Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18656 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18656 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Villaricca il 12/02/1987 2) COGNOME NOME, nato a Giugliano in Campania il 01/01/1948 avverso l ‘ordina nza emessa in data 04/11/2024 dal Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 04/11/2024, il Tribunale ha dichiarato inammissibile, ed in parte rigettato, l’incidente di esecuzione proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, avente ad oggetto la richiesta di sospensione e revoca dell’ordine di demo lizione del manufatto sito in Giugliano e meglio identificato nell’epigrafe del provvedimento . In relazione all’abusiva edificazione del manufatto, era stata pronunciata sentenza (e relativo ordine di demolizione) dal Tribunale di Napoli -sez. dist. Marano in data 10/10/2000 (irrev. il 09/03/2001).
Ricorrono per cassazione, con unico atto, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle nuove argomentazioni svolte dinanzi al Tribunale, ed agli errori compiuti da quest’ultimo. Si osserva in particolare: che gli abusi sanati non si riferivano ad una unica unità immobillare, ma solo a quella sanata con permesso n. 200 del 2018; che l’altro permesso in sanatoria (n. 198 del 2018) si riferiva invece ad un ‘opera di risalente datazione (1963); che l’istanza di condono riferita a tale secondo elemento era stata appunto formulata con riferimento alla tipologia n. 5 e non n. 1, come ritenuto dal Tribunale, il quale si era riferito ad un errore materiale in realtà insussistente; che l’ordine di abbattimento , emesso con la sentenza del 2000, aveva avuto ad oggetto solo la porzione di immobile sanata con il permesso n. 200; che, a sostegno dell’assunto , vi era la ‘denuncia di nuove opere’ (prodotta all’udienza del 14/10/2024 ), risalente al 1963.
Sotto altro profilo, si lamenta il mancato apprezzamento degli ‘elementi nuovi’ dedotti in vista dell’udienza camerale, costituiti dalla documentazione e dalla consulenza indicate a pag. 4 del ricorso, e alle dichiarazioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME, raccolte in sede di indagini difensive.
2.2. Omessa motivazione sulla richiesta di perizia.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita il rigetto del ricorso, ritenendo infondate le censure difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
E’ opportuno prendere le mosse – per le evidenti implicazioni che la questione assume sull’ammissibilità delle doglianze da quanto esposto nella parte iniziale del provvedimento impugnato, con riferimento alla reiterazione, da parte dei POLLASTRO, delle istanze di revoca o sospensione dell’ingiunzione a demolire le opere abusive, loro notificata nel marzo 2014 a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Napoli -sez. dist. Marano in data 10/10/2000 (irrev. il 09/03/2001).
2.1. In particolare, gli odierni ricorrenti avevano proposto una prima istanza rigettata dal Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione , con ordinanza del 31/05/2023, la quale aveva disapplicato i titoli abilitativi concessi dal comune in sanatoria.
Il ricorso per cassazione proposto dai POLLASTRO avverso tale provvedimento era stato dichiarato inammissibile da questa Suprema Corte, con sentenza n. 11171 del 14/12/2023, dep. 2024.
2.2. Una seconda istanza era stata rigettata dal Tribunale napoletano con ordinanza del 31/05/2024, il cui percorso argomentativo era stato ampiamente riportato nell’odierno provvedimento .
2.2.1. In quella sede, il Tribunale aveva tra l’altro affermato che gli abusi erano stati oggetto di due titoli in sanatoria, ma dovevano in realtà ritenersi riferiti ad una unica unità immobiliare, oggetto dell’ordine di demolizione emesso dalla già ricordata sentenza di condanna in data 10/10/2000. Nella doverosa valutazione della legittimità dei titoli abilitativi rilasciati in sanatoria, il Tribunale aveva altresì evidenziato che, da un lato, le modalità di presentazione delle istanze (tipologia di abuso 1), e di calcolo della relativa oblazione, facevano riferimento a nuove opere. D ‘altro lato, il Tribunale aveva posto in rilievo -sulla scorta degli elaborati e del sopralluogo ad opera del consulente incaricato – che i volumi erano stati marcatamente sottostimati nelle due istanze di sanatoria, stando alle quali non era stato complessivamente superato il limite consentito di mc 750: in realtà, prendendo congiuntamente in considerazione gli abusi oggetto delle due sanatorie, detto limite risultava superato (mc 809,76), anche a voler in ipotesi non calcolare il seminterrato ed il sottotetto (considerando i quali, come in realtà era necessario, si giungeva ad una volumetria complessiva di mc 1.372,36, palesemente non condonabile: cfr. pag. 3 dell’ordinanza oggi impugnata).
2.2.2. Anche il ricorso per cassazione proposto dai POLLASTRO avverso tale provvedimento è stato dichiarato inammissibile, con sentenza n. 44032 del 14/11/2024 di questa Suprema Corte, non solo per il carattere reiterativo delle doglianze proposte, ma anche per la loro manifesta infondatezza.
Interessa qui evidenziare quanto osservato, in tale pronuncia, a proposito del primo motivo di ricorso in quella sede proposto. Si legge infatti (§ 2.3) che « corretta è l’affermazione del Tribunale, giudice dell’esecuzione, che ha ritenuto del tutto priva di pregio l’osservazione difensiva contenuta nella relazione di consulenza di parte, secondo cui la tipologia di abuso indicata nella richiesta di condono del locale commerciale è erroneamente indicata in quella 1 (di nuova costruzione) e non in quella 5 (di restauro e risanamento conservativo), sicché i volumi sanati in essa previsti non andavano sommati alla diversa tipologia di abuso della seconda istanza di sanatoria. Tale deduzione -puntualizza il tribunale – non trova alcun riscontro in atti, è contraddetta espressamente dalla lettura della domanda di condono (allegato A della CT di parte) dove si fa riferimento alla tipologia di abuso n. 1, confermata anche dalle modalità di calcolo dell’oblazione e degli oneri di concessione. A nulla rilevando -si aggiunge nell’ordinanza del giudice dell’esecuzione – la documentazione fornita dalla difesa in merito a presunti fabbricati già esistenti, atteso che la richiesta di condono per nuove opere abusive (dalla stessa parte dichiarate come di tipologia 1) ha impedito di verificare la
riconducibilità dell’abuso a modifiche d’uso astrattamente ammissibili in relazione ad interventi di “restauro” o “risanamento conservativo” ex art. 3, comma 1, lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che per legge devono essere compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali del manufatto preesistente, tipizzanti ab origine il complesso edilizio, e non presentare caratteristiche di novità rispetto ad esso, essendo configurabile, diversamente, un intervento qualificabile come ‘ nuova costruzione ‘ ».
2.3. Il provvedimento oggi impugnato ha ad oggetto la terza istanza di revoca o sospensione proposta dai POLLASTRO, che il Tribunale ha dichiarato inammissibile nella parte in cui aveva esposto motivi che erano ‘stati articolati nel ricorso alla Corte di Cassazione e, quindi, non sono stati dedotti alla base del ricorso in esame ‘ , con una produzione documentale non adeguatamente illustrata sul piano della loro novità e rilevanza, rispetto a quan to già valutato nell’ordinanza del 20/05/2024.
Il Tribunale ha ritenuto altresì infondata l ‘ istanza dei POLLASTRO nella parte dedicata alla ‘ esatta individuazione e consistenza del manufatto preesistente ‘ , di ‘ quello oggetto di sanatoria e della propria area di sedime ‘ , e alla ‘ individuazione della considernza edilizia appartenente al manufatto ante ‘ 67 ‘ . Al riguardo, nell ‘ ordinanza impugnata, si è osservato: che ‘solo con le memorie del 14/10/2024 ‘ era stata dedotta la realizzazione in quell’epoca; che ‘la regolarità dell’immobile era un elemento che doveva essere fatto valere dai ricorrenti nel corso del processo dinanzi al Tribunale ‘ ; che la predetta anteriorità non era stata comunque adeguatamente dimostrata, così come non vi era certezza sul fatto che la denuncia di nuova opera, presentata nel 1963 da COGNOME NOME e prodotta dalla difesa, si riferisse alle opere oggetto di demolizione (cfr. pag. 5).
Così ricostruito il contesto in cui si collocano gli odierni ricorsi, deve anzitutto evidenziarsi -al di là del profilo di formale inammissibilità dell’istanza, evidenziato dal Tribunale e rimasto privo di specifica confutazione (cfr. supra, § 2.3) -che la difesa dei RAGIONE_SOCIALE torna a sostenere, in primo luogo, la tesi secondo cui la sentenza di condanna, a suo tempo pronunciata dalla Sezione distaccata di Marano del Tribunale di Napoli, non avrebbe riguardato l’intera realizzazione abusiva.
S i tratta di un presupposto ‘storico’ su cui si fonda la prospettazione difensiva, imperniata sulla necessità di tener distinti i due permessi in sanatoria e sulla conseguente insussistenza del superamento del limite dei 750 metri cubi (cfr. sul punto Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, Vicale, Rv. 282887 -01, secondo cui «in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari,
ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto»).
Si tratta però anche di una questione presa in espressa e specifica considerazione dal Tribunale di Napoli, con la precedente ordinanza del 20/05/2024, nella quale sono state raggiunte conclusioni opposte a quelle sostenute anche in questa sede (cfr. pag. 2 di quel provvedimento, in cui appunto si chiarisce che ‘tutti gli abusi sanati si riferiscono ad un’unica unità immobiliare e sono oggetto dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza del Tribunale di Napoli -Sez. dist. di Marano -n. 1518 del 10/10/2000, divenuta irrevocabile il 09/03/2021, che fonda il procedimento esecutivo di demolizione oggetto del presente ricorso’ ).
Anche questo passaggio dell’ordinanza del maggio 2024, tra l’altro, è stato espressamente richiamato dalla sentenza di questa Suprema Corte, dichiarativa dell’inammissibilità de i ricorsi dei RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui ha considerato che il percorso argomentativo del Tribunale «non presenta alcun vizio logicogiuridico» (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza n. 44032 del 2024). Deve quindi ritenersi preclusa, ai ricorrenti, la reiterazione di una diversa ‘lettura’ del contenuto della sentenza passata in giudicato, espressamente disattesa dal Giudice dell’esecuzione nella precedente procedura incidentale.
4. Anche a voler in ipotesi prescindere da tale pur assorbente rilievo, va poi evidenziato che i ricorrenti tornano a censurare, in questa sede, i rilievi già formulati nel precedente ricorso per cassazione avverso quanto osservato dal Tribunale di Napoli, nell’ordinanza del 31/05/2024, in ordine al fatto che era stata la stessa prospettazione delle istanze di sanatoria ad evidenziare che, in entrambi i casi, si trattava di nuove opere.
In quel provvedimento, in particolare, era stata respinta la tesi difensiva, sostenuta in una consulenza di parte, secondo cui l’indicazione della tipologia di abuso 1 (nuova costruzione), anziché 5 (restauro e risanamento conservativo), era frutto di un mero errore: in senso contrario, il Tribunale aveva osservato che tale prospettazione risultava ‘contraddetta espressamente dalla lettura della domanda di condono (allegato A della CT di parte) dove si fa riferimento alla tipologia di abuso n. 1, confermata anche dalle modalità di calcolo dell’oblazione e degli oneri di concessione’ (cfr. pag. 5 dell’ordinanza 31/05/2024).
Si è già accennato poi al fatto che anche tale passaggio argomentativo è stato espressamente considerato dalla sentenza di questa Suprema Corte , che l’ha ritenuto immune da vizi di illogicità e resistente ai rilievi dedotti in ricorso, privi della necessaria specificità (cfr. pag. 7 della sentenza n. 44032 e supra, § 2.2.2.). Deve quindi escludersi che la questione possa essere nuovamente introdotta con
altra procedura incidentale, come avvenuto nel caso di specie, peraltro con un evidente stravolgimento rispetto a quanto apprezzato dal Tribunale nell ‘ ordinanza del maggio 2024: non si prospetta infatti l’esistenza di un errore materiale al momento della presentazione della domanda di sanatoria (n. 1 anziché n. 5), ma -all’opposto l’ insussistenza di errori di sorta compiuti in quella sede.
5. Quel che peraltro assume un ancor maggiore rilievo è il fatto che il Tribunale di Napoli, nell’ordinanza del 31/05/2024, ha espressamente ritenuto irrilevante la documentazione prodotta dalla difesa ‘in merito a presunti fabbricati già esistenti’ , dal momento che la tipologia di condono proposta aveva impedito ‘ di verificare la riconducibilità dell’abuso a modifiche d’uso astrattamente ammissibili in relazione ad interventi di ‘restauro’ o ‘risanamento conservativo’ ex art. 3, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno n. 380, che per legge devono essere compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali del manufatto preesistente, tipizzanti ab origine il complesso edilizio, e non presentare caratteristiche di novità rspetto ad esso, essendo configurabile, diversamente, un intervento qualificabile come ‘nuova costruzione” (cfr. pag. 5, cit., ord. 31/05/2024).
È allora evidente che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto adeguatamente sviluppare, in quella sede, il tema de ll’abuso parzialmente riferibile ad un preesistente manufatto, contrastando le valutazioni del giudice dell’esecuzione attraverso una specifica illustrazione della decisività dei documenti allora prodotti, al fine di ricondurre una parte degli abusi a meri interventi di restauro o risanamento conservativo di quanto già edificato, connotati dal rispetto delle condizioni di ‘compatibilità’ con le opere preesistenti e perciò suscettibili di essere autonomamente considerati, anche nel calcolo complessivo della volumetria, rispetto ai restanti abusi per i quali era stata richiesta la sanatoria.
Nulla di tutto questo risulta essere avvenuto: occorre anzi sottolineare che anche tale specifico passaggio argomentativo del Tribunale, come già precedentemente ricordato (cfr. supra , § 2.2.2.), è stato espressamente preso in considerazione dalla sentenza di questa Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei RAGIONE_SOCIALE
Altrettanto evidente risulta perciò il fatto che la questione non può essere nuovamente riproposta in una nuova procedura incidentale, attraverso ulteriori produzioni di documenti e di verbali di dichiarazioni, neppure prospettando per la prima volta (‘solo con le memorie del 14/10/2024 ‘ : cfr. pag. 5 del provvedimento impugnato) la realizzazione di un manufatto in un periodo anteriore al 1967. Questa Suprema Corte ha invero ripetutamente affermato, anche in epoca recente (Sez. 1, n. 10934 del 12/11/2021, dep. 2022, COGNOME), che «l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione per essere l’istanza la mera riproposizione, basata sui medesimi elementi, di una richiesta già rigettata si configura anche nel caso di
diversità della causa petendi posta a fondamento di una nuova istanza sul medesimo titolo esecutivo, se il diverso elemento dedotto non rivesta carattere di effettiva novità, in osservanza del principio di efficienza processuale (Sez. 3, n. 44415 del 30/9/2004, COGNOME, Rv. 230943 – 01, la quale ha precisato che, se si prescindesse dal carattere della novità, sarebbe possibile parcellizzare gli incidenti di esecuzione, innestando per ogni motivo uno specifico incidente, in dissonanza con il principio costituzionale di efficienza e ragionevole durata e con una sperequazione con il processo di cognizione che, per tale aspetto, sarebbe irrazionale)».
6. Le considerazioni sin qui svolte rendono evidentemente del tutto irrilevante l’omessa pronuncia del Tribunale sulla richiesta di perizia (peraltro connotata da palese genericità, come fondatamente osservato nella requisitoria del Procuratore Generale), ed impongono una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che appare equo determinare, per ciascun ricorrente, in Euro quattromila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro quattromila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16 aprile 2025