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Incaricato di pubblico servizio: Onlus e peculato

La Cassazione ha stabilito che la presidente di una cooperativa sociale (Onlus) che gestisce fondi pubblici per l’assistenza sociale riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Di conseguenza, l’appropriazione di tali fondi e di beni della cooperativa integra il reato di peculato e non di semplice appropriazione indebita.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Incaricato di pubblico servizio: anche il presidente di una Onlus rischia il peculato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33584 del 2024, ha fornito un importante chiarimento sulla figura dell’incaricato di pubblico servizio, affermando che tale qualifica può estendersi anche al legale rappresentante di un’organizzazione privata, come una Onlus, quando questa opera gestendo fondi pubblici per finalità sociali. Questa decisione ha implicazioni significative, poiché trasforma una potenziale accusa di appropriazione indebita nel più grave reato di peculato.

I Fatti del Caso: Appropriazione di Fondi e di un’Autovettura

Il caso riguarda la presidente di una cooperativa sociale che forniva servizi di assistenza. L’indagata era accusata di essersi appropriata di somme di denaro destinate all’acquisto di generi alimentari per gli ospiti della struttura, utilizzando a proprio vantaggio la carta bancomat della cooperativa. Inoltre, le veniva contestata l’appropriazione di un’autovettura di proprietà della cooperativa attraverso un contratto di acquisto simulato: il veicolo, del valore di oltre 22.000 euro, era stato formalmente acquistato per la cifra simbolica di 500 euro.

Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo dell’auto, ritenendo configurabile il reato di peculato, in quanto la presidente, gestendo fondi e beni per un servizio di assistenza sociale finanziato da enti pubblici, rivestiva la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

La Tesi Difensiva: Attività Privata e Assenza della Qualifica

La difesa dell’indagata ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la cooperativa fosse un’organizzazione privata, le cui attività erano regolate da convenzioni di natura privatistica con il Comune. Di conseguenza, la sua presidente non poteva essere considerata un’incaricata di pubblico servizio. Secondo questa linea difensiva, il denaro ricevuto dal Comune costituiva una semplice retribuzione per le prestazioni fornite, perdendo la sua natura pubblica una volta incassato. Pertanto, l’eventuale appropriazione avrebbe dovuto essere qualificata come appropriazione indebita, un reato per cui, in questo caso, mancava la condizione di procedibilità.

Le Motivazioni della Cassazione: il ruolo dell’incaricato di pubblico servizio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’ordinanza del Tribunale del riesame. I giudici hanno ribadito il principio della concezione oggettivo-funzionale per la definizione delle qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, introdotto dal legislatore nel 1990.

Secondo questo criterio, ciò che conta non è la natura giuridica dell’ente (pubblico o privato) o l’esistenza di un formale rapporto di impiego con la Pubblica Amministrazione, ma la natura dell’attività concretamente svolta. Un soggetto assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio quando la sua attività è regolata da norme di diritto pubblico che ne vincolano l’operatività e la discrezionalità, sottraendola all’autonomia tipica del diritto privato.

Nel caso specifico, la cooperativa sociale, pur essendo un ente privato, svolgeva un servizio pubblico di assistenza sociale operando sulla base di convenzioni con enti locali e mediante finanziamenti pubblici. Questi fondi erano erogati con un preciso vincolo di destinazione. La gestione di tale denaro, che conserva la sua natura di pecunia pubblica, comporta lo svolgimento di un servizio pubblico. Di conseguenza, chi amministra tali risorse, come la presidente della Onlus, assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

La Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali conformi, in cui presidenti di associazioni di volontariato o di promozione sociale, che si erano appropriati di fondi pubblici destinati a specifiche finalità, erano stati condannati per peculato.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un importante principio: la qualifica di incaricato di pubblico servizio non è limitata ai dipendenti pubblici, ma si estende a chiunque, anche a un privato cittadino a capo di una Onlus, gestisca risorse pubbliche per lo svolgimento di attività di interesse collettivo regolate da norme pubblicistiche. Questa interpretazione ha lo scopo di tutelare l’integrità e il corretto utilizzo dei fondi pubblici, anche quando la loro gestione è delegata a soggetti privati. Per gli enti del terzo settore che operano con finanziamenti pubblici, ciò implica una maggiore responsabilità e la consapevolezza che l’appropriazione indebita di tali risorse può integrare il più grave delitto di peculato.

Quando il presidente di una cooperativa sociale (Onlus) può essere considerato un incaricato di pubblico servizio?
Quando svolge un’attività, come l’assistenza sociale, regolata da norme di diritto pubblico e basata su convenzioni con enti locali e finanziamenti pubblici. La qualifica non dipende dalla natura privata dell’ente ma dalla funzione pubblicistica esercitata.

L’appropriazione di fondi pubblici da parte del legale rappresentante di una Onlus configura il reato di peculato o di appropriazione indebita?
Configura il reato di peculato. Secondo la Corte, se i fondi sono stati trasferiti con un vincolo di destinazione per lo svolgimento di un servizio pubblico, essi mantengono la loro natura pubblica e chi li gestisce assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio, rispondendo quindi del più grave reato di peculato.

Quale criterio utilizza la legge per distinguere un servizio pubblico da un’attività privata?
La legge utilizza un criterio ‘oggettivo-funzionale’. Non si valuta la natura dell’ente (pubblico o privato) o il tipo di rapporto di impiego, ma si analizza l’attività concretamente svolta. Se tale attività è disciplinata da norme pubblicistiche che ne limitano la discrezionalità, si tratta di un servizio pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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