Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21144 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21144 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo l’inammissibilità del ricorso; il difensore di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, insiste, con memoria scritta, per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucca in composizione monocratica, che dichiarava NOME colpevole dei delitti di tentato furto aggravato dalla violenza sulla cosa e di incendio aggravato dall’essere stato commesso su edificio abitato, e, ritenuti i fatti avvinti dal vincolo della continuazione, tenuto conto dell’aumento di pena per la recidiva reiterata ed infraquinquennale, ed operata la diminuzione di pena per il rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni quattro di reclusione, oltre alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa la censura mossa nel primo motivo di appello sulle cause e modalità di propagazione dell’incendio verificatosi nell’abitazione di NOME COGNOME.
Rileva la difesa che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, secondo cui, per le caratteristiche dell’incendio, vi sarebbe stato l’uso di un agente accelerante, non vi è stata la asserita velocità di propagazione del fuoco, considerato che l’imputato risulta essersi introdotto nell’abitazione alle 14.15 circa, i carabinieri essere arrivati sul posto alle 14.30 con incendio già in corso e i vigili del fuoco essere stati chiamati alle 14.55 e, poi, essere arrivati alle 15.08; e che pertanto, atteso che tale uso non avrebbe alcun fondamento fattuale e probatorio, se non la bottiglia di grappa aperta senza alcuna verifica della sua gradazione, verrebbe meno la prova del dolo richiesto per il delitto di incendio.
2.2. Col secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 423 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di incendio.
Osserva il difensore che il fatto andava riqualificato come danneggiamento seguito da incendio, attese la mera volontà dell’agente di danneggiare la casa incendiandola (per una ritorsione nei confronti della COGNOME in ragione della fine della loro relazione) e l’assenza della coscienza e volontà di provocare un incendio di vaste proporzioni.
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Assenza, invero, dimostrata dal fatto che NOME era sorpreso dalle forze dell’ordine fuori dell’abitazione dell’ex fidanzata in possesso di accendino e bottiglie di vino e spumante e, quindi, di mezzi che ben avrebbe potuto (se avesse voluto) utilizzare per far propagare l’incendio che si asserisce essere stato dal medesimo voluto.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione vengono denunciati violazione degli artt. 624-bis e 625, n. 2, cod. pen.
Si rileva che il possesso da parte dell’imputato, insieme ai beni trafugati quel giorno, anche del portafogli e della patente di guida che la COGNOME denunciava come sottratti la settimana prima, dimostra inequivocabilmente che la sua presenza presso la abitazione della suddetta non era certo per rubare; e che, pertanto, anche con riguardo al tentato furto manca l’elemento psicologico e le modalità della condotta non sono univoche a dimostrarne, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza.
Il difensore insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude, con requisitoria scritta, per la declaratoria di inammissibilità del ricorso; l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Inammissibile, in quanto in fatto, reiterativo e manifestamente infondato, è il primo motivo di impugnazione.
Invero, la sentenza impugnata evidenzia che: – il propagarsi delle fiamme improvviso ed intenso dal piano terreno, poco dopo l’arrivo dei carabinieri sul posto, si spiega con la tempistica dell’azione incendiaria, che evidentemente l’imputato aveva appena innescato nella stanza posta al piano terreno, utilizzando un acceleratore come l’alcol che, combinato con la tappezzeria, aveva dato via alle fiamme che si erano propagate rapidamente, in un contesto pieno di materiali infiammabili (travi di legno, mobilia e tappezzeria); – in merito all’utilizzo dell’acceleratore priva di rilievo è l’argomentazione difensiva della mancanza di prova, per non essere stato esperito alcun accertamento tecnico al riguardo; – dalle
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dichiarazioni degli agenti di P.g. e in particolare di NOME COGNOME e del luogotenente NOME COGNOME è, invero, emerso che l’incendio al piano terreno aveva raggiunto un’intensità di 600/700 gradi, così valutati in ragione della fusione del termosifone di alluminio posto all’interno della stanza e che tale intensità era stata, peraltro, confermata dal fatto che il solaio e le mura del piano superiore erano stati danneggiati; – la propagazione rapida delle fiamme e l’intensità dell’incendio al piano terreno, come più volte ribadito dal teste COGNOME, sono elementi oggettivi, apprezza . bili dalle immagini registrate, tali da rendere evidente che fosse stato appiccato con l’uso di un accelerante; – sulla base di queste considerazioni è lo stesso COGNOME ad avere spiegato come si dovesse escludere che l’incendio potesse avere avuto origine in un corto circuito; la conclusione, fondata su plurime e concordanti evenienze, secondo cui l’incendio sarebbe stato innescato con l’utilizzo di un acceleratore, non può essere revocata in dubbio per la mancanza di un accertamento tecnico, neppure richiesto e neppure possibile per la presenza dell’acqua utilizzata per domare le fiamme, in grado di diluire qualsiasi liquido e di impedire eventuali campionamenti; – la constatazione dei carabinieri che, all’interno del locale al pian terreno, avevano notato un cuscino che aveva preso fuoco e vicino una bottiglia di grappa aperta e, all’esterno, la presenza dell’imputato con in mano un accendino oltre che una bottiglia di vino, sono elementi che convergono nel far ritenere che l’incendio fosse stato innescato da COGNOME.
Il motivo di ricorso che genericamente e aspecificamente contesta queste argomentazioni e si limita ad insistere sulla circostanza che la propagazione del fuoco non sarebbe stata veloce e sull’assenza di prova dell’uso di un agente acceleratore, incorre nella manifesta infondatezza e dimostra di non confrontarsi con le argomentazioni appena riportate, scevre da vizi logici e giuridici, ripercorrendo i medesimi rilievi con cui i Giudici di appello risultano essersi già ampiamente e logicamente confrontati.
1.2. Inammissibile, per manifesta infondatezza oltre che per aspecificità, è il secondo motivo di ricorso.
La sentenza, invero, fa buon uso dei principi di cui all’univoco e consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte circa la qualificazione del delitto di incendio (si veda per tutte Sez. 1, n. 29294 del 17/05/2019, Feno, Rv. 276402, secondo cui i delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio si distinguono in relazione
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all’elemento psicologico, in quanto mentre il primo è connotato dal dolo generico, ovvero dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, il secondo è connotato dal dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento), sottolineando come l’imputato abbia posto in essere intenzionalmente la sua azione, provocando un vasto incendio che ha danneggiato l’abitazione al punto di comprometterne la stabilità e ha determinato un impegno dei vigili del fuoco per domare le fiamme durato ben due ore (dalle ore 15 alle ore 17). Ed evidenziando come correttamente il primo Giudice abbia ritenuto integrata nei fatti l’ipotesi ex art. 423 cod. pen., insussistenti fattori eccezionali o sopravvenuti e irrilevanti scopi diversi da quelli di incendio.
1.3. Inammissibile, infine, in quanto in fatto, reiterativa e manifestamente infondata è, poi, la censura sull’assenza dell’elemento psicologico del tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose (e precisamente dall’essersi l’imputato introdotto nell’abitazione dopo avere scardinato l’inferriata della finestra posta al piano terra).
Evidenzia, invero, a tale riguardo la Corte di appello di Firenze che: la refurtiva in possesso di COGNOME è risultata essere costituita da oggetti tutti di proprietà della persona offesa, per parte dei quali (portafogli e patente di guida) la COGNOME già aveva sporto denuncia, mentre i rimanenti (cuffie rosa, ipad, carica batteria, confezione di pile e power bank) erano stati trafugati dall’imputato nell’occasione; – la tesi difensiva secondo cui la consegna spontanea degli oggetti di proprietà della COGNOME provava che l’impossessamento dei beni era stato finalizzato solo ad evitare che a causa dell’incendio fossero danneggiati, non è condivisibile, non fosse altro perché tra le cose trafugate vi erano anche beni come una confezione di pile, per i quali non si vede quale fosse la necessità di salvaguardarli; – d’altro canto, l’essersi introdotto nell’abitazione per mezzo fraudolento, per poi essere trovato in possesso della refurtiva, costituisce condotta che non consente di accreditare nessuna benevola intenzione al suo autore.
Ancora una volta, a fronte di argomentazioni non manifestamente illogiche sulla sussistenza del dolo del furto, il ricorrente si limita a reiterare rilievi in fatto con i quali la sentenza impugnata risulta essersi adeguatamente confrontata, incorrendo nell’inammissibilità.
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2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in Mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento in favore della Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.