Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7062 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7062 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SCIACCA il 16/06/1965 avverso l’ordinanza del 01/08/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Palermo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, investito di richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., con l’ordinanza impugnata ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere, applicata dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 4 luglio, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione mafiosa, usura, estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza, rispettivamente contestati ai capi 1), 4), 5), 7) e 8) dell’imputazione provvisoria.
Ha, invece, escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di usura contestato al capo 6) e l’aggravante di cui all’art. 416bis 1. cod. pen., limitatamente ai delitti sub 5) e 7) di detta provvisoria incolpazione.
Il Tribunale del riesame ha in primo luogo affrontato le eccezioni preliminari sollevate dall’indagato.
2.1. Quanto al lamentato mancato riscontro, da parte dell’ufficio del Pubblico ministero, alla richiesta depositata dalla difesa il 22 luglio 2024 concernente l’ostensione di alcune tracce audio riproducenti conversazioni oggetto d’intercettazione, il Giudice della cautela ha respinto l’eccezione di valorizzando il provvedimento, in data 23 luglio 2024, manoscritto dalla Pubblica Accusa e dotato di timbro di deposito in pari data, con cui si si apponeva il ‘visto’ e si disponeva la trasmissione all’ufficio intercettazioni. Per tale via ha ritenuto che il mancato ascolto delle tracce audio da parte della difesa non poteva essere rimproverata alla Procura, dipendendo piuttosto da un’inerzia della difesa.
2.2. Con riferimento all’eccezione di inutilizzabilità delle investigazioni svolte oltre il termine
consentito della durata dell’indagini preliminari, asseritamente determinato dall’avere il Pubblico ministero ‘aggiornato’ l’originaria iscrizione dell’indagato nel relativo registro, ha valorizzato in senso contrario come detto ‘aggiornamento’ costituisse una vera e propria nuova iscrizione, disposta sulla base di una nuova comunicazione della notizia di reato, contenente nuove risultanze investigative.
2.3. Ha, infine, respinto la doglianza secondo cui l’iscrizione dell’indagato per i reati di usura, estorsione illecita concorrenza sarebbe stata effettuata dal Pubblico ministero con ingiustificato ritardo, evidenziando come risultasse invece evidente, in ottica accusatoria, attendere la cristallizzazione di tutti gli elementi utili a integrare non solo le fattispecie delittuose di cui si tratta, ma anche l’aggravante ‘mafiosa’ contestata con riferimento a ciascuna di dette ipotesi criminose.
Rilevava, in ogni caso, che – a fronte d’indagini affatto complesse – la difesa non avesse fornito alcun elemento positivo utile a consentire di ritenere l’iscrizione ingiustificatamente ritardata.
Nel merito, il Tribunale ha riportato, anche attraverso il rinvio alla piø ampia analisi contenuta nell’ordinanza genetica, la piattaforma indiziaria a carico del ricorrente, costituita essenzialmente dai risultati delle indagini tecniche, in grado di rivelare che COGNOME fosse partecipe della famiglia di Sciacca, articolazione dell’associazione mafiosa cosa nostra , legato al capo NOME COGNOME, cui era succeduto NOME COGNOME con il quale l’indagato si era posto in contrapposizione, non riconoscendone il ruolo verticistico. Egli procedeva alla riscossione dei proventi delle attività illecite (si veda la conversazione con Nicosia), commetteva estorsioni a tutela degli interessi economici del sodalizio e per consolidarne la posizione di controllo del territorio, era demandato a risolvere controversie tra sodali (si veda la conversazione tra COGNOME e COGNOME), infine gestiva l’attività di usura.
Il Giudice della cautela, in particolare, ha richiamato le risultanze investigative riguardanti il delitto di usura di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria, la pianificazione di un danneggiamento con esplosivo ai danni di imprenditore di Sciacca che aveva denunciato il sodale NOME COGNOME per reati ambientali, e il delitto di estorsione sub 5), reati ritenuti pacificamente rientranti nel programma criminoso del sodalizio.
Con specifico riferimento al capo 4) Ł stata ritenuta gravemente indiziante la conversazione intercettata tra COGNOME e la persona offesa in data 3 dicembre 2021, attestante l’avvenuto accordo per un prestito in danaro dell’importo di 25.000,00 euro, da restituire con tasso usurario, in occasione del quale COGNOME evocava la riconducibilità del denaro all’organizzazione criminale di cui faceva parte, facendo esplicito riferimento al ‘lutto’ per la morte del suo ‘padrino’ COGNOME, circostanza riverberantesi sulla disponibilità di denaro oggetto del prestito.
Quanto ai capi 5) e 7), i giudici della cautela hanno valorizzato il tenore letterale delle espressioni minacciose proferite da COGNOME alla vittima, emergenti dalla conversazione captata il 20 gennaio 2020 e, quanto al fatto contestato al capo 8), quella intercettata il 9 settembre 2019 tra l’indagato e un suo dipendente, in occasione della quale i due manifestavano il timore di essere stati notati mentre sversavano i rifiuti.
Presenti i gravi indizi di colpevolezza, riguardo alle esigenze cautelari, il Tribunale ha reputato che la contestazione operata al capo 1) ponesse una doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, immutata nonostante l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 275 cod. proc. pen., come novellato dalla L. 47/201.
Analoghe considerazioni sono state svolte per la contestazione provvisoria di usura, ritenendosi certamente sussistente il pericolo di reiterazione di analoghe condotte relativamente agli altri addebiti provvisori, inferito dall’inserimento dell’indagato nel contesto mafioso e dalle modalità delle condotte stesse.
Ricorre per cassazione COGNOME tramite il difensore di fiducia, sulla base di quattro motivi.
4.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza sul ritenuto superamento dell’eccezione concernente l’omessa trasmissione alla difesa delle tracce audio.
Premette il ricorrente che l’oggetto dell’istanza inoltrata al Pubblico ministero era quella riguardante la trasmissione al Tribunale del riesame delle tracce audio poste a fondamento della misura; ciò che avrebbe permesso il relativo ascolto non solo alla difesa, ma anche al Tribunale, ove l’avesse ritenuto necessario. Il Pubblico ministero, in data 26 luglio 2024, aveva inviato gli atti al Tribunale, senza provvedere in merito alle tracce audio, così determinando una violazione del diritto di difesa.
NØ l’eccezione poteva essere superata – come ha fatto il Tribunale – valorizzando l’annotazione manoscritta dal Pubblico ministero «V°, all’ufficio intercettazioni», sia perchØ la difesa non avrebbe potuto avere alcuna conoscenza di detta annotazione (trattandosi di corrispondenza interna), sia perchØ l’annotazione di cui si tratta non può essere ritenuta un provvedimento autorizzatorio, come peraltro implicitamente confermato dallo stesso Pubblico ministero che, in occasione dell’udienza di riesame, ha evidenziato come l’ascolto delle tracce audio non deve mai essere autorizzato, essendo sufficiente che difensori facciano istanza all’ufficio intercettazioni.
4.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza nella parte in cui ha respinto l’eccezione concernente la violazione del termine per la conclusione delle indagini preliminari relativamente al reato associativo.
Anche in questo caso, secondo il ricorrente, la motivazione del Tribunale sarebbe insoddisfacente, in difetto di elementi obiettivi sulla scorta dei quali ritenere che quello che l’Ufficio di Procura ha qualificato come ‘aggiornamento’ dell’iscrizione della notizia di reato, ai sensi dell’art. 335, comma 2, cod. proc. pen., costituisca invece una vera e propria nuova iscrizione. Rimarca il ricorrente che, allo spirare del massimo termine per le indagini preliminari, il Pubblico ministero deve scegliere – a seconda della fruttuosità o no delle investigazioni – tra le due opzioni previste dalla legge, l’archiviazione ovvero l’esercizio dell’azione penale, laddove ogni altra soluzione ‘creativa’ si risolve in una violazione della ratio legis e crea presupposti per le conseguenti sanzioni processuali.
4.3. Il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di rigetto dell’eccezione riguardante la tardiva iscrizione della notizia di reatoper i fatti di cui alle condotte contestate nei capi da 4) a 8) dell’addebito provvisorio.
A fronte della doglianza prospettata dal ricorrente – che faceva rilevare come le condotte erano emerse in diretta durante l’ascolto delle conversazioni intercettate – la motivazione del Tribunale, secondo cui l’atteggiamento di attesa sarebbe stato giustificato dalla necessità del Pubblico ministero di avere un quadro indiziario maturo anche sotto il profilo della contestazione dell’aggravante mafiosa si porrebbe in stridente contrasto con il tenore testuale dell’articolo 335 cod. proc. pen., a mente del quale l’iscrizione della notizia di reato deve essere fatta immediatamente.
4.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta gravità indiziaria per i reati di associazione mafiosa, usura, estorsione e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, rispettivamente contestati ai capi 1), 5) 4) e 8) dell’incolpazione provvisoria.
Il ricorrente lamenta l’assenza di motivazione in merito alle articolate e documentate deduzioni difensive, svolte sia per iscritto, sia oralmente nel corso dell’udienza.
Segnatamente, quanto al capo 4), il Tribunale non avrebbe avuto riguardo alla smentita della natura usuraria della pattuizione d’interessi, costituita dalla documentazione prodotta dalla difesa.
Quanto al reato di estorsione, il Giudice della cautela non si sarebbe confrontato con l’assunto
del ricorrente dell’impossibilità di configurare tale fattispecie criminosa per assenza di minaccia, d’ingiusto profitto e di altrui danno, a tal fine segnalando la conversazione che attestava che il rivenditore concorrente avrebbe ricevuto il materiale «allo stesso prezzo».
Per ciò che riguarda l’addebito di partecipazione all’associazione criminale cosa nostra , il Tribunale non avrebbe esplicitato con quali condotte COGNOME avrebbe assicurato il proprio contributo causalmente rilevante al rafforzamento dell’organizzazione e al conseguimento degli scopi dallo stesso prestabiliti, non potendosi piø tener conto nØ dell’ipotesi estorsiva di cui al capo 6), con riferimento alla quale lo stesso tribunale ha ritenuto non sussistenti i gravi indizi, nØ quelle rubricati ai capi 5) e 7), a causa dell’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 25 ottobre 2024, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Manifestamente infondato Ł il primo motivo di ricorso.
2.1. E’ fermo nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di misure cautelari, il Pubblico Ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione, del Giudice per le indagini preliminari prima e del Tribunale del riesame dopo, gli atti di indagine nella loro integralità e, pertanto, sono utilizzabili i risultati delle investigazioni, di cui il Pubblico Ministero abbia trasmesso non direttamente i supporti tecnici, ma i relativi verbali riassuntivi, purchØ quanto trasmesso sia rappresentativo degli elementi su cui si fonda la richiesta cautelare e sia, per tale via, garantito il diritto di difesa e lo sviluppo del contraddittorio (Sez. 2, n. 19195 del 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276444; Sez. 6, n. 18448 del 08/04/2016, COGNOME, Rv. 266928; Sez. 2, n. 43445 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 257662).
Il Pubblico ministero – si Ł condivisibilmente chiarito – ha un potere di selezione degli atti da produrre a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare, sicchØ non costituisce violazione dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. la circostanza che questi, esercitando tale facoltà, «abbia trasmesso, in luogo della videoregistrazione del fatto oggetto di indagine, annotazioni di servizio in cui erano riportati i dati relativi a quanto videoregistrato» (Sez.2,n. 8837 del20/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv.258788). Altrettanto pacifico Ł che «la perdita di efficacia della misura, ai sensi dell’art. 309, comma quinto, cod. proc. pen., non si verifica qualora la copia di uno degli atti, già sottoposti al giudice che ha emesso l’ordinanza applicativa, venga per errore trasmessa al tribunale in modoincompleto» (Sez. 2, n. 41990 del 08/07/2015, COGNOME, Rv. 264681), ricollegandosi tale inefficacia alla sola “mancata” trasmissione e non alla trasmissione “difettosa” (Sez. 5, n. 39013 del 27/06/2018, COGNOME, Rv. 273879.)
Questa Corte ha altresì precisato che, in questo caso, il tribunale può decidere prescindendo da tali atti, se non determinanti, ovvero esercitare il potere di sollecitare una trasmissione integrativa, fermo il termine ultimo di dieci giorni entro i quali decidere, a far data dal primo invio di atti (Sez. 5, n. 39013 del 27/06/2018, COGNOME, Rv. 273879, citata, in motivazione).
2.2. Tanto premesso in diritto, nel caso che ci occupa, l’ordinanza genetica – in alcun modo sul punto contrastata – fa riferimento al fatto che l’intera attività investigativa Ł stata compendiata nell’informativa n. 684248 del 24 novembre 2023, ritualmente trasmessa ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.e di tanto ha dato conto lo stesso ricorrente (p. 2 del ricorso a firma dell’avv. COGNOME e COGNOME).
Sotto altro profilo, va ricordato l’altro principio espresso da questa Corte secondo cui «in tema d’impugnazioni concernenti misure cautelari personali, l’omessa trasmissione al tribunale
delriesamedi un’informativa della polizia giudiziaria e del testo integrale di alcuni atti d’indagine, richiamati nel provvedimento che ha disposto la misura, non ne comporta l’inefficacia, se non Ł specificamente indicato quali dati decisivi siano stati sottratti al controllo del tribunale e se, all’esito della “provadiresistenza”, gli elementi non trasmessi siano ritenuti irrilevanti, ai fini della correttezza e della legittimità della decisione cautelare» ( ex pluribus Sez. 6, n. 41468 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 277370).
Vi Ł poi da aggiungere – e trattasi di rilievo assorbente – che la richiesta di accesso della difesa del ricorrente non risulta che abbia incontrato alcun ostacolo idoneo a pregiudicare il pieno svolgimento del contraddittorio, emergendo piuttosto, come riconosciuto nello stesso atto di impugnazione, una puntuale trasmissione dell’istanza difensiva all’ufficio intercettazioni.
In altri termini, in disparte il tema sopra affrontato dei poteri selettivi del P.M., Ł certo, a seguito dell’adozione della misura cautelare, il difensore ha diritto di ottenere l’accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti la registrazione delle conversazioni captate, anche mediante l’ascolto delle tracce foniche, in vista del giudizio di riesame e senza che l’istanza debba essere ulteriormente circoscritta mediante l’indicazione dei RIT di riferimento (Sez. 6, n. 26447 del 14/04/2021, Puglia, Rv. 281689-01 e -02; Sez. 3, n. 10951 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 275868-02). L’illegittima compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificata omissione o ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore detto ascolto, dà luogo a una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina un vizio nel procedimento di acquisizione della prova che, pur non inficiando il risultato probatorio, ne impedisce l’utilizzo in fase cautelare (Sez. U, n. 20300 del 22/4/2010, Lasala, Rv. 246907; v. anche C. cost., n. 336 del 2008, secondo cui «l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non può essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria», riconoscendo il diritto incondizionato della difesa di accedere alla prova diretta).
E, tuttavia, si ripete, nessun ostacolo all’esercizio di tale diritto risulta dagli atti del processo.
Privi di pregio sono anche il secondo e il terzo motivo che possono essere trattati congiuntamente stante la connessione logica delle questioni prospettate.
3.1. Deve preliminarmente premettersi che, avuto riguardo alla data in cui sono state eseguite le iscrizioni delle quali si tratta, entrambe antecedenti al 30 dicembre 2022 (data di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: art. 99bis dello stesso decreto), non sono applicabili le disposizioni degli art. 335quater , 407bis e 415ter cod. proc. pen., come introdotte dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2022 (v. art. 88bis dello stesso decreto).
3.2. Ciò posto, va senz’altro ribadito, in primo luogo, che, in caso di reato permanente, i termini di durata delle indagini preliminari e delle successive proroghe sono quelli stabiliti dagli artt. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., collegati a ineludibili garanzie per il soggetto indagato, con la conseguenza che non può mai superarsi il termine massimo biennale di cui all’art. 407, comma 2, cod. proc. pen. (v., ad es., di recente Sez. 6, n. 12080 del 15/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 285364 – 01).
Tale principio, tuttavia, non può condurre a ignorare che, sul piano logico – giuridico, possono essere configurati diversi segmenti temporali del reato permanente che assumono rilievo non nel senso di incidere sulla natura unitaria dell’illecito di durata, ma sul piano del concreto e frazionato accertamento giurisdizionale di condotte che ben possono protrarsi anche al di là di eventi idonei a interrompere la permanenza (per una puntuale ricostruzione del fenomeno, v., ad es., Corte cost., sent. n. 53 del 2018, che ne trae coerenti conseguenze di garanzia, quanto all’applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen., al fine di modulare la risposta sanzionatoria in termini di proporzionalità).
Coerentemente con tale premessa, si Ł, ad es., ritenuto che, nell’ipotesi di reato permanente,
l’archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e, quindi, l’esercizio dell’azione penale in relazione a fatti e comportamenti atti a dimostrare la consumazione dell’illecito limitatamente ai segmenti temporali successivi all’archiviazione (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264923 – 01, che ne trae la conseguenza per la quale la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benchØ collegati con i fatti oggetto della precedente indagine; nello stesso senso, v. anche Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 270221 – 01).
Da tali affermazioni discende che, in tali ipotesi, venendo in rilievo fatti successivi, ancorchØ collegati con i fatti precedentemente iscritti, viene a modificarsi il momento consumativo del reato con la conseguenza che non si fa luogo ad un “aggiornamento” dell’iscrizione, ma si procede ad una nuova iscrizione con conseguente spostamento in avanti del dies a quo dell’iscrizione (ed Ł appena il caso di rilevare che la qualificazione giuridica degli atti del procedimento penale non può che essere condotta alla stregua di criteri oggettivi e non dei soggettivi convincimenti del Pubblico ministero, con la conseguenza che di “aggiornamento” si può parlare sono nei casi, previsti dall’art. 335, comma 2, cod. proc. pen., di mutamento della qualificazione giuridica del fatto o quando quest’ultimo risulti diversamente circostanziato).
3.3. In secondo luogo, l’eventuale inerzia del Pubblico ministero nell’assumere le sue determinazioni rispetto all’esercizio dell’azione penale – questione che ha indotto successivamente il legislatore a intervenire piø volte al fine di introdurre finestre di giurisdizionalizzazione, accompagnate dallo strumento dissuasivo (si veda, al riguardo, il testo attuale dell’art. 415quater cod. proc. pen.): ma si tratta di disciplina inapplicabile ratione temporis , per quanto detto in principio – certamente non comporta la conseguenza dell’inutilizzabilità degli atti delle indagini svolte sino alla scadenza del termine previsto dall’art. 405 cod. proc. pen. con riferimento al segmento di condotta del reato permanente cui si riferiscono. NØ, siffatta inerzia, può essere equiparata, in difetto di una previsione di legge, a un provvedimento di archiviazione: ciò, in disparte quanto sopra rilevato, a proposito della non necessità, per indagare sui segmenti successivi, di un provvedimento di riapertura delle indagini ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen.
Ne discende la piena compatibilità ai superiori principi della decisione, valorizzata dall’ordinanza impugnata (Sez. 6, n. 10687 del 18/01/2023, COGNOME, n. m.), la quale ha condivisibilmente rilevato che, laddove, nel corso di un’attività investigativa già avviata in relazione ad un dato reato permanente (ma lo stesso vale per quelli abituali e, comunque, per tutti quelli la cui condotta si protragga nei tempo), successivamente alla scadenza del termine legale emergano nuove circostanze attestanti il perdurare della condotta delittuosa dell’indagato, nulla vieta al Pubblico ministero di procedere ad una nuova iscrizione per lo stesso reato e nei confronti della medesima persona. Per un verso, infatti, nessuna norma del codice di rito lo impedisce. Per altro verso, qualora dalle indagini in corso emergessero elementi di perdurante attualità della condotta delittuosa anche dopo il termine massimo delle stesse (come nel caso dell’ulteriore protrarsi della partecipazione del singolo al sodalizio mafioso), si dovrebbe giungere alla paradossale conseguenza di imporre al Pubblico ministero la chiusura delle indagini già avviate e l’esercizio dell’azione penale per quel reato fino a tale data, nonchØ, al contempo, l’apertura di un nuovo procedimento per lo stesso reato e verso la stessa persona dalla stessa data in poi, al quale dovrebbero rimanere estranee le acquisizioni istruttorie del procedimento chiuso, potendo queste “ricongiungersi” alle nuove risultanze probatorie soltanto nell’eventualità di ulteriore esercizio dell’azione penale anche per la condotta successiva e di riunione dei due processi derivatine o, in alternativa, di trasmigrazione probatoria e documentale tra processi, secondo il meccanismo
delineato dagli artt. 238 e 238bis cod. proc. pen.
3.4. Da ultimo va rilevato che Ł corretta la spiegazione fornita dal Tribunale che, superando il nomen iuris (“aggiornamento”) attribuito dal Pubblico ministero, si tratta in realtà di nuova iscrizione nel senso sopra delineato, posto che la qualificazione degli atti del procedimento, ai fini dell’applicazione della disciplina del codice di rito, va condotta in termini oggettivi e non alla stregua dei soggettivi e, in ipotesi erronei, convincimenti dell’autore.
Il quarto motivo Ł inammissibile, siccome rivalutativo e interamente versato in fatto.
4.1. Secondo la granitica giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si Ł anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo d’impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., e ai presupposti ai quali Ł subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si Ł evidenziato che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 -01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 -01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) Ł, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice e le statuizioni sono assistite da motivazione non manifestamente illogica (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997 -01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178 -01).
4.2. Ciò premesso, ritiene il Collegio come, nelle valutazioni del Tribunale inerenti al quarto motivo sintetizzate in parte narrativa, non si riscontri alcuna violazione di legge o vizio di motivazione, essendo le conclusioni assunte del tutto congrue e prive di illogicità manifesta.
I Giudici della cautela hanno, in particolare, congruamente motivato sugli indizi della partecipazione di COGNOME al sodalizio di cui al capo 1), muovendo dallo scrutinio della provvista indiziaria riguardante i reati fine (p. 12 e s. del provvedimento impugnato), procedendo all’esame delle conversazioni di volta in volta reputate dimostrative della gravità indiziaria e, segnatamente,: i) quanto al delitto di usura di cui al capo 4), la captazione del 3 dicembre 2021, costitutiva dell’accordo illecito; ii) per ciò che concerne i capi 5) e 7), le conversazioni del 20 e del 21 gennaio
2020 indicative del rimprovero di COGNOME a COGNOME di avere tentato di effettuare una fornitura di materiale edile nei confronti di un imprenditore in spregio all’esclusiva dallo stesso vantata nel settore, tanto da determinare la cessazione della fornitura in parola, quale effetto di una coartazione e non di libera scelta; iii) la pletora di conversazioni intercettate e riscontrate dagli altrettanto numerosi servizi di osservazione e controllo degli investigatori quanto all’attività di sversamento di rifiuti descritta al capo 8) dell’imputazione provvisoria.
Si tratta di motivazione resa in ossequio al principio – dettato per il giudizio di merito, ma senz’altro trasponibile a quello cautelare – secondo cui, in tema di associazione per delinquere (semplice ovvero di stampo mafioso), Ł consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218376 – 01; Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126 – 02; in materia cautelare, si veda Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670 – 01).
Il Tribunale si Ł fatto altresì carico (p. 15 e s.) di valorizzare – con un percorso argomentativo immune da fratture logiche – il contenuto di altre conversazioni reputate dimostrative a livello indiziario della partecipazione alla famiglia mafiosa di Sciacca, ponendo in risalto il ruolo in esse cristallizzato che vedono l’indagato operare in stretto contatto con il vertice NOME COGNOME, cui COGNOME era succeduto nella guida della cosca, richiamando l’ampia disamina contenuta nell’ordinanza genetica sulla contrapposizione tra COGNOME e COGNOME determinata dal fatto che il primo non riconosceva appieno l’autorità del secondo.
Con tali argomentazioni il ricorso non si confronta e si limita a censure di tipo a-specifico e rivalutativo, estranee al perimetro valutativo consentito al Collegio.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 15/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
EVA TOSCANI