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Incompatibilità del rappresentante legale: Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che dichiarava inammissibile il ricorso di un rappresentante legale contro un sequestro preventivo. Il caso chiarisce che l’incompatibilità del rappresentante legale, prevista dal D.Lgs. 231/2001, non si applica se la società non è formalmente indagata per l’illecito amministrativo e il rappresentante impugna il provvedimento a titolo personale, per difendere i propri beni.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Incompatibilità del Rappresentante Legale: Errore del Giudice e Annullamento in Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto fondamentale in tema di responsabilità degli enti: l’incompatibilità del rappresentante legale. Questo principio, sancito dal D.Lgs. 231/2001, vieta al rappresentante legale di una società di rappresentarla in giudizio quando è egli stesso indagato per il reato presupposto. La pronuncia in esame, tuttavia, mette in luce come tale divieto non sia assoluto e vada applicato con rigore solo in presenza di specifici presupposti procedurali, che il giudice del merito aveva erroneamente dato per scontati.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza di sequestro preventivo disposta dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti dei beni di una persona fisica, legale rappresentante di una società a responsabilità limitata. L’uomo era indagato per un reato ambientale. Avverso tale provvedimento, il suo difensore proponeva istanza di riesame.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile. La motivazione si basava sull’assunto che la società fosse indagata per l’illecito amministrativo derivante dal reato del suo rappresentante. Di conseguenza, secondo il Tribunale, sussisteva una situazione di incompatibilità del rappresentante legale ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. 231/2001, che gli impediva di agire, anche tramite difensore, per contestare il sequestro.

La Decisione della Cassazione e l’errata applicazione dell’incompatibilità del rappresentante legale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato dell’indagato, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Gli Ermellini hanno rilevato un errore fondamentale nel ragionamento del giudice di merito.

Il principio di incompatibilità del rappresentante legale, come chiarito dalle Sezioni Unite, è assoluto e inderogabile: quando l’ente è incolpato ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e il suo legale rappresentante è indagato per il reato presupposto, si crea un insanabile conflitto di interessi. L’ente, infatti, potrebbe avere interesse a dimostrare che il rappresentante ha agito per un fine esclusivo proprio o di terzi, eludendo i modelli organizzativi, per escludere la propria responsabilità. In questa situazione, il rappresentante non può nominare un difensore per l’ente.

Tuttavia, la Corte Suprema ha specificato che questo divieto opera solo se l’ente è effettivamente parte del procedimento. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva presunto che la società fosse indagata, senza però che tale circostanza trovasse conferma negli atti processuali. L’istanza di riesame era stata presentata dalla persona fisica per contestare un sequestro sui propri beni, non in qualità di rappresentante dell’ente collettivo.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito che il difetto di legittimazione, basato sull’incompatibilità del rappresentante legale, riguarda le impugnazioni presentate nell’interesse dell’ente, non quelle proposte dall’individuo per tutelare la propria posizione personale. Nel caso esaminato, l’impugnazione era stata proposta dalla persona fisica sottoposta a indagini per un reato comune, avverso un decreto di sequestro preventivo che lo colpiva direttamente.

Dalla lettura degli atti, non emergeva che la società fosse stata formalmente indagata per l’illecito amministrativo. Pertanto, il rappresentante legale stava esercitando un suo diritto di difesa personale e non agiva in nome e per conto della società. Il Tribunale del Riesame ha fatto un “mal governo” dei principi di diritto, applicando una norma (l’art. 39 del D.Lgs. 231/2001) a una fattispecie in cui non ne ricorrevano i presupposti. Il giudice avrebbe dovuto prima verificare l’effettiva posizione processuale della società e solo dopo valutare l’eventuale incompatibilità.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito: le norme che limitano i diritti processuali, come quella sull’incompatibilità del rappresentante legale, devono essere interpretate e applicate con rigore e solo dopo un’attenta verifica dei fatti procedurali. Non si può presumere l’esistenza di un conflitto di interessi. La decisione della Cassazione riafferma il principio secondo cui il diritto di difesa dell’individuo, anche se ricopre la carica di rappresentante legale di una società, deve essere pienamente garantito, specialmente quando agisce per tutelare i propri beni da una misura cautelare personale.

Quando scatta l’incompatibilità del rappresentante legale a rappresentare la società?
L’incompatibilità si verifica quando la società è formalmente indagata per un illecito amministrativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e, contemporaneamente, il suo rappresentante legale è indagato o imputato per il reato presupposto da cui dipende l’illecito dell’ente.

Perché il Tribunale del riesame aveva dichiarato inammissibile il ricorso?
Il Tribunale aveva erroneamente presunto che la società fosse indagata per l’illecito amministrativo e che, di conseguenza, il suo legale rappresentante (indagato per il reato presupposto) fosse in una posizione di conflitto di interessi tale da non poter impugnare il sequestro, applicando in modo errato il principio di incompatibilità.

Qual è stato il punto chiave della decisione della Corte di Cassazione?
La Cassazione ha stabilito che il divieto di rappresentanza non si applica se non vi è prova che la società sia indagata ai sensi del D.Lgs. 231/2001. In questo caso, il rappresentante legale stava impugnando il sequestro come persona fisica a tutela dei propri beni, esercitando un suo personale diritto di difesa, e non in qualità di rappresentante dell’ente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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