenuto con le tre società del RAGIONE_SOCIALE è cessato in data 30 novembre 2019, essendo pacifico che a partire da tale data la RAGIONE_SOCIALE non ha fatto più ricorso a ulteriori forme di intesa con altre società di appalto. A ciò si aggiunge che la RAGIONE_SOCIALE è azienda leader nel settore, la cui attività commerciale è del tutto attuale e vitale.
3.2. NOME COGNOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, tramite l’AVV_NOTAIO COGNOME, ha sollevato tre motivi sovrapponibili a quelli del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME, per cui si rinvia alla relativa esposizione.
3.3. Con memoria del 28 maggio 2024, l’AVV_NOTAIO COGNOME, quale difensore di NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi, richiamando l’esito favorevole del procedimento n. 303 del 2024 definito da questa Sezione in data 12 aprile 2024, a seguito dei ricorsi di NOME e NOME COGNOME.
3.4. NOME COGNOME, tramite l’AVV_NOTAIO COGNOME, ha sollevato un unico motivo, con cui la difesa ha dedotto la violazione del ne bis in idem cautelare, rilevandosi che, come era stato osservato dal G.I.P., in relazione a tutte le operazioni di compensazione per cui si procede, è stata già esercitata l’azione penale in altre sedi giudiziarie, non avendo il P.M. fornito alcun dato certo, in forza del quale possa escludersi una duplicazione del presente procedimento.
Il Tribunale del riesame, aderendo in maniera illogica alla prospettazione accusatoria, quanto alla posizione dell’odierno ricorrente, avrebbe omesso di considerare l’esistenza (prima presso la Procura della Repubblica di Roma e poi presso la Procura di Torino dove il fascicolo fu trasmesso per competenza) del procedimento penale R.G.N.R. n. 16240/2022 iscritto a carico di «COGNOME NOME», evincendosi dai capi di incolpazione provvisoria che NOME COGNOME risulta essere stato legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dal 16 gennaio 2019 al 29 gennaio 2020 e dal 31 agosto 2020 alla data odierna, per cui tale circostanza indurrebbe a ritenere che tra i citati NOME coindagati vi sia anche NOME COGNOME, che è stato anch’egli legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.5. NOME COGNOME, tramite l’AVV_NOTAIO COGNOME, ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa censura la valutazione del fumus commisi delicti, osservando che l’indagata ha rivestito il ruolo di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE, società costituita nel 2017, dal 27 gennaio al 12 marzo 2020, ossia per soli 44 giorni, nei quali la ricorrente non ha compiuto alcuna operazione riconducibile alle contestazioni, non sottoscrivendo contratti di appalto e non compensando debiti tributari, essendo proseguita la gestione amministrativa solo con l’elaborazione RAGIONE_SOCIALE buste paga, RAGIONE_SOCIALE fatture e con il pagamento degli stipendi.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., non avendo i giudici cautelari indicato le ragioni che avrebbero reso necessario anticipare l’effetto ablativo prima della definizione del giudizio in termini di periculum in mora, che deve essere attuale e concreto, e per aver fornito un’erronea interpretazione della nozione di profitto del reato, ritenendo soddisfatto solo in via presuntiva l’onere di accertare il profitto del reato concretamente riconducibile alla ricorrente, atteso che nessun rapporto diretto, di natura personale o economica, sarebbe emerso tra i coindagati, specie per NOME COGNOME, che ha ricoperto per soli 44 giorni l’incarico di amministratrice della società.
3.5.1. Con memoria del 17 maggio 2024, il difensore della COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso, richiamando sia le considerazioni del Procuratore generale, sia l’esito favorevole del procedimento n. 302 del 2024 definito da questa Sezione in data 12 aprile 2024, a seguito di ricorso della medesima indagata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato e assorbente il primo motivo del ricorso della COGNOME, mentre gli NOME ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.
Iniziando dal ricorso della COGNOME, deve premettersi che le censure difensive investono la sola posizione soggettiva della ricorrente e la sua responsabilità concorsuale, non anche la ricostruzione del più generale contesto in cui si inseriscono i fatti, riferiti a un articolato meccanismo fraudolento incentrato sulla stipula di numerosi contratti di appalto di servizi che mascheravano illecite somministrazioni di personale. Tale espediente, al di là del suo rilievo penale ai sensi ex art. 38 bis del d. Igs. 81 del 2005 (titolo di reato non deducibile in sede cautelare, stante la natura contravvenzionale della relativa violazione), consentiva alle società committenti di evadere gli oneri contributivi e previdenziali e alle società appaltatrici di opporre in compensazione crediti fittizi.
Ribadito che lo scenario complessivo della vicenda non è oggetto di doglianza, occorre evidenziare che, quanto alla posizione dell’indagata, il Tribunale del Riesame ha ripercorso le risultanze investigative da cui è emersa la natura fittizia dei crediti portati in compensazione, in quanto derivanti da fraudolente annotazioni nelle scritture contabili e dalla falsa annotazione di fatture emesse per operazioni inesistenti. Ciò posto, i giudici dell’impugnazione cautelare hanno osservato che, una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode, l’assunzione della gestione, anche solo da un punto di vista formale, RAGIONE_SOCIALE società coinvolte (come, ad esempio, nel caso della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE) e, conseguentemente, della supervisione RAGIONE_SOCIALE operazioni illecite dalle stesse poste in essere implicava evidentemente la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, alla cui realizzazione era, del resto, finalizzata la previa assunzione del debito fiscale mediante fittizi contratti di appalto.
1.1. Orbene, il percorso argomentativo del Tribunale del Riesame non si sottrae alle censure difensive, non potendosi sottacere che nel provvedimento impugnato sono rimaste prive di risposta, integrando ciò un profilo di violazione di legge, le obiezioni difensive volte a rimarcare la circostanza, di per sé non proprio irrilevante, che la COGNOME è stata amministratrice della RAGIONE_SOCIALE solo nel breve periodo compreso tra il 27 gennaio e il 12 marzo 2020, non essendo stato chiarito se in questo circoscritto arco temporale siano stati stipulati contratti d appalto o siano stati comunque portati in compensazione crediti fittizi. Tale accertamento avrebbe dovuto invece assumere carattere pregnante, non potendosi desumere, in via automatica e apodittica, il coinvolgimento nell’attività illecita dal mero status di legale rappresentante ricoperto in un periodo così limitato nell’ambito di una RAGIONE_SOCIALE società inserite nel meccanismo fraudolento.
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In tal senso, non può non rimarcarsi che le date di utilizzazione dei falsi crediti in compensazioni non sono specificate, per cui non può affermarsi con ragionevole certezza che la COGNOME, sia pure indirettamente, abbia avuto un ruolo nella vicenda, come pure non è proprio irrilevante il dato che i contratti di appalto di cui si discute sembrano essere stati stipulati in epoca non coincidente con quella in cui in cui l’indagata ha ricoperto la carica di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE, società che risulta attiva già dal 2017, ossia dal ben prima del 27 gennaio 2020, in cui ha avuto luogo l’assunzione della carica da parte della COGNOME.
1.2. Alla luce di tali considerazioni, si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con conseguente rinvio al Tribunale del Riesame di Caltanissetta per nuovo giudizio, dovendosi approfondire in sede di merito, ai fini della valutazione sul fumus commisi delicti, se, al di là della formale assunzione della legale rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE nel breve periodo prima indicato (45 giorni), la ricorrente abbia compartecipato attivamente, sia pure in maniera indiretta, alla commissione RAGIONE_SOCIALE condotte penalmente rilevanti, condotte di cui andranno conseguentemente chiarite le coordinate temporali, ciò al fine di stabilire un eventuale collegamento tra la veste dell’indagata e la commissione degli atti (stipula dei contratti di appalto, utilizzo in compensazione dei crediti fittizi o alt integranti, nelle loro diverse fasi, la progressione criminosa dei reati contestati. L’accoglimento RAGIONE_SOCIALE censure in punto di fumus commissi delicti deve ritenersi
assorbente rispetto alla valutazione RAGIONE_SOCIALE doglianze sul periculum in mora.
Venendo alla posizione di COGNOME, se ne deve rimarcare l’inammissibilità, posto che le censure sulla violazione del divieto di bis in idem, fondate sul rilievo che i fatti oggetto di questo procedimento sono gli stessi che costituiscono oggetto del procedimento penale pendente a Torino, risultano manifestamente infondate. Sul punto deve rilevarsi che il divieto di bis in idem non derivante da giudicato, come afferma ripetutamente la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente (così Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800 – 01, nonché Sez. 6, n. 41380 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285354 – 01, e Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, Catapano, Rv. 269422 – 01). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno precisato che: «il riferimento alle regole sui conflitti risulta indubbiamente corretto nei casi d duplicazione del processo dinanzi a sedi giudiziarie diverse, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un “conflitto positivo proprio”
risolubile mediante l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni degli art. 28 e segg. In simili casi, il criterio di risoluzione della litispendenza deve essere costituit dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del codice che regolano la competenza, che devono sempre prevalere sui parametri empirici della progressione o della maggiore ampiezza della regiudicanda, il cui impiego può considerarsi consentito a condizione che la concentrazione dei procedimenti si realizzi dinanzi al giudice “precostituito per legge” in base alle norme sulla competenza» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 3.2). Ed hanno aggiunto: «l’operatività del principio generale del ne bis in idem presuppone proprio la pluralità di procedimenti ed è subordinata alle sole condizioni della perfetta coincidenza della regiudicanda (stesso imputato e medesimo fatto), dell’identità dell’ufficio del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale e dell’identità dell’ufficio del giudice chiamato a pronunciare una decisione rispetto alla quale, avendo già provveduto sul medesimo oggetto, ha definitivamente esaurito il suo compito» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 5.2). Sembra utile rappresentare, inoltre, che, nel caso di procedimenti pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, l’applicazione del principio del ne bis in idem e non RAGIONE_SOCIALE disposizioni sui conflitti positivi di competenza finirebbe per infrangere il complesso sistema procedurale apprestato dal legislatore per la salvaguardia degli ambiti di giurisdizione riconosciuti a ciascun giudice, sostituendolo arbitrariamente con quello della priorità della procedura (cfr. Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, cit.). idem,
In applicazione del principio precedentemente indicato, risulta evidente che, nel caso di specie, non è in alcun modo ipotizzabile l’applicazione del divieto di bis in atteso che il procedimento asseritamente relativo ai medesimi fatti e nei confronti della stata persona è pendente in una sede giudiziaria, Torino, ben distinta da quella in cui è radicato il presente procedimento, Caltanissetta.
Per nessuno di essi, inoltre, si è pervenuti a una sentenza irrevocabile.
Di conseguenza, allo stato, in considerazione di quanto esposto in precedenza, il ricorrente, per contestare l’asserita indebita duplicazione dei procedimenti, è ammesso a fruire dei rimedi previsti per i conflitti dì competenza, ma non può certo invocare una pronuncia di non luogo a procedere per violazione del principio del ne bis in idem. Di qui l’infondatezza manifesta della doglianza difensiva.
2.1. Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Residuano i ricorsi, del tutto sovrapponibili, proposti da NOME e NOME COGNOME, e da NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
3.1. Non meritevoli di accoglimento sono innanzitutto le doglianze in punto di fumus commisi delicti sollevate con il primo e il secondo motivo, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
3.2. In via preliminare, occorre richiamare in proposito la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
3.3. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile, avuto riguardo alla specifica posizione dei RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME e NOME COGNOME, rispettivamente legale rappresentante e socio della RAGIONE_SOCIALE, società committente, abbiano concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate dal soggetto appaltatore (“RAGIONE_SOCIALE“) per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavoratori formalmente assunti dall’appaltatore, ma in realtà in servizio presso la RAGIONE_SOCIALE
A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha richiamato gli accertamenti investigativi da cui è emersa l’esistenza di una fitta rete di enti variamente dislocati sul territorio nazionale che, assumendo la veste formale di soggetto appaltatore, simulavano contratti di appalto di servizi con i rappresentanti di alcune imprese committenti locali al fine di dissimulare una fraudolenta somministrazione di lavoratori dalla società appaltatrice a quella committente, di modo che le imprese locali, gestendo il personale senza assumere la veste formale di datori di lavoro, realizzavano un ingiusto arricchimento, omettendo di assolvere all’obbligo di
versamento dei contributi all’RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE imposte relative ai rapporti di lavoro, mentre le imprese appaltatrici, quali formali datori di lavoro, pur assumendo il debito fiscale, previdenziale e contributivo, eludevano l’effettivo versamento dei relativi importi, opponendo crediti fittizi all’RAGIONE_SOCIALE e all’RAGIONE_SOCIALE.
In questo contesto, i coindagati COGNOME e COGNOME, grazie alla intermediazione di NOME COGNOME e del consulente del lavoro NOME COGNOME, sono entrati in particolare in contatto con NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente legale rappresentante e socio della RAGIONE_SOCIALE, società nissena committente, ora legalmente rappresentata da NOME COGNOME, in ultimo beneficiaria RAGIONE_SOCIALE compensazioni indebite direttamente realizzate dalle società appaltatrici.
Nel calcolare la somma algebrica degli importi RAGIONE_SOCIALE indebite compensazioni, i giudici cautelari hanno ritenuto superata la soglia di punibilità del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, essendo la relativa somma pari a 53.649,44 euro, apparendo la valutazione del Tribunale coerente con il principio affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 20718 del 21/01/2022, Rv. 283343), secondo cui, in tema di indebita compensazione, la valutazione del “quantum” dei crediti non spettanti o inesistenti, necessaria ai fini della verifica del superamento della soglia legale di punibilità, deve essere unitaria e complessiva, non essendo consentita la suddivisione della soglia per ogni singola imposta.
In ogni caso, le censure difensive sul punto risultano non adeguatamente specifiche, oltre che connotate da palesi limiti di autosufficienza, stante la mancata allegazione degli elementi di prova indicati a supporto RAGIONE_SOCIALE proprie deduzioni, per cui la riqualificazione giuridica del fatto operata dal G.I.P. prima e dal Tribunale poi non può allo stato ritenersi lesiva RAGIONE_SOCIALE prerogative difensive, e ciò anche in ragione della fluidità che spesso connota le imputazioni della fase cautelare.
Con riferimento alla posizione degli odierni ricorrenti, l’ordinanza impugnata ha poi sottolineato che in capo agli stessi era ravvisabile il dolo richiesto ai fini de configurabilità del reato, ciò in ragione del fatto che il meccanismo dell’opposizione al Fisco di crediti inesistenti rappresentava uno stratagemma essenziale per la riuscita della frode, atteso che chi agiva in nome e per conto della società committente non poteva accontentarsi del solo trasferimento ai coindagati che rappresentavano le società appaltatrici dei loro debiti fiscali, ma doveva pretendere necessariamente che questi ultimi provvedessero, sia pur fittiziamente, ad assolvere al pagamento del debito medesimo, non potendo quindi disinteressarsi RAGIONE_SOCIALE modalità attraverso le quali ciò sarebbe accaduto, rientrando dunque evidentemente la compensazione del debito fiscale nell’accordo criminoso. In tal senso, è stato altresì ricordato il meccanismo della responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nel caso di appalto di servizi, per il trattamento retributivo
per i contributi previdenziali e per i premi assicurativi dovuti dall’appaltatore e da eventuali subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di servizi, ed entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto, da ciò ricavandosi che l’impresa beneficiaria, perché potesse effettivamente liberarsi del debito tributario, non doveva limitarsi a trasferirlo sul terzo appaltatore, ma doveva assicurarsi che quest’ultimo riuscisse a simularne il pagamento, incorrendo in caso contrario nell’azione di recupero dello Stato, che avrebbe potuto agire anche nei confronti del soggetto committente.
3.4. Orbene, rimarcato il differente standard valutativo richiesto ai fini dell’adozione RAGIONE_SOCIALE misure personali e di quelle reali, deve osservarsi che il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, in quanto fondato su una disamina non manifestamente illogica RAGIONE_SOCIALE fonti investigative disponibili, non presta il fianco alle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa circa il concreto ruolo assunto nella vicenda dai COGNOME ben potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che, per quanto in questa sede rileva, il provvedimento impugnato risulta sorretto da un corpus argomentativo non definibile come apparente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
3.5. Parimenti immune da censure è la valutazione sulla sussistenza del periculum in mora, contestata con il terzo motivo.
Deve innanzitutto ribadirsi al riguardo che i giudici cautelari hanno correttamente individuato l’importo da sequestrare in 53.649,44 euro, somma corrispondente al risparmio di spesa conseguito in virtù del mancato pagamento dell’obbligazione tributaria derivante dall’indebita compensazione di cui al capo 4, avente ad oggetto tale importo. Tale impostazione è coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 03), secondo cui, in tema di indebita compensazione di crediti di imposta, il profitto del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è costituito dall’importo corrispondente all’imposta evasa nella sua totalità, dovendosi a ciò aggiungere che il Tribunale, nell’individuare l’ordine con cui procedere all’apprensione dei beni, ha altresì fatto buon governo del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258647, Gubert), ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rv. 272238, Sez.
3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Rv. 271254 e Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, Rv. 262770), secondo cui, in tema di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del rea nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Ciò premesso, l’ordinanza impugnata, nel richiamare e nell’applicare correttamente i dettami RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, ricorrente Ellade) in ordine all’onere di motivare, in caso di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. finalizzato alla confisca, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ha valorizzato, in modo non · improprio, il concreto rischio che i legali rappresentanti RAGIONE_SOCIALE società coinvolte nelle indebite compensazioni possano far disperdere le somme conseguite tramite manovre fraudolenti, rendendo così impraticabile una successiva confisca, dovendosi tenere conto in tal senso RAGIONE_SOCIALE modalità elusive con cui sono stati commessi i reati, peraltro in un ambito territoriale non circoscritto, risultando a fronte di tale rilievo recessivo il fattore temporale valorizzato nel ricorso.
Anche in tal caso, invero, le doglianze difensive sostanzialmente evocano vizi motivazionali del provvedimento impugnato che, come si è precisato, esulano dal perimetro del giudizio di legittimità in materia cautelare reale.
3.6. Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell’interesse di NOME e NOME COGNOME, e da NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente a COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Ger”, COGNOME NOME, COGNOME NOME quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 04.06.2024