Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33338 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a San Cataldo il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; lette le conclusioni scritte trasmesse dall’avvocato NOME COGNOME, difensore dell’indagato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Dep os :
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 ottobre 2023, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di applicazione di misure personali e reali avanzata nei confronti di 21 persone, tra cui NOME COGNOME, indagate a vario titolo dei reati di associazione a delinquere, di truffa aggravata e del reato di cui all’art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015. Il G.I.P., in particolare, escludeva la gravità indiziaria rispetto al reato associativo, riteneva configurabile, quanto ai capi 3, 5, 9, 11, 14, 16, 18, 20, 22, 24 e 26, il reato ex art. 38 bis del d. Igs. n. 81 del 2015, per il quale non era stata avanzata alcuna richiesta cautelare, trattandosi di fattispecie contravvenzionali, e, quanto ai capi 2, 4, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 19, 21, 23 e 25, il G.I.P. riteneva configurabile non il delitto di truffa aggravata, ma quello di indebita compensazione, da considerarsi speciale, e rigettava la richiesta cautelare, in base al rilievo secondo cui le risultanze delle verifiche fiscali eseguite in capo alle imprese appaltatrici avevano già formato oggetto di denuncia presso le rispettive sedi giudiziarie, integrando ciò un ne bis in idem cautelare.
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.M., applicava nei confronti di COGNOME la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività di impresa e di rivestire uffici direttivi delle persone giuridic per la durata di mesi 6, in relazione ai delitti di cui ai capi 7 e 8, previ riqualificazione delle condotte nel reato ex art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000.
Avverso l’ordinanza del Tribunale nisseno, NOME COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione dell’art. 287 cod. proc. pen., osservando che l’ordinanza impugnata, a pag. 37, ammette che il dolo di COGNOME potrebbe essere anche solo eventuale o avere ad oggetto crediti non spettanti anziché inesistenti, ma tale affermazione trascura il fatto che l’indebita compensazione di crediti non spettanti, se non preclude l’applicazione di misure cautelari reali, rende invece inapplicabili le misure personali, perché la relativa pena massima non è superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
Con il secondo motivo, è stata censurata l’erronea applicazione dell’art. 10 quater del d. Igs. n. 74 del 2000, non avendo il Tribunale tenuto conto del mancato raggiungimento della soglia di punibilità (anche) rispetto al capo 7, rispetto al quale i giudici dell’impugnazione cautelare non si sarebbero avveduti che la contestazione provvisoria indica cifre totali che si riferiscono a due anni, tanto è vero che l’importo di 63.213,88 euro deriva dalla sommatoria di 31.825,86 euro (oneri contributivi) e di 31.388,02 euro (oneri fiscali), riferendosi i predetti import agli anni 2018 e 2019, mentre la soglia di punibilità va riferita al singolo anno.
Con il terzo motivo, si contesta la valutazione indiziaria, evidenziandosi che è stato erroneamente individuato il concorso di persone di COGNOME nel reato di indebita compensazione con le imprese committenti, mentre lo stesso doveva essere ritenuto persona offesa del reato di truffa, non potendo il concorrente ex art. 110 cod. pen. rivestire anche la contestuale veste di danneggiato principale del medesimo reato, dovendosi considerare che il ricorrente, dopo aver pagato il costo dell’appalto, è rimasto debitore dell’intero nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto motivo, ci si duole del difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto alla circostanza che COGNOME, prima della conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, ha presentato querela nei confronti delle ditte appaltatrici che gli fornivano il personale, il che non si concilia affatto co l’ipotesi di un accordo criminalt.con gli autori materiali del reato, giustificando piuttosto la presentazione della querela, volta a fare luce sull’accaduto, una lettura alternativa dei fatti, con la quale il Tribunale ha del tutto omesso di confrontarsi.
Con il quinto motivo, è stata eccepita la violazione dell’art. 18, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, per avere il Tribunale individuato la competenza per territorio utilizzando il criterio sussidiario del luogo di accertamento del reato, anziché il luogo di commissione del reato, che, come si desume dallo stesso atto di appello del P.M., va individuato nel circondario del Tribunale di Torino, dove sono incardinati già quattro procedimenti penali, in ragione del fatto che nella città di Torino insiste la sede delle ditte appaltatrici ritenute autrici materialk, d reato, che si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello TARGA_VEICOLO.
Il sesto motivo è dedicato alla violazione dell’art. 275 bis cod. proc. pen., rilevandosi che la RAGIONE_SOCIALE, dopo aver scoperto il meccanismo fraudolento volto a sottrarre alla società le somme destinate al pagamento dei contributi, ha provveduto ad assumere direttamente i dipendenti, pagando stipendi e contributi nel rispetto delle disposizioni di legge, ciò a prova dell’assenza di attualità del pericolo di reiterazione dei reati, dovendosi altresì tenere conto che nei tre anni successivi l’impresa, dissociandosi, ha dato prova di totale fedeltà fiscale.
3.1. Con memoria trasmessa 1’8 aprile 2024, il difensore dell’indagato, nell’associarsi alle conclusioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito esposti.
Iniziando dal primo motivo, con cui si contesta l’assenza di presupposti per l’applicazione di misure cautelari personali ex art. 287 cod. proc. pen., se ne deve rimarcare l’infondatezza: e invero, nel ricostruire le vicende relative ai crediti acquisiti da alcune delle società coinvolte nei fatti di causa, ossia “RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, il Tribunale del Riesame ha evidenziato che gli enti societari indicati sono risultati irreperibili presso le sed legali e operative e che hanno generalmente acquistato i crediti poi utilizzati per effettuare le compensazioni da imprese dichiarate fallite o in relazione alle quali è stata disposta d’ufficio la cessazione della partita Iva. Particolarmente significativa si è rivelata la situazione della “RAGIONE_SOCIALE“, la quale, nel 2018, h presentato una dichiarazione Iva riportante un credito per l’abnorme somma di 1.961.586.00 euro, derivante da operazioni per oltre 25 milioni di euro, tutte non “coperte” da fatture, siccome non solo non rintracciate nella contabilità aziendale, ma non risultanti nemmeno dallo “spesometro integrato”, ossia dalla banca dati istituita presso l’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate per raccogliere le comunicazioni dei dati di tutte le fatture emesse e ricevute dai soggetti passivi dell’Iva.
Sulla base di questi elementi, allo stato, deve ritenersi quindi non manifestamente illogica l’affermazione dell’ordinanza impugnata secondo cui i crediti utilizzati per effettuare le compensazioni sono inesistenti, piuttosto che non spettanti, da ciò conseguente l’innalzamento del limite edittale della pena di riferimento.
Di qui l’infondatezza della censura difensiva, invero non adeguatamente specifica.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto al quinto motivo, che per ragione di priorità logica è opportuno trattare prima delle censure di merito.
Al riguardo deve osservarsi che il rigetto dell’eccezione di competenza per territorio appare immune da censure, avendo l’ordinanza impugnata (pag. 10) richiamato, in maniera pertinente, la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, Rv. 285747 – 02 e Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057), secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per territorio per il delitto di indebita compensazione, rileva il luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente nell’anno interessato, mediante inoltro del modello NUMERO_DOCUMENTO ovvero, se non è possibile la sua individuazione, il luogo di accertamento del reato ai sensi dell’art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, essendo tale disposizione prevalente, per la sua natura speciale, rispetto alle regole generali dettate dall’art. 9 cod. proc. pen.
Ora, premesso che nel caso di specie non è emerso in maniera chiara il luogo in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente, legittimamente i giudici cautelari hanno fatto riferimento al luogo di accertamento del reato, individuato in Caltanissetta, dove la locale Procura della Repubblica ha provveduto a dirigere e a portare avanti le attività investigative, impostazione questa coerente con il principio elaborato da questa Corte (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260992), secondo cui il luogo dell’accertamento nei reati tributari va individuato nella sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta un’effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica.
Ne consegue che il rigetto dell’eccezione difensiva non presenta criticità.
Sono invece meritevoli di accoglimento le doglianze in punto di gravità indiziaria sollevate con il secondo, il terzo e il quarto motivo, suscettibili d trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
3.1. In proposito, occorre innanzitutto richiamare, sul piano metodologico, il consolidato e condiviso principio giurisprudenziale, in forza del quale, in sede cautelare, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza deve essere valutata sia con riguardo agli elementi oggettivi del reato, sia con riguardo all’elemento soggettivo, il cui apprezzamento deve tenere conto di tutti gli elementi accertati (cfr. Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 259515, e Sez. 5, n. 42368 del 23/09/2004, Rv. 229952). È stato altresì chiarito che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve tenere conto della regola di giudizio a favore dell’imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto (cfr. Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, Rv. 284982-03, e Sez. 3, n. 17527 del 11/01/2019, Rv. 275699).
3.2. Ciò posto, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata ha ritenuto che NOME COGNOME, legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, società committente, abbia concorso nelle compensazioni di crediti inesistenti materialmente effettuate dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, composto dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, nella qualità di appaltatore (capo 8) e dalla “RAGIONE_SOCIALE“, società appaltatrice (capo 9), per il pagamento degli oneri previdenziali e fiscali relativi ai lavoratori formalmente assunti dal consorzio e dalla “RAGIONE_SOCIALE“, ma in realtà in servizio presso la “RAGIONE_SOCIALE“, ciò tra il 10 settembre 2018 e il 31 dicembre 2019 (capo 7), e tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020 (capo 8).
A fondamento di questa conclusione, il Tribunale ha premesso che gli accertamenti sono partiti dalle dichiarazioni di alcune persone, le quali avevano riferito di essere state contattate dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME per lavorare presso imprese della provincia di Caltanissetta, e, però, di essere state formalmente assunte da ditte diverse da quelle ad esse indicate nella proposta di lavoro: tra questi, in particolare, vi era NOME COGNOME, il quale ha riferito essere stato contattato per lavorare presso la “RAGIONE_SOCIALE“, e di essere però stato assunto da una società del consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, la “RAGIONE_SOCIALE“, e poi dalla “RAGIONE_SOCIALE“, e solo dall’aprile 2020 dalla “RAGIONE_SOCIALE“, società amministrata dai coindagati NOME e NOME COGNOME, pur avendo lavorato sempre e ininterrottamente presso quest’ultima. Una successiva denuncia presentata da tale NOME COGNOME lamentava un omesso versamento di contributi da parte della società sua formale datrice di lavoro, la “RAGIONE_SOCIALE“, sebbene egli avesse svolto le mansioni solo presso la società “RAGIONE_SOCIALE“.
Il Tribunale, poi, ha osservato che i successivi accertamenti avevano consentito di accertare che NOME e NOME, quest’ultimo poi deceduto, avevano operato per vari enti e società, come il consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, i quali: a) assumevano alle lor dipendenze diversi lavoratori e poi mettevano gli stessi a disposizione di imprese aventi sede nel nisseno, tra cui appunto la “RAGIONE_SOCIALE“, sulla base di contratti di appalto di servizi, applicando ai prestatori di lavoro condizioni deteriori rispetto a quelle ordinarie in materia di retribuzioni, orari di lavoro, compensi per straordinari, permessi e trattamenti di fine rapporto; b) erano privi di compendio aziendale e non avevano mai presentato dichiarazioni Iva; c) avevano compensato, nel periodo tra il 2016 ed il 2021, i debiti previdenziali con altri crediti anche attraverso il meccanismo del c.d. “accollo tributario”.
È stato in particolare evidenziato che: 1) “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2018 per 1.765.557,00 euro e nell’anno 2019 per 475,780,00 euro, ed è risultata irreperibile, all’atto della verifica fiscale, si presso la sede legale, sia presso la sede operativa, come irreperibile è risultata essere anche la sua ultima legale rappresentante, NOME COGNOME; 2) “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2019 per 1.857.278,74 euro, mediante il meccanismo del c.d. “accollo tributario”, quindi in contrasto con la Risoluzione dell’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate del 15 novembre 2017, n. 140, per di più utilizzando crediti di imposta di società dichiarate fallite o estinte, ed è risultat irreperibile presso la sede legale dichiarata; 3) “RAGIONE_SOCIALE” è risultata inesistente presso la sede legale, per l’anno 2018 ha presentato esclusivamente la dichiarazione IVA riportando un credito IVA di 1.961.586,00, risultante da operazioni di cessioni per 187.755,00 euro e di acquisti per 25.266.387,00 euro non documentate da fatture e non risultanti nemmeno dallo “spesometro integrato”, non ha avuto posizione debitorie per lavoratori presso l’RAGIONE_SOCIALE fino al 2018, per poi avere 509 posizioni assicurative per rapporti di lavoro nel 2019 e 402 posizioni assicurative per rapporti di lavoro nel 2020; 4) il consorzio “RAGIONE_SOCIALE” ha effettuato compensazioni indebite nell’anno 2019 per 616.113,00 euro, mediante il meccanismo del cd. “accollo tributario”, ed utilizzando crediti di imposta di società di cui è stata disposta la cessazione d’ufficio della partita Iva, ed alcune delle quali accollanti anche per la “RAGIONE_SOCIALE“, aveva un amministratore risultato irreperibile, e anche nel 2018 ha effettuato compensazioni indebite per 249.581,98 euro, mediante il meccanismo del c.d. “accollo tributario”, utilizzando crediti di imposta di società spesso risultate irreperibili e che, comunque, non hanno presentato alcuna dichiarazione fiscale oltre quelle ai fini Iva per il 2017, recanti, appunto, i crediti ceduti per consentire le compensazioni. Il Tribunale, quindi, ha rappresentato, con riferimento alla “RAGIONE_SOCIALE“, che tale impresa aveva utilizzato numerosi lavoratori, nominativamente Corte di Cassazione – copia non ufficiale
indicati, messi a sua disposizione prima dal consorzio “RAGIONE_SOCIALE“, composto dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e poi dalla “RAGIONE_SOCIALE“, e che questi enti si erano limitati a gestire i dipendenti dal punto di vista meramente amministrativo (ad esempio per il pagamento dei contributi e degli stipendi).
È stato precisato che il ruolo di mera interposizione formale del consorzio “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE” si evinceva sia dalle dichiarazioni fornite dai prestatori di lavoro, i quali hanno riferito di aver ricevuto disposizioni esclusivamente dai COGNOME, sia dal fatto che i mezzi necessari per lo svolgimento delle attività dei lavoratori erano di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE” ed erano stati messi a disposizione degli altri due enti con un contratto di comodato d’uso gratuito.
3.4. Tanto premesso, ritiene il Collegio che le conclusioni dell’ordinanza impugnata siano viziate laddove hanno ritenuti sussistenti i gravi indizi a carico dell’odierno ricorrente con riguardo al profilo del dolo.
Si è rilevato che gli aspetti valorizzati dal Tribunale sono due: quello della necessità del vantaggio economico anche per le imprese appaltatrici e quello della responsabilità solidale dell’impresa committente.
Per un verso, però, la consapevolezza di NOME in ordine alla ricerca di vantaggi economici anche da parte delle imprese appaltatrici, le quali assumevano i lavoratori e li mettevano a disposizione della “RAGIONE_SOCIALE“, non presuppone necessariamente la consapevolezza, o l’accettazione del rischio in termini di qualificata probabilità, del ricorso, da parte di queste ditte, a compensazioni mediante l’utilizzo di crediti inesistenti. Invero, risparmi di costi potevano benissimo provenire da trattamenti deteriori dei dipendenti; e, nella specie,
l’ordinanza rappresenta che ciò è avvenuto con riguardo a retribuzioni, orari di lavoro, compensi per straordinari, permessi e trattamenti di fine rapporto.
Sotto l’altro profilo, poi, l’istituto della responsabilità solidale di cui all’art comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, se evidenzia l’interesse dell’impresa committente dell’appalto di servizi a ricevere rassicurazioni sul pagamento dei debiti retributivi e previdenziali, non implica, di per sé, un indizio univoco a carico dei suoi gestori in ordine alla loro consapevolezza, o all’accettazione del rischio in termini di qualificata probabilità, di partecipare a condotte di evasione: la scoperta dell’evasione, proprio per la disciplina della solidarietà, ricade, per intero, per almeno un biennio, anche sull’impresa committente.
In definitiva, in applicazione della richiamata regola di giudizio a favore dell’indagato in caso di dubbio, affermata dalla giurisprudenza anche con specifico riguardo alla materia delle misure cautelari personali, deve rimarcarsi la carenza argomentativa rispetto alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato ricorrente, soprattutto con riguardo al dolo necessario perché possa ritenersi configurabile il suo concorso nelle fattispecie di indebita compensazione.
3.5. Anche rispetto alla questione del superamento della soglia di punibilità del reato di indebita compensazione contestato ai capi 7 e 8, l’ordinanza impugnata non si sottrae alle obiezioni difensive, posto che, nel ritenere superata la soglia di 50.000 euro rispetto a tali contestazioni (a differenza di quelle di cui ai capi 6 e 10), il Tribunale del Riesame ha evocato cifre che non sembrano trovare corrispondenza nel tenore delle imputazioni, invero originariamente modellate sullo schema del reato di truffa ai danni dello Stato, per cui sul punto occorrerà verificare, tenendo conto anche della fluidità che normalmente connota le contestazioni della fase cautelare, se gli importi indicati nel provvedimento impugnato siano riconducibili o a elementi fattuali desumibili dalle imputazioni provvisorie, o comunque a risultanze investigative già conosciute dalle parti.
4. Fondate poi sono anche le censure formulate nel sesto motivo, relative all’affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte analoghe. L’ordinanza impugnata, invero, ha posto a fondamento della misura la gravità, ripetitività ed abitualità delle condotte illecite, nonché l’elevata professionalità e la non comune capacità operativa dell’indagato. Tuttavia, il Tribunale non si è confrontato in alcun modo con il profilo del tempo trascorso dalle condotte.
E occorre considerare che l’ultima delle condotte illecite risale, secondo la contestazione provvisoria, al dicembre 2020, ossia a circa tre anni prima della pronuncia dell’ordinanza che ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, e che non sono indicati fatti successivi dai quali desumere il pericolo di reiterazione, in quanto, anzi, l’attività aziendale, anche con riguardo alla complessiva gestione del personale, sembra proseguita con criteri di regolarità, avendo anzi RAGIONE_SOCIALE sporto querela a carico dei rappresentanti delle ditte appaltatrici.
5. Stante la fondatezza delle censure in punto di gravità indiziaria e di pericolo di reiterazione dei reati, l’ordinanza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del Riesame di Caltanissetta. Il Giudice del rinvio accerterà, innanzitutto, se può ritenersi, in termini di gravità indiziaria, che l’odierno ricorrente abbia concorso nella stipula dei contratti di appalto di servizi, e si sia avvalso del personale conseguentemente messo a disposizione, nella consapevolezza che il pagamento degli oneri fiscali e previdenziali a questo relativi sarebbe avvenuto mediante compensazioni effettuate con utilizzazione di crediti inesistenti, o, comunque, accettando il rischio di tale condotta fraudolenta in termini di qualificata probabilità. A tal fine, ponendo come premessa delle sue valutazioni la richiamata regola di giudizio del favore dell’indagato in caso di dubbio, esaminerà tutti gli elementi disponibili, ivi comprese le iniziative giudiziarie assunte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle ditte appaltatrice, curando di non incorrere nelle lacune motivazionali indicate al g 3.4. Dovrà essere altresì approfondito in sede di rinvio il tema del superamento della soglia di punibilità del reato di indebita compensazione di cui ai capi 7 e 8, dovendosi i relativi importi essere non solo esplicitati nei loro criteri di computo, ma soprattutto ancorati a parametri chiari desumibili dalle imputazioni provvisorie, o comunque a elementi investigativi ben noti alle parti, ciò tenendo conto del principio secondo cui, in tema di indebita compensazione, la valutazione del “quantum” dei crediti non spettanti o inesistenti, necessaria ai fini della verifica del superamento della soglia legale di punibilità, deve essere unitaria e complessiva, non essendo consentita la suddivisione della soglia per ogni singola imposta (cfr. in termini Sez. 3, n. 20718 del 21/01/2022, Rv. 283343).
Il Giudice del rinvio, da ultimo, ove ritenga accertati i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, anche avendo riguardo al dolo, valuterà se sussistono le esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. pure alla luce della distanza temporale delle condotte contestate rispetto al momento dell’applicazione della misura e del successivo comportamento dell’indagato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 12/04/2024