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Indagini difensive: le regole per le dichiarazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna contro la confisca di un immobile, intestato a lei ma ritenuto nella disponibilità del fratello, condannato per spaccio. La sentenza sottolinea che le dichiarazioni scritte dei familiari, prodotte a sua difesa, sono processualmente inutilizzabili se non raccolte nel rigoroso rispetto delle formalità previste per le indagini difensive, non potendo essere classificate come semplici documenti.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Indagini difensive: la Cassazione stabilisce i paletti per l’uso delle dichiarazioni

Le indagini difensive rappresentano uno strumento cruciale per l’avvocato penalista, ma il loro utilizzo è subordinato al rispetto di rigide formalità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33352/2024) ha ribadito un principio fondamentale: le dichiarazioni scritte, anche se provenienti da familiari, sono processualmente inutilizzabili se non raccolte secondo le norme del codice di procedura penale. Analizziamo il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso: un immobile conteso

Il caso trae origine dal sequestro preventivo, e successiva confisca, di un immobile sito a Piacenza. Il bene era formalmente intestato a una donna, ma la misura era stata disposta nell’ambito di un procedimento penale a carico del fratello, condannato per reati legati agli stupefacenti. Secondo l’accusa, la sorella era una mera intestataria fittizia, mentre la disponibilità effettiva dell’immobile era del fratello.

La donna si è opposta al provvedimento, sostenendo di essere l’unica e legittima proprietaria. A sostegno della sua tesi, ha prodotto dichiarazioni scritte della madre e delle altre sorelle, volte a confermare la sua esclusiva titolarità e a smentire la coabitazione con il fratello. Il Tribunale di Piacenza, tuttavia, ha rigettato l’opposizione, ritenendo tali dichiarazioni inutilizzabili e confermando la confisca.

La questione delle indagini difensive e la loro inutilizzabilità

Il cuore della controversia giuridica, portata all’attenzione della Cassazione, riguarda la natura e l’ammissibilità delle dichiarazioni prodotte dalla difesa. La ricorrente sosteneva che tali scritti dovessero essere considerati come documenti o dichiarazioni sostitutive di atto notorio, e quindi pienamente valutabili dal giudice.

La Corte ha respinto categoricamente questa interpretazione. Ha chiarito che, quando delle dichiarazioni vengono raccolte con lo scopo specifico di essere utilizzate in un procedimento penale, esse rientrano a pieno titolo nell’ambito delle indagini difensive, disciplinate dagli articoli 391-bis e 391-ter del codice di procedura penale. Queste norme prevedono un iter formale molto preciso per garantire l’autenticità e la genuinità della prova:

1. Avvertimenti al dichiarante: Il difensore deve avvisare la persona sentita delle finalità del colloquio, degli obblighi di legge e delle responsabilità penali in caso di false dichiarazioni.
2. Documentazione formale: L’atto deve essere documentato tramite una relazione sottoscritta dal difensore, che attesti l’avvenuto svolgimento delle attività e il rispetto delle garanzie.

Nel caso di specie, queste formalità erano state completamente disattese. Le dichiarazioni erano state ottenute tramite uno scambio di email, senza alcuna autenticazione da parte del difensore e senza la relazione prescritta dalla legge. Di conseguenza, la Corte ha confermato la loro “patologica inutilizzabilità”, una sanzione che impedisce al giudice di fondare la propria decisione su tali elementi.

L’interposizione fittizia e la sproporzione reddituale

Una volta esclusa la validità delle dichiarazioni familiari, il castello difensivo della ricorrente è crollato. La decisione del Tribunale si fondava non solo sull’assenza di prove a favore della donna, ma anche su elementi positivi che suggerivano un’intestazione fittizia:

* Gli stretti legami familiari tra la ricorrente e il fratello.
* L’attestazione di una coabitazione ritenuta falsa, creata solo a fini anagrafici.
* Una palese sproporzione tra il valore dell’immobile e le condizioni economiche della donna, collaboratrice domestica senza dichiarazioni dei redditi, che non era in grado di giustificare la provenienza lecita dei fondi per l’acquisto.

La Cassazione ha ritenuto questo ragionamento logico e coerente, sottolineando come, in assenza di prove concrete sulla titolarità effettiva e sulla capacità finanziaria dell’intestataria, la presunzione di disponibilità del bene in capo al condannato fosse fondata.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha affermato che le norme sulle indagini difensive non ammettono scorciatoie o interpretazioni flessibili. La loro finalità è quella di garantire un contraddittorio ‘cartolare’ che compensi l’assenza di un contraddittorio diretto nella fase di acquisizione della prova. La mancanza della relazione del difensore, prevista dall’art. 391-ter c.p.p., è una violazione insanabile che comporta l’inutilizzabilità assoluta dell’atto. Non è possibile, ha specificato la Corte, ‘declassare’ una dichiarazione difensiva a mero ‘documento’ ex art. 234 c.p.p. per superare i vizi formali, poiché si tratta di atti nati e funzionali al processo penale, che devono seguire le regole del processo stesso. Anche la presunta tracciabilità dei pagamenti (assegni, bonifici) è stata ritenuta insufficiente a dimostrare la reale capacità economica dell’acquirente, di fronte a una manifesta sproporzione rispetto alla sua situazione reddituale.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un monito importante per la pratica forense: la raccolta di prove a favore del proprio assistito deve avvenire nel più scrupoloso rispetto delle garanzie procedurali. Le indagini difensive sono uno strumento potente, ma la loro efficacia dipende interamente dalla correttezza formale con cui vengono condotte. Tentare di aggirare le norme, presentando dichiarazioni irrituali come documenti generici, è una strategia destinata al fallimento, con la grave conseguenza di rendere inutilizzabile un elemento che potrebbe essere stato decisivo per la difesa.

Quando sono inutilizzabili le dichiarazioni raccolte nelle indagini difensive?
Le dichiarazioni sono inutilizzabili quando non vengono rispettate le modalità e i requisiti formali prescritti dagli articoli 391-bis e 391-ter del codice di procedura penale. In particolare, la mancanza della relazione scritta e sottoscritta dal difensore, che attesti le attività svolte e gli avvertimenti dati al dichiarante, ne determina l’inutilizzabilità assoluta.

Una dichiarazione scritta di un familiare può essere considerata un semplice ‘documento’ nel processo penale per evitarne l’inutilizzabilità?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che gli atti strettamente funzionali al processo e acquisiti al suo interno, come le dichiarazioni raccolte ai sensi dell’art. 391-bis c.p.p., non possono essere ricondotti alla categoria generica dei ‘documenti’ (art. 234 c.p.p.) né a quella delle prove atipiche. Devono seguire le regole specifiche previste per le indagini difensive.

Cosa valuta il giudice per stabilire un’interposizione fittizia nella proprietà di un immobile?
Il giudice valuta un insieme di elementi logici, tra cui: gli stretti legami personali tra l’intestatario formale e il soggetto che si presume abbia la disponibilità reale del bene; la sproporzione tra il valore dell’immobile e la capacità reddituale ed economica dell’intestatario; l’assenza di una prova concreta da parte di quest’ultimo sulla provenienza lecita dei fondi utilizzati per l’acquisto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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