Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32171 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32171 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Trescore Balneario (Bg) il 3 agosto 1965;
avverso la sentenza n. 5512 della Corte di appello di Milano del 23 ottobre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
letta, altresì, la memoria scritta redatta nell’interesse del ricorrente dall’avv.ssa NOME COGNOME del foro di Bergamo, con la quale si è insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano ha, con sentenza del 23 ottobre 2024, integralmente confermato la sentenza dei 13 settembre 2023 con la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato a lui contestato, avente ad oggetto la violazione dell’art. 10quater del dlgs n. 74 del 2000, per avere lo stesso, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, omesso di versare somme da questa dovute a titolo di imposte, a tal fine utilizzando, nel periodo intercorrente fra il maggio ed il dicembre 2017, attraverso il mezzo dei modelli di pagamento F24, crediti da lui vantati verso l’Erario ma, in realtà, inesistenti, in misura pari ad euri 116.576,80, e lo aveva, pertanto, condannato alla pena ritenuta di giustizia, disponendo, altresì, la confisca, anche per equivalente, della citata somma costituente il profitto del reato in questione.
Avverso la citata sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa del Trapletti, affidando le proprie doglianze a 7 motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente difesa ha lamentato il fatto che, sebbene nei decreto di citazione a giudizio a lui notificatogli per la udienza del 23 ottobre 2024 fosse indicato che il giudizio si sarebbe svolto in pubblica udienza ed egli era stato invitato a comparire per la predetta data, in data 8 ottobre 2024 il difensore del ricorrente aveva ricevuto, tramite posta elettronica certificata, la comunicazione che il giudizio si sarebbe svolto con rito camerale, senza la presenza delle parti; pur avendo la difesa del ricorrente eccepito (con memoria del 16 ottobre 2024), per le ragioni sopra rilevate, la nullità del decreto di citazione e del successivo ricordato avviso, la Corte di appello aveva rigettato la predetta eccezione, avendo rilevato che, il mero errore materiale presente nel modulo notificato di avviso di udienza non aveva comportato alcuna lesione del diritto di difesa, stante la tempestiva correzione contenuta nel successivo avviso e tenuto conto della scelta operata dalla difesa.
Tali giustificazioni non sono, ad avviso del ricorrente, atte a rimediare al vizio, posto che non vi sarebbe stata alcuna correzione, atteso che la comunicazione pervenuta al solo difensore dei ricorrente era solamente relativa alla individuazione dei processi da trattare oralmente e da trattare in maniera solo cartolare e, comunque, essa non sarebbe stata tempestiva, posto che la stessa era stata eseguita dopo lo spirare del termine per formalizzare la richiesta di trattazione orale del procedimento; ha aggiunto la
ricorrente difesa che essa non aveva formulato alcuna scelta, essendo stata a suo tempo avvisata del fatto che il procedimento si sarebbe dovuto trattare in forma partecipata, di tal che essa nessuna istanza avrebbe dovuto fare in tale senso.
Con il secondo motivo di impugnazione la difesa del ricorrente ha lamentato la illegittima acquisizione documentale operata in sede di giudizio di primo grado, ed avallata attraverso il rigetto del pertinente motivo di gravame, avente ad oggetto non un verbale di accertamento redatto da funzionari dell’Agenzia delle entrate ma la otizia di reato ed un altro documento, denominato “atto di recupero crediti”; tali documenti sarebbero stati acquisiti, non sull’accordo delle parti – essendosi anzi opposta a ciò la difesa del Trapletti -, in contrasto con l’art. 431 cod. proc. pen. ed in contrasto con l’art. 220 disp att. cod. proc. pen. in quanto si tratta di atti formati dopo che erano emersi elementi tali da giustificare la qualifica di indagato rivestita dal ricorrente; a tali censure la Corte di appello si è limitata a rispondere, opponendo la legittimità della acquisizione agli atti della documentazione in questione operata ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.
Con un secondo profilo del medesimo motivo di impugnazione, la difesa del ricorrente ha lamentato che siano stati acquisiti agii atti del giudizio taluni documenti di cui non è chiara la provenienza: si tratta della “schermata video” denominata Serpico e di un modello F24 datato maggio 2017 che non risultano essere stati depositati dal teste funzionario della Agenzia delle entrate sentito in dibattimento.
Un terzo profilo sempre del medesimo motivo di impugnazione concerne il rigetto di una istanza istruttoria formulata dalla difesa del ricorrente volta alla acquisizione di taluni documenti.
Con un terzo motivo di ricorso è stata lamentata la violazione di legge per essere stata affermata la responsabilità del prevenuto sulla base di elementi probatori, quelli dianzi ricordati, viziati per la loro inutilizzabilità in giudizio.
Con il quarto motivo è lamentata l’avvenuta conferma della sentenza di primo grado, sebbene i debiti per i quali era stata operata la compensazione non fossero di natura tributaria.
Con il successivo quinto motivo di ricorso si contesta la legittimità della sentenza impugnata in quanto con la stessa è stata dichiarata la penale
responsabilità del Traplettì anche in relazione a compensazioni operate anteriormente alla assunzione da parte del medesimo della qualifica di amministratore e di legale rappresentante della società in questione.
Il sesto motivo, subordinato alla eventuale assoluzione, anche parziale del prevenuto, ha ad oggetto la conseguente richiesta di riduzione delle somme oggetto di confisca, ove riconducibili a condotte per le quali il Trapletti è stato prosciolto; lamenta, altresì, il ricorrente che sia stata disposta la confisca anche a carico direttamente suo senza prima procedere all’eventuale verifica della possibilità di confisca diretta del profitto del reato presso la società che ne ha beneficiato.
Con il settimo motivo di impugnazione la sentenza impugnata è stata censurata lamentando la omessa motivazione in relazione ai motivi di gravame riguardanti il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la richiesta di rideterminazione in me/ius della sanzione irrogata.
In data 28 aprile 2025 la difesa del ricorrente ha rassegnato una memoria in replica alle conclusioni della Procura generale, indirizzate verso la inammissibilità del ricorso, nelle quali si è insistito, invece, per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, solo parzialmente fondato deve, pertanto, essere accolto nei limiti di quanto di ragione.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione, riguardante un vizio processuale che minerebbe l’intero procedimento svoltosi di fronte alla Corte di appello, si osserva quanto segue: il vizio consisterebbe nella circostanza che nel decreto di citazione spiccato per la celebrazione del processo in grado di appello sarebbe stato indicato che questo, chiamato per l’udienza del 23 ottobre 2024, sarebbe stato celebrato in pubblica udienza, con l’invito rivolto all’imputato a comparire e l’avviso che, ove ciò non fosse avvenuto, il processo sarebbe stato celebrato in sua assenza; solo in data 8 ottobre 2024 il difensore del prevenuto era stato informato, a mezzo comunicazione inviatagli tramite posta elettronica certificata, che la trattazione del giudizio sarebbe avvenuta in camera di consiglio e senza la presenza delle parti; pur avendo la difesa del ricorrente eccepito, con memoria del 16 ottobre 2024, la nullità del decreto di citazione a giudizio e della successiva comunicazione del 8 ottobre 2024, la Corte di appello, rilevata l’avvenuta correzione dell’errore
materiale contenuto nel decreto di citazione a giudizio, ha osservato che, non essendosi determinato alcun vulnus alla possibilità per il ricorrente di esercitare il diritto di difesa, l’eccezione sollevata andava rigettata, stante la mancanza di interesse rispetto ad essa.
Venendo, quindi all’esame del motivo di ricorso, se ne deve affermare la inammissibilità.
Deve, preliminarmente darsi atto che al giudizio di appello da cui è scaturita la sentenza ora impugnata, trattandosi di procedimento introdotto anteriormente alla data del 30 giugno 2024, hanno continuato ad applicarsi le disposizioni di cui agli artt. 23 e 23-bis del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito con modificazioni con legge n. 176 del 2020; tanto premesso si rileva che, secondo quanto incontestatamente riportato nella sentenza impugnata (si veda, infatti, l’incipit del paragrafo n. 3 della sentenza di appello), la difesa del COGNOME ha chiesto che il giudizio fosse celebrato con trattazione scritta, di tal che, avendo la Corte ambrosiana seguito il rito ordinariamente prescritto per la trattazione del giudizio a carico del ricorrente, questi, che non risulta avere formulato istanza di discussione orale, non è ora legittimato a lamentare la mancata celebrazione del giudizio in una forma che sarebbe stata innescata solo a seguito di una sua espressa richiesta che non risulta essere stata mai formulata; non ha rilievo la circostanza, allegata dal ricorrente, secondo la quale nella copia del decreto di citazione a giudizio di fronte alla Corte di appello comunicata al difensore dell’imputato ed a quest’ultimo fosse indicato che il processo si sarebbe celebrato in pubblica udienza, atteso che una siffatta modalità, sulla base del rito applicabile alla fattispecie, avrebbe preteso che essa fosse stata richiesta da taluna della parti, cosa che, invece, non risulta sia avvenuta, sicché deve ritenersi che la citata indicazione sia stata, come d’altra parte osservato dalla Corte di appello, frutto di un errore contenuto nel modulo a stampa prèdisposto per la citazione dell’imputato in grado di appello (poco rileva che altre Corti di appello, come documentato dal ricorrente con la memoria del 28 aprile 2025, non siano incorse in analoga svista), errore che, prevedendo un modalità di trattazione del giudizio contra legem, doveva essere chiaramente riconosciuto come tale dal ricorrente senza che questi potesse ritenere, sulla base di un suo preteso legittimo affidamento, che, anche in assenza di sua richiesta, il giudizio potesse svolgersi in forma diversa da quella cartolare.
Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva che lo stesso ha una struttura tripartita; viene, infatti, dapprima censurata l’avvenuta acquisizione
agli atti di taluni documenti presentati di fronte al giudice di primo grado e viene, successivamente stigmatizzata la mancata dichiarazione di inutilizzabílità di altri documenti, infine ci si duole della omessa riapertura della istruttoria in sede di gravame per acquisire un atto offerto dalla difesa del prevenuto; si tratta, in relazione ai primi due corni della questione, di doglianze in entrambi i casi prive di pregio posto che, sia con riferimento alla prima ipotesi dedotta che alla seconda ipotesi, si è trattato di produzione documentale (in un caso, quello relativo al modelli F24 attraverso il quale è stata eseguita una indebita compensazione, si trattava del corpo del reato o, comunque, di cosa pertinente al reato) pienamente legittima secondo la previsione di cui all’art. 234 cod. proc. pen.
Né risulta esservi spazio per l’eventuale applicazione dell’art. 220 disp att. cod. proc. pen., verosimilmente in relazione all’art. 63 del medesimo codice, non emergendo che gli atti di cui si parla contenessero dichiarazioni autoindizíanti fatte dal ricorrente.
Con riferimento al terzo profilo di lagnanza dedotto è la stessa difesa del ricorrente che segnala che il documento di cui era stata chiesta la acquisizione di fronte alla Corte di appello già era stato acquisito agli atti; un tale rilievo rende manifestamente ultroneo il motivo di ricorso, non potendo certo essere lamentata la mancata acquisizione in grado di appello (ma in realtà il rilievo avrebbe lo stesso contenuto anche se fosse riferito ad una diversa fase del processo) di un documento che, sia pure per altra via, già era presente, ai momento in cui ne è stata sollecitata la acquisizione, nell’incarto processuale.
Con riferimento al terzo motivo di censura, con il quale si lamenta il vizio di motivazione della sentenza essendo stata affermata la penale responsabilità del COGNOME sulla base di prove ritenute inutilizzabili, osserva, brevemente, il Collegio che la rilevata legittimità delle acquisizioni documentali, supportate dalle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio di merito (e delle quali il ricorrente appare richiedere a questa Corte una inammissibile rivalutazione che si sostituisca a quella già operata nella naturale sede rappresentata dai precedenti gradi di giudizio), portando ad escludere la inutilizzabilìtà delle prove utilizzate ai fini della decisione nei gradi di merito del giudizio, rende chiaramente inammissibile il motivo di ricorso, stante la insostenibilità del suo presupposto logico (cioè la inutilizzabiiità della prove documentali poste alla base della decisione presa dalla Corte di merito).
Il quarto motivo di impugnazione ha nuovamente ad oggetto la violazione di legge per essere stata affermata l’avvenuta integrazione del
reato in contestazione, si tratta dell’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000, sebbene i debiti per i quali è stata eseguita la compensazione da parte del ricorrente con taluni crediti di carattere tributario non fossero a loro volta riferiti ad imposte od a tributi ma avessero altre causali diversa da quella prettamente fiscale (contributi previdenziali ed assistenziali a carico del Trapletti ed altri debiti di questo nei confronti dello Stato e di altri enti territoriali o locali).
Osserva sul punto la Corte che, pur in presenza di un isolato precedente (costituito da Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 settembre 2019 n. 38042, rv 278825, secondo la quale la condotta di omesso versamento di cui all’art. 10-quater del digs n. 74 del 2000 concerne esclusivamente le somme dovute a titolo di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, coerentemente con la sua collocazione all’interno di un testo normativo concernente i soli reati attinenti dette imposte e con la speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario disciplinata dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000 in termini incompatibili con obblighi di natura diversa) enfatizzato dalla ricorrente difesa, la costante esegesi normativa operata successivamente da questa Corte è, invece, unanimemente nel senso che il reato di indebita compensazione dì cui all’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000 possa riguardare anche l’omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti non solamente tributari ma anche di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario (in tale senso, successivamente alla sentenza in precedenza citata, fra quelle oggetto di massimazione: Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2023, n. 552, rv 283920; Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 giugno 2022, n. 23083, rv 283236; Corte di cassazione, Sezione III penale 8 gennaio 2021, n. 389, rv 280776; Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 aprile 2020, n. 13149, rv 279118).
La fermezza della interpretazione giurisprudenziale in tale modo formatasi consente di affermare la manifesta infondatezza della tesi propugnata dal ricorrente e, pertanto, del motivo di impugnazione articolato, invece, in funzione della correttezza di tale tesi, ripudiata dalla Corte di merito.
Riguardo al successivo motivo di ricorso, afferente al fatto che il COGNOME non fosse il legale rappresentante della società in nome della quale sono state eseguite le indebite compensazioni al momento in cui parte di esse sono state operate tramite la presentazione del relativo modello F24, osserva
il Collegio che la struttura unitaria del reato in questione, a prescindere dal numero delle compensazioni eseguite e, pertanto, dei modelli F24 presentati, fa sì che il momento consumativo del reato debba essere collocato all’atto dell’ultima presentazione del modello di pagamento relativo a compensazioni illegittime per ciascun periodo di imposta (si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 luglio 2020, n. 23027, rv 279755), cosa che, senza che il dato sia stato oggetto di contestazione, si è verificata allorché il COGNOME rivestiva la qualifica di legale rappresentante del soggetto in nome del quale le compensazioni sono state operate.
La dichiarata subordinazione del successivo sesto motivo di doglianza all’eventualità che fosse stato accolto il quinto, priva di interesse il suo esame, stante la inammissibilità per manifesta infondatezza del precedente motivo di ricorso, in relazione alla determinazione della somma oggetto di confisca, riconducibile all’integrale profitto conseguito con il reato oggetto di contestazione; quanto al profilo avente ad oggetto la sussidiarietà della confisca per equivalente rispetto a quella diretta, rileva il Collegio che tale caratteristica non viene in giuoco al momento in cui la confisca viene disposta ma esclusivamente al momento in cui la sentenza che la dispone viene messa in esecuzione, dovendo, stante la natura effettivamente sussidiaria della confisca per equivalente, essere messa questa in esecuzione solo laddove non sia possibile procedere alla confisca diretta del profitto e del prezzo del reato (si veda, al riguardo: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 ottobre 2018, n. 46973, rv 274074).
Ma la inattualità della questione rende irrilevante e, pertanto, inammissibile, la sua attuale proposizione,
Fondato è, infine, il settimo motivo di impugnazione; con esso il ricorrente ha lamentato, sostenendo che la sentenza della Corte di appello fosse viziata sul punto per omessa motivazione, il fatto che la Corte territoriale ambrosiana non abbia esaminato il motivo di gravame avente ad oggetto il diniego da parte del Tribunale del beneficio in favore dell’imputato delle circostanze attenuanti generiche.
Si tratta di doglianza fondata, posto che, pur avendo il ricorrente articolato, con sufficiente specificità, il motivo di gravame afferente al mancato riconoscimento da parte del Tribunale di Milano del beneficio in questione, la Corte di appello ha del tutto trascurato di esaminare la questione.
Sul punto, pertanto la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano perché, appunto, provveda ad esaminare il motivo di ricorso trascurato nella sentenza ora in scrutinio, disponendo, in caso di positivo esame del motivo di impugnazione, anche in merito alla ricaduta di esso sul trattamento sanzionatorio da infliggere all’imputato.
La circostanza che, tutti gli altri motivi di impugnazione, in particolare quelli concernenti l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al fatto a lui addebitato, siano stati dichiarati inammissibili, c conseguente intervenuta definitività della affermazione di cui sopra, rende tale pronunzia immune dagli effetti del decorso del tempo successivo alla pronunzia della presente decisione sulla perdurante rilevanza penale della condotta ascritta al Trapletti (si veda, data la chiarezza argomentativa, sul punto: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 3 gennaio 2019, n. 114, rv 274828), dovendo, in ogni caso osservarsi, che il termine di prescrizione del reato da questo commesso non è indubbiamente ad oggi ancora maturato, essendo stato lo stesso, consumato nel periodo di sua vigenza, oggetto delle sospensioni previste dall’art. 159 cod. pen. nel testo introdotto dall’art. 1 de legge n. 103 del 2017 (cfr. per tutte: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 12 dicembre 2024, n. 20989 -dep. 2025-, rv 288175-01).
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025
Il Consigliere estensore