Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8598 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8598 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN SALVATORE DI FITALIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/11/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate dall’AVV_NOTAIO, con le quali ha ribadito i motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 11 novembre 2022 la Corte di appello di Messina, confermando la sentenza emessa in data 10 marzo 2020 dal Tribunale di Patti, ha condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 423bis cod.pen., commesso in data 02/02/2019 appiccando il fuoco in due punti e cagionando un incendio boschivo.
La Corte ha respinto tutti i motivi di appello, ritenendo corretta la qualificazione giuridica del fatto, essendo l’evento verificatosi classificabile come un incendio boschivo, e provato il dolo dell’imputato. Il delitto contestato è un reato di pericolo presunto e le evoluzioni del fuoco, trovato già attenuato dai vigili del fuoco intervenuti successivamente, sono irrilevanti, alla luce della potenzialità offensiva derivante dalla predisposizione di due punti di innesco, dalla natura dei luoghi, dall’estensione delle zone raggiunte dalle fiamme, dalla vegetazione presente. Il dolo dell’imputato è provato dalle modalità dell’azione, dalla predisposizione di un bidoncino di liquido infiammabile, dall’assenza di un interesse sui terreni abbruciati, non avendo, egli, pertanto, neppure alcun motivo di procedere alla bruciatura delle sterpaglie, come da lui sostenuto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per il vizio di motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
La sentenza è illogica laddove non tiene conto della evidente discrepanza temporale tra gli orari di chiamata e di intervento dei vigili del fuoco, rispetto all’arresto del ricorrente e all’orario di chiamata riferito dai Carabinieri, avvenuti intorno alle ore 15.20, e del fatto che, al loro arrivo, i vigili del fuoco trovarono il fuoco quasi spento: tali prove dimostrano che non si era sviluppato un incendio, bensì un mero fuoco, che si è spento da solo in poco più di mezz’ora. La Corte avrebbe dovuto stabilire quale fosse l’orario più attendibile, tra le due diverse testimonianze, che sono tra loro incompatibili.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., per l’erronea applicazione della legge penale con riferimento al reato di cui all’art. 423-bis cod.pen.
La motivazione è errata laddove sostiene che il reato, in quanto di pericolo presunto, sussiste a prescindere dalla effettiva evoluzione delle fiamme. La giurisprudenza di legittimità impone di accertare, per definire “incendio” un
fuoco, che esso manifesti vastità di proporzioni, tendenza a progredire, difficoltà di spegnimento. Nel presente caso l’assenza di questi elementi è provata dal fatto che i vigili del fuoco, al momento del loro intervento, trovarono il fuoco già praticamente spento. Esso, inoltre, non ha interessato un’area di vaste dimensioni e non ha messo in pericolo delle persone, essendosi verificato in aperta campagna.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorrente ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha risposto alla requisitoria del procuratore generale, ribadendo i motivi del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato. La sentenza impugnata ha già valutato e respinto le questioni proposte, con una motivazione completa e approfondita, alla quale il ricorrente oppone una diversa opinione, non fondata sulle prove raccolte.
2. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
La sentenza impugnata ha già esaminato, alle pagine 3 e 4, la discrepanza delle testimonianze in ordine alle tempistiche di intervento dei carabinieri e dei vigili del fuoco, avendo i primi affermato di avere chiamato i secondi intorno alle ore 15.20, cioè nel momento dell’arresto dell’imputato, e avendo questi ultimi riferito di avere avere ricevuto la chiamata alle ore 15.54, ma l’ha ritenuta irrilevante. Infatti, secondo i giudici di appello, «inferire da questa contenuta discrepanza cronologica una minore gravità dell’incendio … appare invero un salto logico-causale del tutto velleitario, tendenzioso e incongruente». Ciò che rileva, infatti, è l’accertamento, non contestato dal ricorrente, che i carabinieri intervennero alle ore 14.45 circa, avendo notato svilupparsi un incendio, accertando poi la presenza di un secondo innesco, e che i vigili del fuoco intervennero solo alle ore 16.30, dopo che il ricorrente era stato già scoperto e fermato, interrompendo così la sua azione criminosa.
Questa motivazione è logica e non contraddittoria: non risulta rilevante, per valutare la sussistenza del reato, l’orario in cui i vigili del fuoco sono stati allertati, bensì è rilevante il fatto che l’incendio si è sicuramente protratto per
circa due ore, e al momento dell’arrivo dei vigili del fuoco esso era ancora presente, benché ormai quasi spento.
Il ricorrente non si confronta adeguatamente con tale motivazione, perché non spiega per quale motivo la discrepanza tra le due testimonianze, relativa solo all’orario di chiamata dei vigili del fuoco, sarebbe rilevante, essendo certo, come detto, che alle ore 14.45 l’incendio era già in atto, e che alle ore 16.30 esso, benché ormai quasi spento, era ancora presente. Non vi sono discrepanze, infatti, tra la testimonianza del carabiniere COGNOME e quella del vigile del fuoco COGNOME in merito alla durata dell’incendio ed al suo esito, secondo quanto riportato nella sentenza di primo grado, a cui quella impugnata si è conformata, richiamandone il contenuto e ribadendone l’iter logico-argomentativo, così da formare una cosiddetta “doppia conforme”.
3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
La sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, e la corretta qualificazione di questo come “incendio” e non come un semplice “fuoco”, è ampiamente motivata sulla base delle prove raccolte, e in conformità con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità.
3.1. Non vi è dubbio che «si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone» (Sez. 4, n. 46402 del 14/12/2021, Rv. 282701). Il delitto di cui all’art. 423-bis cod.pen., però, è un reato di pericolo presunto, e non è necessario che l’evento si manifesti completamente, essendo sufficiente che sussista la potenzialità di sviluppo del fuoco appiccato, che assume la natura di “incendio” quando presenta le predette caratteristiche in forma potenziale, manifestando cioè tendenza a diffondersi, difficoltà di spegnimento, possibilità di creare pericolo per la pubblica incolumità. Questa Corte ha infatti stabilito che «Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 423-bis cod. pen., costituisce “incendio boschivo” il fuoco suscettibile di espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi alle dette aree. (In applicazione del principio, è stata ritenuta idonea a configurare il reato la presenza di fiamme propagatesi in un’area adibita a pascolo, limitrofa ad una vasta superficie boscosa, la cui attitudine a propagarsi era stata desunta dal loro fronte, dalla presenza del vento e dall’impiego massiccio di personale per sedarle)» (Sez.1, n. 41927 del 25/11/2015, dep. 2016, Rv. 268099).
La sentenza impugnata ha applicato correttamente detto principio, in quanto ha valutato la sussistenza della potenzialità offensiva della condotta e la
pericolosità dei due fuochi accesi dal ricorrente, ed ha ritenuto che «la possibilità di propagazione fosse ben ampia e le difficoltà di spegnimento ben sussistessero», viste le caratteristiche dell’area incendiata, che era scoscesa, esposta ai venti, coperta da vegetazione, e vista l’azione dell’imputato, che aveva acceso ben due inneschi, a qualche centinaio di metri l’uno dall’altro, ed aveva con sé un bidoncino contenente liquido infiammabile, con cui alimentare le fiamme. La sentenza di primo grado, poi, riportando il contenuto del verbale di arresto e le testimonianze del carabiniere e del vigile del fuoco, ha sottolineato che, nel momento di accensione dei fuochi, soffiava un forte vento di scirocco che aveva facilitato l’espandersi delle fiamme e alimentato la loro potenza distruttiva, e che all’arrivo dei vigili del fuoco, benché l’incendio fosse ormai quasi spento, risultò che era stata bruciata una superficie di bosco pari a circa 2500 metri quadrati, distruggendo ginestre spinose, felci e qualche piantagione, tipiche della macchia mediterranea presente. Questi elementi di prova non sono stati contestati dall’imputato, e sorreggono la motivazione delle due sentenze di merito, circa la potenzialità distruttiva dei due fuochi da lui accesi, dimostrata anche dall’ampiezza della zona bruciata nonostante l’intervento, prossimo alla loro accensione, compiuto dai Carabinieri.
3.2. Il ricorrente oppone a questa valutazione di merito, che appare approfondita, logica e non contraddittoria, la sua diversa opinione circa l’assenza di tale potenzialità offensiva, definendo l’area abbruciata come non di vaste dimensioni e i due fuochi come non idonei a creare pericolo per l’incolumità pubblica perché lontani da zone abitate, ed affermando essere stata breve anche la durata dell’incendio, nonostante la testimonianza del carabiniere COGNOME, secondo cui esso si protrasse per circa due ore.
Il ricorso chiede quindi a questa Corte, di fatto, una diversa valutazione delle prove. E’ però un principio consolidato quello secondo cui «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente”
informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U, 12 del 31/05/2000, Rv. 216260). Esula, infatti, dai poteri della Cassazione nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo tale attività riservata al giudice di merito: giudizio di legittimità può riguardare solo la verifica dell’iter argomentativo di giudice, accertando se egli abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (cfr. Sez. 6, n. 1354 de 14/04/1998, Rv. 210658; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556).
La motivazione della sentenza impugnata non presenta, quindi, il vizio di violazione di legge dedotto nel secondo motivo di ricorso, avendo applicato correttamente la norma di cui all’art. 423-bis cod.pen., conformemente alla sua interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente )