Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35175 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 35175  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 2588/2025
NOME COGNOME ZONCU
CC – 19/09/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 19702/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CHIARI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 13/05/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Brescia udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza n. 106 del 2025, il Tribunale di Brescia, in accoglimento dell’appello cautelare del Pubblico Ministero, in riforma dell’ordinanza del 5 marzo del 2025 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, previa riqualificazione del fatto, ai sensi degli artt. 110, 423 cod. pen., del reato commesso il 18 novembre 2024, ha applicato a COGNOME NOME e a COGNOME NOME, la misura della custodia cautelare in carcere, in sostituzione delle misure cautelari, rispettivamente disposte, del divieto di dimora nei comuni di Artogne e Pian Camuno e dell’obbligo di dimora nel comune di Artogne, per il reato di cui all’art. 424 cod. pen.
 Avverso  l’ordinanza  hanno  proposto  ricorso  per  cassazione  entrambi  gli indagati.
Il ricorrente, NOME NOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha dedotto tre motivi di ricorso, di seguito enunciati in conformità al disposto di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, 275, comma 2bis , cod. proc. pen., artt. 423, 424 cod. pen., per avere il Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti, travisando i dati emersi dalle investigazioni e, in particolare, dal verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi del 18 novembre 2024.
Il ricorrente ha, in primo luogo, evidenziato che il Tribunale riqualificando la condotta ai sensi dell’art. 423 cod. pen. e non, come ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 424 cod. pen., né tanto meno, alla luce del secondo comma di tale disposizione, avrebbe dovuto offrire una motivazione rafforzata atteso che la decisione si è fondata su elementi già in possesso del giudice al tempo della proposizione della richiesta di applicazione della custodia in carcere.
Inoltre, il Tribunale del riesame, nel ritenere sussistente il delitto di incendio doloso, in luogo del delitto di danneggiamento seguito da incendio, ha travisato i dati probatori essendo emerso dagli atti l’insussistenza di un incendio dalle caratteristiche tali da comportare un pericolo concreto per la pubblica incolumità: a tal riguardo si evidenzia che le fiamme all’interno della barberia sono state domate rapidamente da una sola squadra dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE già alle ore 3.30 del 18 novembre; non si è verificato alcun danno rilevante agli appartamenti sovrastanti; né è stata ordinata l’evacuazione notturna degli occupanti, i quali sono rientrati nelle proprie abitazioni una volta ultimata la messa in sicurezza.
L’ordinanza impugnata, invece, avrebbe travisato la portata degli accadimenti, facendo erroneo riferimento a un intervento prolungato e complesso dei RAGIONE_SOCIALE e non attenendosi ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai requisiti necessari per la sussistenza di un incendio, quali la violenza, diffusività, irrefrenabilità, generando un rischio concreto e attuale per l’incolumità, e dunque tale da essere distruttivo e incontrollabile.
Secondo la difesa, nessuno di tali elementi sussisterebbe nella fattispecie in esame come si desume dal verbale di accertamenti urgenti effettuato ai sensi dell’art. 354 cod. pen., dal quale emerge non solo che l’incendio alle ore 3.30 fosse già stato domato da una sola squadra dei RAGIONE_SOCIALE, che i tre piani coinvolti dalle fiamme non si sono danneggiati in modo grave ed ancora che i condomini dei piani superiori venivano fatti disporre lungo il marciapiede di fronte in attesa che la zona venisse messa in sicurezza.
Inoltre, la difesa ha evidenziato che l’affermazione del provvedimento impugnato secondo cui i condomini avevano autonomamente raggiunto l’uscita, perché raggiunti dalle fiamme, costituisce un ulteriore travisamento, in quanto le dimensioni e la pericolosità dell’incendio non erano tali da far ritenere di dovere evacuare i condomini per la notte evidenziandosi che solo eccezionalmente alle 5.40 è stato evacuato in via cautelare un solo appartamento posto al primo piano.
Ad avviso della difesa, ai fini della qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 424 cod. pen., rileverebbe anche la circostanza che sia il Pubblico Ministero sia lo stesso Tribunale, in ordine alla quantificazione della benzina utilizzata, hanno affermato solo presuntivamente che la tanica fosse pressoché piena.
Alla  luce  di  tutti  gli  evidenziati  elementi  la  condotta  sarebbe  dovuta  essere ricondotta alla disposizione che sanziona il danneggiamento seguito da incendio.
3.2.  Con  il  secondo  motivo,  il  ricorrente  ha  eccepito,  ai  sensi  dell’art.  606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 43 cod. pen., 192, 275, comma 2bis , cod. proc. pen., artt. 423, 424 cod. pen., per avere il Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti in ordine all’elemento soggettivo del reato.
Il Tribunale avrebbe valorizzato in modo apodittico e contraddittorio un presunto dolo di incendio sostenendo la responsabilità del ricorrente anche a titolo di colpa cosciente non contemplata né dall’art. 423 cod. pen., né dall’art. 424 cod. pen. Secondo la difesa sussisterebbe, invece, il dolo specifico del reato di danneggiamento in quanto la condotta è consistita nel colpire la persona offesa mediante l’azione distruttiva dell’esercizio commerciale, in assenza di elementi dai quali far discendere l’intenzione di generare un incendio con caratteristiche di autonoma diffusività e rischio per la collettività. Eventualmente, ha rilevato la difesa, l’evento incendiario avrebbe dovuto essere considerato quale conseguenza colposa del danneggiamento e, dunque, come ipotesi riconducibile all’art. 424, secondo comma, cod. pen., dovendosi ritenere che il ricorrente abbia agito immaginando di evitare l’incendio devastante, volendo solo arrecare il danno patrimoniale.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., la violazione degli artt.  274 e 275 cod. proc. pen., nonché dell’art. 27, terzo comma, Cost., per omessa valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, per violazione del principio di proporzionalità nell’applicazione  della  misura  e  per  non  avere  svolto  un  giudizio  inerente all’attualità e alla concretezza del pericolo di recidiva.
Il  ricorrente ha dedotto la sussistenza di una motivazione apparente, ancora più evidente lì dove ha parificato le posizioni dei correi, senza tenere in conto che la condotta del COGNOME è consistita nella mera esecuzione di un ordine di un piano criminoso a lui non imputabile
Si  è,  poi,  eccepito  che,  nell’applicare  la  misura  più  restrittiva,  il  Tribunale, avrebbe  omesso  una  valutazione,  concreta  e  individualizzata,  non  avendo adeguatamente motivato le ragioni per cui lo stato  detentivo  preesistente  non potesse  di  per  sé  essere  ritenuto  idoneo  ad  evitare  il  pericolo  di  reiterazione, essendo il COGNOME impossibilitato a portarsi presso determinati luoghi per danneggiare altri beni, mediante l’utilizzo del RAGIONE_SOCIALE.
COGNOME NOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha dedotto, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen., in riferimento al criterio di scelta della misura.
Il ricorrente ha eccepito che l’ordinanza impugnata ha fondato la scelta della misura più gravosa sul presupposto che i due episodi successivi all’incendio del 18 novembre 2024 (in relazione al quale è stata applicata la misura originaria) ovvero l’incendio dell’autovettura di COGNOME NOME del 11 gennaio 2025 e l’incendio appiccato al portone dell’ingesso dell’abitazione del COGNOME del 12 gennaio 2025 fossero sicuramente riconducibili all’indagato, là dove invece non vi è in atti alcun accertamento di indizi di reità a carico del ricorrente, né risulta che siano state richieste misure cautelari.
Più in particolare, la difesa ha rilevato come nell’ordinanza impugnata si sia dato per scontato che il COGNOME abbia commesso questi ulteriori reati affermando, apoditticamente, che egli e i coindagati hanno dimostrato una disinvoltura e determinazione criminale, in quanto pur a seguito del grave evento incendiario del mese di novembre del 2024, hanno proseguito senza soluzione di continuità in azioni realizzate con medesime modalità tali da mettere in pericolo la pubblica incolumità.
 Il  AVV_NOTAIO  Procuratore  generale,  NOME  COGNOME,  ha  concluso  chiedendo  il rigetto dei ricorsi, depositando una memoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati, per le ragioni di seguito indicate.
Con il primo e il secondo motivo, il ricorrente NOME COGNOME ha confutato la motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di qualificazione giuridica del fatto, ai sensi dell’art. 423 cod. pen.
Le doglianze non possono trovare accoglimento, in quanto i giudici del riesame hanno esaustivamente spiegato le ragioni della sussistenza del reato di incendio, anziché di quello di cui all’art. 424 cod. pen.
La condotta qualificata dal Giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 424, secondo comma, cod. pen., è stata puntualmente riportata nell’ordinanza censurata, la quale ha rappresentato che il coindagato NOME COGNOME aveva fornito supporto logistico e organizzativo alla realizzazione dell’azione criminosa provvedendo, su mandato di COGNOME NOME, ad acquistare la benzina utilizzata per appiccare l’incendio, a procurare al complice COGNOME NOME le schede sim e il telefono cellulare, utilizzati durante l’azione criminosa, a effettuare diversi sopralluoghi presso l’attività commerciale della vittima nelle ore immediatamente antecedenti all’incendio, a trasportare il COGNOME sul luogo del delitto per l’esecuzione del reato, nonché a rimanere in attesa dello stesso nei pressi del luogo del delitto, a bordo del proprio veicolo al fine di agevolarne la fuga; evidenziando, altresì, che il COGNOME, su mandato del COGNOME, in orario notturno, dopo avere cosparso i locali del predetto esercizio commerciale con liquido infiammabile, aveva innescato delle fiamme che, poi, si propagavano in tutti gli ambienti dell’esercizio predetto, per una superficie complessiva di 150 metri quadrati, distruggendo il piano terra dello stabile, deteriorandone le strutture portanti, danneggiando vistosamente la facciata anteriore dell’edificio e rendendo completamente inagibile il primo piano del palazzo, con conseguente grave rischio per l’incolumità degli abitanti dell’intero edificio e per i passanti.
Ciò precisato, l’ordinanza censurata ha analiticamente indicato anche le argomentazioni che il primo Giudice ha posto a sostegno della qualificazione del fatto come rientrante nella fattispecie di cui all’art. 424 cod. pen., fondate sul non chiaro accertamento in ordine al quantitativo della benzina, sulla limitata estensione dell’area in cui è stata cosparsa la benzina; sulla circostanza per cui le fiamme sono state domate in poco tempo da due squadre dei RAGIONE_SOCIALE; sul fatto che il COGNOME si è trattenuto nei locali incendiati per un tempo esiguo sicché non si sarebbe reso conto dell’entità dell’evento provocato.
Altrettanto  analiticamente  l’ordinanza  impugnata  ha  dato,  poi,  conto  dei motivi di appello del Pubblico Ministero attinenti a una pluralità di circostanze, tra le quali, l’essere stata rinvenuta una tanica di 20 litri da cui promanava un forte odore di benzina, l’aver causato ingenti danni all’edificio; l’essersi diffuse le fiamme
in pochi minuti interessando una superficie di 150 metri quadri, rendendo inagibile l’intero piano sovrastante; in particolare, il provvedimento ha dato conto della circostanza, evidenziata dal ricorrente, che dalle fotografie in atti e dalla relazione dei RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE era emerso che il COGNOME non si era limitato a cospargere il carburante solo all’ingresso, ma all’intero negozio in quanto i locali e gli arredi dell’attività erano stati interessati dalle fiamme, specificandosi che l’incendio aveva avuto una intensità simile in tutti gli ambienti, benchè separati; le fiamme erano state domate da almeno tre squadre dei RAGIONE_SOCIALE; sicché lo spegnimento celere non era stata conseguenza del contenimento delle fiamme; ancora, veniva rilevata l’inagibilità del negozio e del sovrastante appartamento; dalle dichiarazioni di NOME COGNOME risultava ancora che il COGNOME fosse ben a conoscenza delle enormi dimensioni dell’incendio per avere detto in collegamento telefonico con il mandante COGNOME di essere riuscito a farlo, che era esploso qualcosa dentro e che nel negozio c’erano anche dei motorini.
Tanto premesso, l’ordinanza censurata, con motivazione lineare e coerente, e in aderenza alle risultanze processuali di cui ha dato precisamente atto, ha correttamente ricondotto i fatti nella fattispecie di cui all’art. 423 cod. pen., pervenendo alla qualificazione dell’evento in concreto realizzatosi come ‘incendio’ non solo facendo proprie, criticamente, le argomentazione dell’appellante, ma valorizzando la consapevolezza del COGNOME circa il pericolo di espansione delle fiamme, atteso che l’indagato si era accorto della presenza di motorini, essendo, pertanto, a conoscenza dell’elevato rischio di aggravamento delle conseguenze dell’incendio da lui innescato, ciò nonostante, proseguendo nella condotta, nell’ulteriore consapevolezza della esistenza delle sovrastanti abitazioni civili.
A fronte di tale approfondita analisi, le deduzioni difensive non sono idonee a minare l’esaustività della motivazione, in quanto l’ordinanza censurata, valutando le medesime risultanze fattuali prese in considerazione dal Gip, ha pienamente fornito le ragioni della esclusione della configurabilità della fattispecie meno grave, applicando i principi ribaditi da Sez. 1, n. 51156 del 12 ottobre 2023, COGNOME, non mass., secondo cui «i delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio si distinguono proprio in relazione all’elemento soggettivo: il primo, infatti, è connotato dal dolo generico, vale a dire dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, mentre il secondo è caratterizzato dal dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche suindicate oppure il pericolo di siffatto evento. Pertanto, anche nel caso di incendio commesso al fine
di danneggiare, qualora a questa ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dell’incendio ex art. 423 cod. pen., è applicabile tale norma, e non l’art. 424 cod. pen., perché con riferimento a quest’ultima fattispecie l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente (Sez. 1, n. 29294 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276402 – 01; Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258942 – 01; Sez. 1, n. 25781 del 07/05/2003, Sgambellone, Rv. 227377 – 01).
Né, inoltre, sussiste l’asserito travisamento del verbale di cui all’art. 354 cod. proc.  pen.,  non  essendo  incorso  il  Tribunale  nella  erronea  rappresentazione  di quanto in esso indicato, trattandosi di atto investigativo le cui risultanze sono state oggetto  di  valutazione  approfondita  da  parte  del  Tribunale,  secondo  propri apprezzamenti di merito.
2.1. Destituito di fondamento è anche il terzo motivo, in quanto l’ordinanza ha dato conto della sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie, ponendo in rilievo la gravità della condotta come desumibile dalla intera ricostruzione fattuale, evidenziando, peraltro, che dell’azione incendiaria, il ricorrente è stato l’esecutore materiale, il quale non ha desistito dalla stessa pur nella consapevolezza delle presenza di motorini all’interno dell’esercizio commerciale, valorizzando, inoltre, nel senso di un giudizio fortemente negativo sulla personalità del ricorrente, la circostanza che all’atto dell’esecuzione della misura detenesse illecitamente 200 grammi di stupefacente del tipo cocaina.
Pertanto,  l’ordinanza  impugnata,  alla  luce  della  complessiva  ricostruzione fattuale,  del  tutto  logicamente  ha  evidenziato,  sia  pure  in  modo  sintetico,  la sussistenza  di  una  determinazione  criminale,  indicativa  della  inaffidabilità  del ricorrente, non arginabile con la misura meno afflittiva anche se presidiata dal braccialetto  elettronico,  ritenendo  l’irrilevanza  del  concomitante  stato  detentivo stante, l’autonomia dei procedimenti.
In ogni caso, quanto alla mancanza di motivazione in ordine alla sufficienza della misura degli arresti domiciliari con il presidio del dispositivo elettronico, va ribadito che la prescrizione del cosiddetto “braccialetto elettronico” non configura un nuovo tipo di misura coercitiva, ma un modo di esecuzione ordinaria della cautela domiciliare, con la conseguenza che il giudice, ove, per la pericolosità dell’indagato e le peculiarità del fatto contestato, abbia ritenuto adeguata unicamente la custodia inframuraria, non deve altresì motivare sull’inidoneità degli arresti pur connotati dall’adozione di tale braccialetto (Sez. 4, n. 15939 del
14/03/2024, COGNOME, Rv. 286343 – 01, Sez. 6, n. 1084 del 12/11/2015, dep. 2016, Rv. 265891).
Quanto al ricorso proposto da NOME COGNOME – che con un unico motivo ha confutato la violazione di legge in punto di scelta della misura inframuraria rispetto agli arresti domiciliari presidiati dal dispositivo elettronico – va rilevato che l’ordinanza non risulta viziata da alcuna apoditticità motivazionale atteso che, alla stregua della complessiva ricostruzione fattuale, ha dato ragione della necessità della misura del carcere per salvaguardare le esigenze di cui all’art. 274, lett. a) e c) non solo per la gravità del fatto qualificato come incendio doloso e per il ruolo dal ricorrente assunto, ma anche per le condotte minacciose e intimidatrici realizzate nei confronti di soggetti sentiti dalla polizia giudiziaria in relazione ai fatti del presente procedimento, risultanti dagli elementi investigativi ritualmente introdotti.
 Alla  luce  delle  esposte  considerazioni,  i  ricorsi  devono  essere  rigettati. Consegue alla pronuncia di rigetto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 19 settembre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore                                                 Il Presidente
NOME COGNOME                                                       NOME COGNOME