Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15736 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15736 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato in Kosovo il 30 ottobre 1991;
avverso la ordinanza n. 30/2023 del Tribunale di Trieste del 21 settembre 2023;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunziata in data 21 settembre 2023 il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari di carattere reale, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla futura confisca diretta e per equivalente, emesso in data 1 settembre 2023 dal Gip del Tribunale di Trieste a carico di COGNOME nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE il quale, secondo la imputazione a luì provvisoriamente contestata, avrebbe, nelle dichiarazioni dei redditi redatte nella predetta qualità quanto agli anni di imposta 2020, 2021 e 2022, indicato poste passive documentate con fatture relative ad operazioni inesistenti; il citato sequestro aveva ad oggetto valori sino alla concorrenza di euri 584.339,78.
Nel rigettare il ricorso presentato in sede di riesame dalla difesa del Krasniqi, il Tribunale di Trieste ha fatto leva su una serie di elementi a suo giudizio rivelatori della insussistenza delle prestazioni i cui corrispettivi versa dall’indagato sono documentati con le fatture di cui sopra ed ha evidenziato la esistenza di un pericolo nel ritardo, desumibile sia dal complessivo importo del debito tributario gravante sull’indagato, pari ad oltre 920.000,00 euri, sia dall circostanza che il Krasniqi già avrebbe distratto ingenti somme dal patrimonio della Bora destinandole, attraverso un prestanome, all’acquisto di beni immobili a quest’ultimo intestati, di tal che sussisterebbe il concreto pericolo che Krasniqi, distraendo ulteriori beni alla Bora o, comunque, dissipando i propri beni, renda inattuabile la confisca prevista dalla normativa penai-tributaria ove egli dovesse risultare responsabile dei reati a lui contestati.
Avverso la predetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione tramite la propria difesa fiduciaria il Krasniqi svolgendo due motivi di doglianza.
Il primo motivo attiene alla violazione di legge per essere stato composto il Collegio del Tribunale giuliano che ha emesso la ordinanza impugnata da un componente, il quale ha assunto il compito di relatore della questione, che già si era occupato di essa per avere composto il Collegio del Tribunale in occasione del riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo dei beni immobili che, secondo la ipotesi accusatoria, l’odierno ricorrente avrebbe acquistato, servendosi di un prestanome, utilizzando risorse finanziarie sottratte alla RAGIONE_SOCIALE; anche per tale condotta, infatti, è stata aperta una indagine penale a carico di tale NOME COGNOME convivente del Krasniqi, la quale – in quanto formalmente titolare dei citati beni immobili in questione, in ipotesi acquistati con fondi ch l’odierno ricorrente avrebbe distratto dal patrimonio finanziario della Bora – era
stata destinataria di un precedente provvedimento di sequestro, avente ad oggetto detti beni, il cui riesame era stato rigettato, con ordinanza emessa in data 5 settembre 2023, dal Tribunale di Trieste, essendo componente di questo, come detto in qualità di relatore, il magistrato che ha materialmente redatto anche la ordinanza ora impugnata.
In tale vicenda il ricorrente ha riscontrato l’avvenuta violazione dell’art. 34 cod. proc. pen., ed ha, pertanto, chiesto che, a causa della predetta violazione, la stessa ordinanza fosse dichiarata nulla.
Con il secondo motivo di doglianza il ricorrente si è lagnato della erronea applicazione della legge penale, in particolare gli artt. 2 e 8 del ·dlgs n. 74 d 2000; in particolare il ricorrente, ribadita la impossibilità di ritenere sussisten la violazione dell’art. 2 del citato decreto legislativo laddove non sia sta quantomeno contestata anche la violazione dell’art.8 del medesimo decreto legislativo, ha rilevato che il Tribunale avrebbe errato nell’affermare che dal fascicolo del Pm fosse evincibile l’avvenuta iscrizione fra le notizie di reato della violazione anche del predetto art. 8, atteso che dall’esame dello stesso una tale informazione non era ricavabile
Oltre a ciò, il ricorrente ha rilevato come non siano ricavabili elementi indiziari da cui desumere l’avvenuta inesistenza delle operazioni documentate con le fatture di cui alla provvisoria imputazione.
Ha, ancora, aggiunto il ricorrente come nella fattispecie non sussistano elementi per fondare l’esistenza di un rilevante pericolo nel ritardo, tale da giustificare l’adozione del provvedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultati ora inammissibili ora manifestamente infondati i motivi allegati in sede di impugnazione, deve essere a sua volta dichiarato inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, afferente ad un dedotto vizio di violazione di legge – si tratterebbe del contrasto con l’art. 34 cod. proc. pen per avere uno dei magistrati componenti del Collegio che ha giudicato sul riesame ora in questione fatto parte di altro organo giudicante che già si è espresso sulla complessa vicenda attualmente in esame – osserva questo Collegio, senza dovere assolutamente esaminare il merito processuale della vicenda segnalata dal ricorrente (senza, cioé, dovere, neppure incidentalmente, esaminare l’esistenza di profili che, rivelando una l’esistenza di una precedente
cognizione da parte del giudice procedente dei medesimi fatti ora in questione, per come evocata dal ricorrente, avrebbero potuto giustificare l’esistenza di motivi di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen. a carico del dott. NOME COGNOME giudice relatore del provvedimento ora impugnato), che si tratta di doglianza assolutamente inammissibile.
Come, infatti, questa Corte ha in precedenti occasioni avuto modo di precisare, con orientamento che ora è del tutto condiviso, le cause di incompatibilità del giudice – in quanto costituiscono unicamente eventuale motivo di ricusazione dello stesso e non possono di per sé integrare un vizio comportante la nullità del giudizio (Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 settembre 2021, n. 34581, rv 282136) – onde avere incidenza nell’economia del giudizio cui le stesse, secondo la prospettazione dell’interessato, inerirebbero, devono essere state precedentemente eccepite con dichiarazione di ricusazione, da presentarsi nei modi e nei tempi stabiliti, a pena di decadenza, dall’art. 38 cod. proc. pen.
Si vuole con ciò intendere che l’effettivo oggetto di una eventuale impugnazione, da presentarsi, peraltro, secondo le peculiari forme di cui all’art. 40 cod. proc. pen., non sarà la pretesa incompatibilità del giudice che si sarebbe trovato in una delle situazioni individuate dall’art. 34 cod. proc. pen. né il provvedimento da questo in tale modio reso, potendolo, semmai, essere il provvedimento con il quale il giudice della ricusazione, sebbene debitamente investito, non abbia rilevato la situazione di incompatibilità.
Ma, nel caso che interessa, non risulta in alcun modo che la difesa dell’odierno ricorrente abbia dedotto, tramite lo strumento della ricusazione, la pretesa incompatibilità del giudice relatore del provvedimento oggi impugnato (di tal che non mette conto ora di esaminare se ed in quale modo l’eventuale statuizione sulla sua ricusazione avrebbe potuto refluire sui procedimento cui ha partecipato il giudice asseritamente incompatibile).
Può, pertanto, essere pianamente affermata la inammissibilità della doglianza volta a fare valere siffatta circostanza nella presente, impropria, sede.
Passando al secondo motivo di impugnazione, si rileva che lo stesso risulta essere manifestamente infondato.
Ora, se è vero che l’avvenuta contestazione della violazione dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, riferita cioè all’avvenuta utilizzazione in sede di dichiarazione fiscale di fatture od altri documenti relativi ad operazioni
inesistenti, presuppone, in linea generale, l’avvenuta creazione di tale documentazione, condotta integrante il diverso reato di cui all’art. 8 del medesimo decreto legislativo, non è, però, altrettanto vero che, ai fini della ipotizzabilità – tanto più sotto le mere sembianze del solo fumus delicti -dell’illecito in questione è previamente necessario che sia stato in qualche modo accertato e contestato a chicchessia siffatto altro illecito.
Va, peraltro considerato che nel caso in esame la fittizietà delle operazioni documentate attraverso le fatture di cui alla provvisoria imputazione è stata desunta dal giudice del riesame ora sulla base della inidoneità tecnica della struttura aziendale delle imprese che formalmente le hanno emesse a realizzare le opere in esse indicate, ora in funzione della dichiarata mancanza di rapporti commerciali fra le stesse e la società amministrata dal ricorrente ora in ragione della opacità dei pagamenti che sarebbero stati eseguiti nei confronti di esse.
Si tratta di elementi di giudizio che – a prescindere dalla eventuale individuazione dei soggetti che hanno materialmente confezionato le fatture che il ricorrente ha portato a dimostrazione di costi aziendali atti ad abbattere reddito di impresa prodotto – appaiono già di per sé indicativi della fittiziet delle operazioni da esse documentate.
Né ha un qualche rilievo il segnalare il fatto che gli importi di talune delle fatture emesse verso la RAGIONE_SOCIALE dalle singole società con cui è venuto in contatto il ricorrente siano minori rispetto a quelli evocati nella richiesta sequestro indirizzata dal Pm al Gip che lo ha poi disposto.
Il dato, infatti, significativo quale elemento rivelatore del fumus delicti è, come segnalato nella ordinanza impugnata, il costante carattere della inidoneità della imprese emittenti le fatture in questione a fare fronte al volume di affari da essere apparentemente svolto, il che costituisce indice rassicurante in relazione alla mera fittizietà della loro vita imprenditoriale tale da poterl definire, secondo una icastica espressione ricorrente nella pratica giudiziarie, delle mere “cartiere”.
Quanto, infine, alla doglianza riferibile alla mancanza di motivazione in punto di pericolo nel ritardo, si rileva che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non di mancanza di motivazione si duole il ricorrente ma, semmai, della sua adeguatezza; si tratta di una censura che, però, è specificamente indicata, dall’art. 325 comma 1, cod. proc. pen. come estranea alla presente tipologia impugnatoria, potendo essere censurate di fronte a questa Corte di legittimità le ordinanze in materia di misura cautelari reali
esclusivamente con riferimento alla doglianza riguardante la violazione di legge e, pertanto, ove si tratti di motivazione, nel solo caso in cui questa sia del tu
mancante o del tutto apparente – ipotesi non ricorrente nella presente occasione nella quale il Tribunale di Trieste ha evidenziato quale fondamento del pericolo
l’esistenza di condotte distrattive poste in essere dal ricorrente – e non, invec nel caso in cui si tratti di lagnanze riferite alla tenuta motivazionale d
provvedimento impugnato.
Il ricorse deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen. va
condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di ero 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presid te