Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8127 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 8127  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Carini il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/07/2023 della Corte di appello di Caltanissetta
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME chiede l’annullamento dell’ordinanza con la quale la Corte di appello di Caltanissetta ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo del 23 luglio 2018 (irrevocabile il 24 marzo 2021), con la quale il ricorrente era stato condannato alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen..
2. Il ricorrente denuncia violazione di legge (art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen.) e vizio di motivazione sulla ritenuta insussistenza della inconciliabilità tra i fatti oggetto della sentenza di condanna e l’assoluzione del ricorrente, con sentenza del 15 luglio 2021, dal reato di concorso nel duplice omicidio di tali COGNOME e COGNOME. Sostiene il ricorrente che la sentenza di condanna di cui si chiede la revisione valorizzava, a carico del COGNOME, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME sulla partecipazione del COGNOME sia al duplice omicidio sia al seppellimento dei cadaveri di tali COGNOME e COGNOME e di essersi occupato di riscuotere il pizzo ai danni di tale COGNOME. Secondo il ricorrente solo le dichiarazioni rese dal COGNOME, svalutate dalla sentenza di assoluzione, avevano consentito la condanna del COGNOME – intervenuta in esito ad un complesso iter processuale giacchè la prima condanna era stata oggetto di annullamento da parte della Corte di cassazionesuperando il deficit motivazionale in precedenza riscontrato quanto alle dichiarazioni accusatorie di altro collaboratore, NOME COGNOME. L’assoluzione motivata dal dubbio che COGNOME si sia autocaccusato del duplice omicidio per conseguire i benefici della collaborazione e il dubbio del COGNOME, escusso nel processo omicidio, sulla conoscenza del COGNOME del seppellimento sui suoi fondi di alcuni cadaveri si pongono in insanabile contraddizione con la sentenza di condanna, aspetto che la Corte di appello ha erroneamente motivato facendo riferimento all’automatismo degli effetti della pronuncia assolutoria su quella di condanna. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati, al limite della manifesta evidenza.
L’inconciliabilità tra giudicati, che costituisce il fondamento ontologico dell’istituto della revisione di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. fonda, come più volte statuito da questa Suprema Corte (ex multis Sez. 5, n. 40819 del 22.9.05, dep. 10.11.05, COGNOME, Rv. 232803), sulla inconciliabilità tra i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna i quali non possano conciliarsi con quelli stabiliti in altra sentenza irrevocabile. L’inconciliabili dunque, deve riguardare i fatti di reato accertati e posti a fondamento delle due diverse decisioni, non già l’ipotesi in cui la stessa verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici (Sez. 5, n. 3914 del 17/11/2011, dep. 31/01/2012, COGNOME, Rv. 251718).
Entro tale prospettiva, inoltre, il criterio decisivo per la riconoscibilità d contrasto di giudicati non può ravvisarsi sulla sola base di un contrasto di principio fra due sentenze, ma deve essere tale da dimostrare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza
ed idonea a scagionare il condannato (Sez. 6, n. 10916 del 07/02/2006, dep. 28/03/2006, COGNOME, Rv. 233733).
2.La Corte territoriale ha fatto buon governo del quadro di principii delineato in questa Sede, procedendo ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, ed escludendo quindi, con congrua ed esaustiva motivazione, ogni profilo di contraddittorietà logico-giuridica tra i due giudicati.
In tal senso, essa è pervenuta alla decisione impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, dapprima ponendo in rilievo gli elementi che avevano fondato il giudizio di colpevolezza nella sentenza relativa al reato associativo valorizzando non tanto il dato che il COGNOME avesse o partecipato o fosse al corrente della sepoltura, sui suoi terreni, dello COGNOME quanto il fatto che gli uomini dell’associazione, di cui COGNOME era un personaggio di spicco, contassero su quel sito per le sepolture dei soggetti eliminati, dato, questo, sul quale si verificava convergenza tra le dichiarazioni rese dal COGNOME e quelle del COGNOME. Anche a proposito della disponibilità del ricorrente nelle attività estorsive i fatti valorizzati nella sentenza di condanna erano relativi alla disponibilità del ricorrente verso tale attività piuttosto che l’accertata partecipazione all’una o altra condotta estorsiva.
Premesso che non risulta, invece, che nella sentenza di condanna per il reato associativo fosse stato posto a fondamento della condotta anche la partecipazione dell’imputato al duplice omicidio, fatto per il quale è intervenuta l’assoluzione irrevocabile, rileva la Corte che, in presenza di un reato come quello associativo in cui vengano in rilievo, ai fini della condotta materiale e della sua qualificazione giuridica, anche differenti fatti storici, risulta complessa l’attività di discernimento tra il fatto – inteso come condotta, evento e nesso causale – e l’attività valutativa che ne è stata compiuta dal giudice, vieppiù quando, come nel caso in esame, la esistenza di un fatto – e, nel caso, la partecipazione al reato di omicidio costituisca il risultato di prova della valutazione delle fonti dichiarative e l’assoluzione sia stata determinata dal dubbio sull’attendibilità della dichiarazione accusatoria in mancanza di riscontri.
In tal caso la verifica della inconciliabilità tra i giudicati non può attingere il percorso valutativo seguito dai differenti giudici del merito ma neppure prescindere dal risultato che ne sia derivato, ai fini della ritenuta sussistenza/insussistenza del fatto.
In tale evenienza, tuttavia, come correttamente rilevato nell’ordinanza impugnata, il giudice della revisione non può procedere egli stesso alla “rivalutazione” del giudizio di attendibilità o inattendibilità delle dichiarazioni, come nel caso sembra suggerire l’istante introducendo il tema della valutazione delle
dichiarazioni rese dal COGNOME, che hanno portato all’assoluzione del COGNOME dal reato di omicidio.
Men che mai il giudice della revisione potrebbe procedere alla valutazione delle dichiarazioni rese dal COGNOME nel processo per omicidio, per verificare che questi abbia reso dichiarazioni divergenti in merito al coinvolgimento del COGNOME nell’occultamento del cadavere di tale COGNOME, fatto che non costituiva, stando al tenore delle contestazioni, oggetto di quel processo.
In conclusione, la Corte di appello, esaminando il tema della inconciliabilità del giudicato assolutorio, per il reato di concorso in duplice omicidio, con la condanna del COGNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ha esaminato i segmenti della condanna per il reato associativo – il coinvolgimento del COGNOME nel seppellimento del cadavere dello COGNOME; la disponibilità verso l’associazione nelle attività di raccolta del pizzo – pervenendo alla conclusione che si tratta di fatti che non si pongono in insanabile contrasto logico con l’assoluzione del COGNOME dal reato di duplice omicidio che non costituiva fatto valutato nel processo per il reato associativo.
E, dunque, ha dunque motivatamente indicato, escludendo la inconciliabilità fra i giudicati, gli specifici elementi di diversità sul piano storico-fattuale del condanna, puntualmente apprezzandone le correlative implicazioni.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 febbraio 2024
Il Consigliere rè4atore
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