Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36117 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36117 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nata a San Cataldo il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a San Cataldo il DATA_NASCITA, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante COGNOME COGNOME, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di COGNOME e per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata relativamente agli altri ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziaria rispetto al reato associat riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, i reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzionali, mentre, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. riten configurabile non il contestato delitto di truffa aggravata, ma quello di indebit compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze RAGIONE_SOCIALE verifiche fiscali eseguite in capo al imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., disponeva, in relazione al capo 7 della provvisoria imputazione, il sequestro preventivo diretto, fino alla concorrenza dell’importo di 63.213,88 euro, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rappor bancari intestati o cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità dell RAGIONE_SOCIALE; il sequestro preventivo diretto e per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo di 63.213,88 euro, di beni mobili e immobili, somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestat cointestati, riconducibili o comunque nella disponibilità del RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, o, in via subordinata, in caso di incapienza parziale o totale dei beni riconducibili alla società, il sequestr per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo di 63.213,88 euro, di beni mobili e immobili, di somme di denaro giacenti su conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, nella disponibili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
3.1. COGNOME, tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa censura l’erronea riqualificazione del fatto, osservando che, nel ritenere configurabile il delitto di indebita compensazione in luogo di quello di truffa aggravata, il Tribunale del Riesame sarebbe incorso in un errore di diritto,
avendo enucleato un fatto diverso, rispetto al quale difettava l’iniziativa del P.M. il quale, invero, nella richiesta cautelare, aveva precisato che per il reato ex ar 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000 si procedeva separatamente.
E del resto il delitto di indebita compensazione, proprio perché speciale rispetto al reato di truffa, come correttamente precisato nell’ordinanza impugnata, presenta rispetto a quest’ultima fattispecie elementi distinti e ulteriori, in ordine ai quali vi è stata contestazione, con conseguente difetto di contraddittorio.
Con il secondo motivo, è stata eccepita la violazione del ne bis in idem cautelare, rilevandosi che è stato documentato dalle difese che, in relazione a tutte le operazioni di compensazione, pende dinanzi all’Autorità giudiziaria di Torino il procedimento penale n. 24781/2019 R.G.N.R., nel quale il P.M. ha già esercitato l’azione penale e nel quale è stato anche disposto il sequestro per equivalente RAGIONE_SOCIALE somme che si ritengono evase, per cui il fatto che il P.M. torinese non abbia ravvisato la presenza di concorrenti/beneficiari nel reato di indebita compensazione che si contesta a COGNOME non comporta che questi debba rispondere al Tribunale di Caltanissetta, in ordine alle stesse operazioni, di un reato diverso.
3.2. NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, tramite il loro comune difensore, avvocato NOME, hanno sollevato sei motivi.
Con il primo, è stata eccepita la violazione dell’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, rimarcandosi il difetto della soglia di punibilità, atteso che il capo 7 indi cifre totali che si riferiscono a due anni, nel senso che l’importo di 63.213,88 euro deriva dalla sommatoria di 31.825,86 euro di oneri contributivi e di 31.388.02 euro di oneri fiscali, importi questi riferiti a due distinte annualità, 2018 e 20 precisandosi al riguardo che per nessuno di tali anni è stata raggiunta la soglia di punibilità di 50.000 euro annui.
Con il secondo motivo, si contesta la valutazione indiziaria, evidenziandosi che è stato erroneamente individuato il concorso di persone di NOME COGNOME nel reato di false compensazioni con le imprese committenti, mentre lo stesso doveva essere ritenuto persona offesa del reato di truffa, non potendo il concorrente ex art. 110 cod. pen. rivestire anche la contestuale veste di danneggiato principale del medesimo reato, dovendosi considerare che il ricorrente, dopo aver pagato il costo dell’appalto, è rimasto debitore dell’intero nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, ciò quanto il decreto legge n. 25 del 2017, convertito dalla legge n. 49 del 2017, ha modificato l’art. 29 del d. Igs. n. 276 del 2003 in tema di appalto di lavoro, estendendo l’operatività della già esistente responsabilità solidale, eliminando la possibilità per il committente di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore o del subappaltatore, per cui, a seguito di tale modifica, lavoratori ed enti possono liberamente scegliere di agire in giudizio direttamente nei confronti del committente, che spesso presenta maggiori
garanzie di solvibilità rispetto al soggetto appaltatore, e di chiedere direttamente a lui il pagamento.
Con il terzo motivo, ci si duole del difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto alla circostanza che NOME COGNOME, prima della conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, ha presentato querela nei confronti RAGIONE_SOCIALE ditte appaltatrici che gli fornivano il personale, il che non si conci affatto con l’ipotesi di un accordo criminale con gli autori materiali del reato giustificando piuttosto la presentazione della querela, volta a fare luce sull’accaduto, una lettura alternativa dei fatti, con la quale il Tribunale avrebbe del tutto omesso di confrontarsi.
Con il quarto motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 18, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, per avere il Tribunale individuato la competenza per territorio utilizzando il criterio sussidiario del luogo di accertamento del reat anziché il luogo di commissione del reato, che, come si desume dallo stesso atto di appello del P.M., va individuato nel circondario del Tribunale di Torino, dove sono incardinati già quattro procedimenti penali, in ragione del fatto che nella città piemontese insiste la sede RAGIONE_SOCIALE ditte appaltatrici ritenute autrici materiali de reato, che si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello TARGA_VEICOLO.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è la violazione degli art. 310 e 322 bis cod. proc. pen., per avere il Tribunale riqualificato il reato di truffa aggravat ai danni dello Stato nel reato di concorso in indebita compensazione, reato per il quale il capo di imputazione indica che la Procura sta procedendo separatamente. Si evidenzia al riguardo che il G.I.P. e il Tribunale hanno condiviso la medesima qualificazione giuridica contraria a quella richiesta della Procura, pervenendo tuttavia a esiti opposti sulla possibilità di procedere al sequestro; ciò, tuttav avrebbe imposto di considerare la rilevanza della pendenza degli altri procedimenti che lo stesso P.M. ammette essere pendenti presso altre Procure della Repubblica
Con il sesto motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sul periculum in mora, rilevandosi che la RAGIONE_SOCIALE, dopo aver scoperto il meccanismo fraudolento volto a sottrarre le somme destinate al pagamento dei contributi, ha provveduto ad assumere i dipendenti, pagando gli stipendi e gli altri oneri. La valutazione del periculum in mora effettuata dal Tribunale non avrebbe tenuto poi conto dei due anni successivi di «totale fedeltà fiscale», della circostanza che l’impresa continua a operare sul territorio, e, soprattutto, della dissociazione avvenuta con la qu
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il primo motivo del ricorso dì COGNOME, mentre i ricorsi di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE sono inammissibili.
1. Iniziando dal ricorso di COGNOME e partendo per ragioni di priorità logica dal secondo motivo, occorre osservare che sono infondate le censure che contestano la violazione del divieto di bis in idem, sul rilievo che i fatti oggetto del presente procedimento sono gli stessi che costituiscono oggetto del procedimento penale pendente a Torino. Sul punto deve evidenziarsi che il divieto di bis in idem non derivante da giudicato, come afferma ripetutamente la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positiv di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente (così Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800 – 01, nonché Sez. 6, n. 41380 del 19/09/2023, COGNOME, Rv. 285354 – 01, e Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, Catapano, Rv. 269422 – 01). Le Sezioni Unite, in particolare, hanno precisato che: «il riferimento alle regole sui conflitti risulta indubbiamente corret nei casi di duplicazione del processo dinanzi a sedi giudiziarie diverse, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un “conflitto positivo proprio” risolubile mediante l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni degli art. 28 e segg. In simil casi, il criterio di risoluzione della litispendenza deve essere costitui dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del codice che regolano la competenza, che devono sempre prevalere sui parametri empirici della progressione o della maggiore ampiezza della regiudicanda, il cui impiego può considerarsi consentito a condizione che la concentrazione dei procedimenti si realizzi dinanzi al giudice “precostituito per legge” in base alle norme sulla competenza» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 3.2). Ed hanno aggiunto: «l’operatività del principio generale del ne bis in idem presuppone proprio la pluralità di procedimenti ed è subordinata alle sole condizioni della perfetta coincidenza della regiudicanda (stesso imputato e medesimo fatto), dell’identità dell’ufficio del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale e dell’identità dell’ufficio de giudice chiamato a pronunciare una decisione rispetto alla quale, avendo già provveduto sul medesimo oggetto, ha definitivamente esaurito il suo compito» (Sez. Un., n. 34655 del 28/06/2005, cit., in motivazione, § 5.2). Sembra utile rappresentare, inoltre, che, nel caso di procedimenti pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, l’applicazione del principio del ne bis in idem e non RAGIONE_SOCIALE disposizioni sui conflitti positivi di competenza finirebbe per infrangere il complesso sistema procedurale apprestato dal legislatore per la salvaguardia degli ambiti di giurisdizione riconosciuti a ciascun giudice, sostituendolo arbitrariamente con quello della priorità della procedura (cfr. Sez. 5, n. 10037 del 19/01/2017, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In applicazione del principio precedentemente indicato, risulta evidente che, nel caso di specie, non è in alcun modo ipotizzabile l’applicazione del divieto di bis in idem, atteso che il procedimento asseritamente relativo ai medesimi fatti e nei confronti della stata persona è pendente in una sede giudiziaria, Torino, ben distinta da quella in cui è radicato il presente procedimento, Caltanissetta.
Per nessuno di essi, inoltre, si è pervenuti a una sentenza irrevocabile.
Di conseguenza, allo stato, in considerazione di quanto esposto in precedenza, l’attuale ricorrente, per contestare l’asserita indebita duplicazione de procedimenti, è ammessa a fruire dei rimedi previsti per i conflitti di competenza, ma non può certo invocare una pronuncia di non luogo a procedere per violazione del principio del ne bis in idem. Di qui l’infondatezza della doglianza difensiva.
In particolare, non risultano ben chiare le date e i luoghi di presentazione dei modelli F24, su cui si incentra il meccanismo illecito sotteso alla previsione ex art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, richiamando il precetto penale la norma di cui all’art. 17 del d. Igs. n. 241 del 1997 che disciplina appunto le modalità operative RAGIONE_SOCIALE compensazioni. A ciò deve poi aggiungersi che non risulta
adeguatamente approfondito il tema del superamento o meno della soglia di punibilità del reato, non comprendendosi se le cifre riportate nell’ordinanza impugnata siano riferite all’ammontare dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione dalle società che figuravano come appaltatrici di servizi, o piuttosto all’importo dei risparmi di spesa derivanti dall’evasione fiscale contributiva realizzata dalle società committenti.
La questione merita invece di essere chiarita compiutamente, alla luce innanzitutto del principio elaborato da questa Corte (cfr. 3, n. 34966 del 16/10/2020, Rv. 280428 e Sez. 3, n. 14763 del 19/02/2020, Rv. 279119), secondo cui, in tema di reati tributari, la soglia di rilevanza penale di cui all’art. 10 quater, del d. Igs. n. 74 del 2000, pari a cinquantamila euro annui, va riferita all’ammontare dei crediti non spettanti utilizzati per le compensazioni indebite, e non alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate, con la conseguenza che, per accertare il superamento della soglia, occorre procedere alla somma algebrica degli importi dei crediti inesistenti o non spettanti portati in compensazione. Allo stesso modo, occorre richiamare l’orientamento, condiviso dal Collegio, in forza del quale il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater riguarda l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia tributari che di altra natura, per il c pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario (cfr. Sez. 3, n. 552 del 01/12/2022, dep. 2023, Rv. 283920, nonché Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022, Rv. 283236), per cui va ribadito che, ai fini del superamento della soglia di punibilità, rilevano non solo gli omessi versamenti dovuti a titolo imposta, ma anche gli omessi versamenti dovuti ad oneri contributivi.
1.2. Sulla delimitazione della condotta dal punto di vista contenutistico e spazio-temporale e sulla verifica della soglia di punibilità, l’ordinanza impugnata ha mancato di fornire risposte adeguate, per cui il provvedimento oggetto di ricorso deve essere annullato con rinvio nei confronti di COGNOME, dovendo il Tribunale del Riesame verificare se e in che termini, alla luce RAGIONE_SOCIALE acquisizioni investigative disponibili e già note alla difesa, nonché degli elementi essenziali desumibili dalle contestazioni provvisorie, sia configurabile il ravvisato reato di indebit compensazione, reato di cui andranno pertanto illustrate le coordinate spaziotemporali e le modalità della relativa condotta, dovendo altresì essere accertato il superamento o meno della soglia di punibilità, alla luce RAGIONE_SOCIALE premesse interpretative sopra richiamate.
Residuano i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE
3.1. Partendo per ragioni di priorità logica dal quarto motivo, deve osservarsi che il rigetto dell’eccezione di competenza per territorio non presenta vizi di legittimità deducibili in questa sede, avendo l’ordinanza impugnata (pag. 7) richiamato, in maniera pertinente, la condivisa affermazione di questa Corte (cfr.
Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, Rv. 285747 – 02 e Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057), secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per territorio per il delitto di indebita compensazione, rileva il luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente nell’ann interessato, mediante inoltro del modello F24 ovvero, se non è possibile la sua individuazione, il luogo di accertamento del reato ai sensi dell’art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen. Ora, premesso che nel caso di specie non è emerso in maniera chiara il luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente, legittimamente giudici cautelari hanno fatto riferimento al luogo di accertamento del reato, individuato in Caltanissetta, dove la locale Procura della Repubblica ha provveduto a dirigere e a portare avanti le attività investigative, impostazione questa coerente con il principio elaborato da questa Corte (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260992), secondo cui il luogo dell’accertamento nei reati tributari va individuato nella sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta un’effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e RAGIONE_SOCIALE informazioni da sottoporre a verifica. Ne consegue che la censura difensiva si palesa come manifestamente infondata.
3.2. Non meritevoli di accoglimento sono invece le doglianze in punto di fumus commisi delitti sollevate con il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
3.3. In via preliminare, occorre richiamare in proposito la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
3.4. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, non sia configurabile, avuto riguardo alla posizione di NOME e NOME e della RAGIONE_SOCIALE, né una violazione
di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente legale rappresentante e amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società committente, abbiano concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate dal RAGIONE_SOCIALE, composto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di appaltatore per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavorator formalmente assunti dal RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà in servizio presso la RAGIONE_SOCIALE
A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha richiamato gli accertamenti investigativi da cui è emersa l’esistenza di una fitta rete di enti variamente dislocat sul territorio nazionale che, assumendo la veste formale di soggetto appaltatore, simulavano contratti di appalto di servizi con i rappresentanti di alcune imprese committenti locali al fine di dissimulare una fraudolenta somministrazione di lavoratori dalla società appaltatrice a quella committente, di modo che le imprese locali, gestendo il personale senza assumere la veste formale di datori di lavoro, realizzavano un ingiusto arricchimento, omettendo di assolvere all’obbligo di versamento dei contributi all’RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE imposte relative ai rapporti di lavoro mentre le imprese appaltatrici, quali formali datori di lavoro, pur assumendo il debito fiscale, previdenziale e contributivo, eludevano l’effettivo versamento dei relativi importi, opponendo crediti fittizi all’RAGIONE_SOCIALE e all’RAGIONE_SOCIALE.
I coindagati COGNOME e COGNOME, grazie alla intermediazione di NOME COGNOME e del consulente del lavoro NOME COGNOME, sono entrati in particolare in contatto con NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente legale rappresentante e amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società committente, in ultimo beneficiari RAGIONE_SOCIALE compensazioni indebite direttamente realizzate dalle società appaltatrici.
Nel calcolare la somma algebrica degli importi RAGIONE_SOCIALE indebite compensazioni, i giudici cautelari hanno ritenuto superata la soglia di punibilità del reato di cu all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, essendo la relativa somma pari a 63.213,88 euro, apparendo la valutazione del Tribunale coerente con il principio affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 20718 del 21/01/2022, Rv. 283343), secondo cui, in tema di indebita compensazione, la valutazione del “quantum” dei crediti non spettanti o inesistenti, necessaria ai fini della verifica del superamento della soglia legale dì punibilità, deve essere unitaria e complessiva, non essendo consentita la suddivisione della soglia per ogni singola imposta.
In ogni caso, le censure difensive sul punto risultano non adeguatamente specifiche, oltre che connotate da palesi limiti di autosufficienza, stante la mancata allegazione degli elementi di prova indicati a supporto RAGIONE_SOCIALE proprie deduzioni, per cui la riqualificazione giuridica del fatto operata dal G.I.P. prima e dal Tribunal
poi non può allo stato ritenersi lesiva RAGIONE_SOCIALE prerogative difensive, e ciò anche in ragione della fluidità che spesso connota le imputazioni della fase cautelare.
Con riferimento alla posizione degli odierni ricorrenti, l’ordinanza impugnata ha sottolineato che in capo agli stessi era ravvisabile il dolo richiesto ai fini de configurabilità del reato, ciò in ragione del fatto che il meccanismo dell’opposizione al Fisco di crediti inesistenti rappresentava uno stratagemma essenziale per la riuscita della frode, atteso che chi agiva in nome e per conto della società committente non poteva accontentarsi del solo trasferimento ai coindagati che rappresentavano le società appaltatrici dei loro debiti fiscali, ma doveva pretendere necessariamente che questi ultimi provvedessero, sia pur fittiziamente, ad assolvere al pagamento del debito medesimo, non potendo quindi disinteressarsi RAGIONE_SOCIALE modalità attraverso le quali ciò sarebbe accaduto, rientrando dunque evidentemente la compensazione del debito fiscale nell’accordo criminoso. In tal senso, è stato altresì ricordato il meccanismo della responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, nel caso di appalto di servizi, per il trattamento retributiv per i contributi previdenziali e per i premi assicurativi dovuti dall’appaltatore e d eventuali subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di servizi, ed entro il termine di due anni dalla cessazione dell’appalto, da ciò ricavandosi che l’impresa beneficiaria, perché potesse effettivamente liberarsi del debito tributario, non doveva limitarsi a trasferirlo sul terzo appaltatore, ma doveva assicurarsi che quest’ultimo riuscisse a simularne il pagamento, incorrendo in caso contrario nell’azione di recupero dello Stato, che avrebbe potuto agire anche nei confronti del soggetto committente.
3.5. Orbene, rimarcato il differente standard valutativo richiesto ai fin dell’adozione RAGIONE_SOCIALE misure personali e di quelle reali, deve osservarsi che il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, in quanto fondato su una disamina non manifestamente illogica RAGIONE_SOCIALE fonti investigative disponibili, non presta il fianco alle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa circa concreto ruolo assunto nella vicenda dai COGNOME ben potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che, per quanto in questa sede rileva, il provvedimento impugnato risulta sorretto da un corpus argomentativo non definibile come apparente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è gi anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
3.6. Parimenti immune da censure è la valutazione sulla sussistenza del periculum in mora, valutazione contestata con il sesto motivo.
Deve innanzitutto ribadirsi al riguardo che i giudici cautelari hanno correttamente individuato l’importo da sequestrare in 63.213,88 euro, somma corrispondente al risparmio di spesa conseguito in virtù del mancato pagamento dell’obbligazione tributaria derivante dall’indebita compensazione di cui al capo 7, avente ad oggetto tale importo. Tale impostazione è coerente con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 03), secondo cui, in tema di indebita compensazione di crediti di imposta, il profitto del reato di cui all’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, che può essere oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, è costituito dall’importo corrispondente all’imposta evasa nella sua totalità, dovendosi a ciò aggiungere che il Tribunale, nell’individuare l’ordine con cui procedere all’apprensione dei beni, ha altresì fatto buon governo del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258647, Gubert), ribadito dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rv. 272238, Sez. 3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Rv. 271254 e Sez. 3, n. 6205 del 29/10/2014, dep. 2015, Rv. 262770), secondo cui, in tema di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimonial della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del re nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Ciò premesso, l’ordinanza impugnata, nel richiamare e nell’applicare correttamente i dettami RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, ricorrente Ellade) in ordine all’onere di motivare, in caso di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. finalizzato alla confisca, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ha valorizzato, in modo non improprio, il concreto rischio che i legali rappresentanti RAGIONE_SOCIALE società coinvolte nell indebite compensazioni possano far disperdere le somme conseguite tramite manovre fraudolenti, rendendo così impraticabile una successiva confisca, dovendosi tenere conto in tal senso RAGIONE_SOCIALE modalità elusive con cui sono stati commessi i reati, peraltro in un ambito territoriale non circoscritto, risult a fronte di tale rilievo recessivo il fattore temporale valorizzato nel ricorso.
Anche in tal caso, invero, le doglianze difensive sostanzialmente evocano vizi motivazionali del provvedimento impugnato che, come si è precisato, esulano dal perimetro del giudizio di legittimità in materia cautelare reale.
3.7. Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell’in di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE devono es dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 15.07.2024