Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2780 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2780 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MENFI il 24/01/1971
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME del Foro di Sciacca, difensore di fiducia dall’imputato, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 marzo 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Sciacca con la quale NOME COGNOME è stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 449 cod. pen., per avere cagionato un incendio in località Torrenova del comune di Menfi, per colpa, consistita nell’avere acceso dei fuochi per effettuare la pulitura del terreno di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME non controllando le fiamme che si propagavano fino ad un box in alluminio e legno.
La Corte territoriale, conformemente a quanto deciso dal Tribunale, sulla scorta delle emergenze istruttorie acquisite e, in particolare, dell dichiarazioni rese dai testimoni escussi, oltre che di quanto compendiato nel verbale di ispezione dei luoghi, redatto il 25 marzo 2017 dai militari dell’Arma intervenuti sul posto, ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato e respinto le censure difensive tese a prospettare una ipotesi ricostruttiva alternativa nonché a riconoscere la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell’interesse del Liscio affidandolo a due motivi.
2.1 Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. La difesa ripercorrendo le dichiarazioni dell’appuntato COGNOME, assume che il focolaio, composto dagli sfasci di legna bruciata dall’imputato, posta a distanza di 4-5 metri dal box danneggiatosi “per autocombustione”, era stato spento e, dunque, non poteva aver costituito l’origine e la causa del danneggiamento del box. Valorizzava, poi, la difesa il passaggio delle dichiarazioni del La Placa nella parte in cui riferiva di avere rinvenuto l stesso giorno dell’accaduto, dopo aver sporto denuncia, dei mozziconi di sigaretta abbandonati nella parte in cui si trovava il secondo focolaio. Il fatt che l’appuntato COGNOME, che aveva eseguito il sopralluogo, abbia detto di non ricordare la presenza dei mozziconi di sigaretta non significa che gli stessi non fossero presenti, il che lascia spazio al dubbio che ignoti si siano introdotti nell’area di proprietà del La Placa. Ritiene significativa la difesa, proposito la deposizione del teste a discolpa COGNOME NOME, che svolge vigilanza notturna, il quale ha sostenuto che nei passaggi avvenuti la notte tra il 24 e il 25 marzo 2017 non aveva scorto né fumo né fiamme nei dintorni del box e che quest’ultimo si presentava integro. Da ciò deriverebbe che dal 23 marzo 2017, data in cui il COGNOME aveva bruciato gli sfasci di potatura e fino alla mattinata del 25 marzo 2017 il box era integro.
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Dunque, il box sarebbe stato danneggiato dal calore propagatosi dal secondo focolaio, molto vicino al box, provocato dai mozziconi di sigaretta ancora accesi gettati inavvertitamente sopra il letame da parte di qualcuno che nel pomeriggio, o nella serata del 24 marzo 2017, si era recato sul fondo.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla nozione di incendio accolta dalla Corte territoriale nonché il travisamento della prova. La Corte palermitana ha omesso di accertare e verificare se la combustione propagatasi fosse penalmente irrilevante ossia si trattasse di un fuoco idoneo a porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone dato che si trattava di un luogo in aperta campagna, distante dal centro abitato e che come confermato dall’appuntato COGNOME si era spento da solo.
2.3 Con il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione per particolare tenuità del fatto. La difesa ritiene incongrua la motivazione posta a fondamento del rigetto della specifica richiesta rilevando che non si è trattato di un incendi ma di una combustione che ha attinto parzialmente un box in disuso e che in mancanza di fiamme e del propagarsi delle stesse il danno cagionato e il pericolo sorto erano davvero minimi. Si aggiunge che deponevano a favore della richiesta l’incensuratezza dell’imputato, il grado di colpevolezza nonché la circostanza che l’imputato, benché estraneo ai fatti, abbia offerto al proprietario dell’area il ristoro dei danni patiti (750 euro) che sono sta rifiutati stante la convinzione della estraneità del suddetto ai fatti occorsi.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il difensore dell’imputato ha concluso per iscritto, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
La Corte territoriale ha evidenziato, nel corpo della motivazione, che i militari operanti, giunti sul posto, notavano all’interno della tenuta proprietà di INDIRIZZO, la presenza di due box in legno rivestiti in alluminio originariamente adibiti a ricovero animali. Dalla ricostruzione operata in sentenza emergeva che uno dei box attinti dalle fiamme
presentava due lati completamente distrutti; a circa quattro metri dal box, si constatava la presenza di un focolaio ancora fumante che era stato alimentato con sfalci di ulivo, erba secca, pezzi di legno. A poca distanza era individuato un altro focolaio, ancora fumante, privo di segni estranei di alimentazione che circondava il box danneggiato dalle fiamme e si dava atto che non vi erano tracce o materiali che potessero, in qualche modo, indurre a ritenere che potessero essere stati usati per un innesco doloso dell’incendio.
Sono state passate in rassegna le deposizioni dei testi escussi. In particolare le dichiarazioni del proprietario del fondo, NOME COGNOME il qua in un primo momento aveva riferito di avere dato incarico al COGNOME di occuparsi di lavori di pulitura del terreno e che lo stesso aveva accatastato la legna dandogli fuoco ma sincerandosi, all’esito della combustione, di spegnere il tutto con acqua e ricoprendo con la terra i focolai. In un secondo momento COGNOME sosteneva che, dopo aver sporto la denuncia, tornato sul posto, notava in prossimità di uno dei due focolai la presenza di qualche mozzicone di sigaretta. Sul punto la Corte territoriale con argomenti affatto illogici ha ritenuto che, ove gli stessi fossero stati presenti, non sarebber sfuggiti al sopralluogo eseguito dagli appartenenti alle forze dell’ordine che pure nella relazione hanno dato atto di non avere rinvenuto nulla che potesse lasciare pensare ad un innesco. La Corte territoriale ha anche esaminato la deposizione del teste a discolpa COGNOME, guardia giurata, il quale ha sostenuto di non avere notato, in occasione delle ronde notturne eseguite nell’area in cui si trovava la tenuta del La Placa né fumo né fiamme e ha ritenuto dette dichiarazioni inidonee a fornire una versione alternativa credibile dato che la presenza dei due focolai e del box danneggiato venivano notati dal proprietario del terreno che avvisava prontamente le forze dell’ordine che, giunte sul posto, constatavano quanto poi confluito nella relazione di servizio, laddove erano confluite anche le dichiarazioni del COGNOME il quale ammetteva di avere due giorni prima provveduto alla pulizia del terreno bruciando i residui della potatura. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le censure dedotte si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente, ancora una volta, tese a sovrapporre una interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito piuttosto che a fare emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Secondo i principi consolidati di questa Corte di legittimità, la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o all’assunzione di diversi parametri di ricostruzione e
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valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice d merito perché considerati maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Il ricorrente ripropone, con il ricorso in esame, gli stessi argomenti dedotti in primo e secondo grado che sono stati affrontati e risolti con motivazione non manifestamente logica ma soprattutto coerente con le emergenze acquisite. Vale la pena ricordare che è compito del giudice di legittimità non quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni e se abbiano applicato le regole della logica nello sviluppo argomentativo posto a fondamento della decisione.
Nel caso in esame la Corte territoriale che pure ha fatto riferimento agli argomenti che erano stati sviluppati nella sentenza del Tribunale ha offerto una valutazione analitica ed autonoma sui punti che erano stati dedotti con l’atto di gravame con la conseguenza che la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
In particolare, i giudici di merito hanno ampiamente argomentato in relazione alla riconducibilità del fatto occorso, all’odierno ricorrente il qual evidentemente, non ha approntato le necessarie cautele atte ad evitare che il fuoco si propagasse nell’area circostante, avuto anche riguardo alla presenza non solo del letame ma anche di uno pneumatico oltre che della presenza di manufatti nelle adiacenze.
A fronte di ciò si assume che il fatto si sia verificato pe l’autocombustione del letame senza addurre alcun elemento concreto a riscontro della tesi meramente ipotizzata.
Con motivazione congrua la Corte ha rigettato le censure difensive anche con riferimento alla configurabilità dell’incendio valorizzando le dimensioni del fuoco che si è propagato fino a distruggere per buona parte il box posto nelle vicinanze in cui la legna era stata accatastata per essere poi bruciata.
Sul punto questa Corte ha avuto modo di precisare che per la configurabilità dell’incendio causato da una condotta imprudente e negligente resta irrilevante che lo stesso rimanga circoscritto entro un limite oltre i quale non possa estendersi e che l’accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se condotto con criteri non illogici, deve prescindere dall’accertamento di un pericolo concreto, in quanto, nel reato in questione, il
pericolo per la pubblica incolumità è presunto (Sez. 4 GLYPH n. 37599 del 02/08/2007, Rv. 237774 – 01).
Del pari manifestamente infondato è il motivo relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Come ha chiarito questa Corte, ai fini del riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. vanno considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l’entità del danno o del pericolo (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Nel caso di specie il giudice distrettuale ha posto a base del proprio giudizio la valutazione della gravità della condotta colposa e l’effettivo pericolo conseguente alla specifica condotta dalla quale era derivato un incendio di non piccole proporzioni. La decisione si presenta corretta in quanto conforme ai principi per cui «ai fini dell’applicabilità del causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 comma primo, cod. pen. ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficient l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti» (Sez. 6, n. 55108 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647 – 01).
Sul punto, il ricorso, non si confronta con la risposta data a pagina 6 della motivazione che non è né manifestamente illogica e, comunque, si palesa coerente con le emergenze istruttorie acquisite.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 27 novembre 2024