Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18966 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18966 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME RosarioCOGNOME nato il 27/01/1960 a Napoli
avverso la sentenza del 23/05/2024 dalla Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli confermava la condanna di NOME COGNOME per peculato continuato (artt. 314, 81, cod. pen.), perché, nella qualità di dipendente della società “RAGIONE_SOCIALE“, partecipata dai Comune di Napoli, essendo addetto al settore gestione patrimonio, si
appropriava del denaro affidatogli per pagare le contravvenzioni stradali dei veicoli intestati alla suddetta società, per un importo di euro 1.830,36 (capo a).
Dichiarava invece estinto per prescrizione il falso materiale in atto pubblico (artt. 476, 81, cod. pen.), contestato in quanto, al fine di commettere il reato di cui al capo a), falsificava i bollettini di versamento dell’oblazione presso l’uffici postale per far apparire il versamento adempiuto (capo b).
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite dell’avvocato NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di ricorso, errata applicazione della legge penale e motivazione illogica.
L’imputato è dipendente della società “RAGIONE_SOCIALE“, assunto con contratto di diritto privato e preposto al protocollo generale, con mansioni di addetto ad adempimenti amministrativi.
Considerato che la “RAGIONE_SOCIALE” è una società c.d. in house, che svolge in favore del Comune in via esclusiva una pluralità di attività di interesse generale, quale la gestione del patrimonio immobiliare comunale o la manutenzione delle strade cittadine, e pur essendo indubbio che il pagamento delle sanzioni derivanti da violazioni del codice della strada da parte delle autovetture dell’ente pubblico sia un’attività di natura pubblicistica di interesse generale, esula dalla nozione di pubblico servizio la mansione meramente materiale, esecutiva e di carattere sostanzialmente ausiliaria, qual è recarsi agli uffici delle poste per pagare la contravvenzione, non implicando essa alcuna discrezionalità e autonomia decisionale, ed avendo carattere meramente esecutivo.
L’imputato, inoltre, non aveva l’immediata disponibilità o il possesso delle somme – tale possesso restava in capo al responsabile della cassa della società, che, all’occorrenza, consegnava il denaro al ricorrente affinché provvedesse al pagamento delle multe – né aveva un obbligo di rendicontazione, che gravava sul personale addetto alla gestione della cassa, a nulla rilevando il fatto che il denaro maneggiato da COGNOME fosse pubblico.
La sentenza contrasta con la giurisprudenza di legittimità sulla differenza tra peculato e truffa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti e per le ragioni di seguito indicate.
In risposta alle deduzioni difensive, è il caso di precisare, preliminarmente, che nessun rilievo può attribuirsi, in tema di qualifiche soggettive pubblicistiche,
alla circostanza che l’imputato fosse stato assunto con un contratto di diritto privato.
Da tempo, infatti, le qualifiche di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen. prescindono dalla natura del rapporto con l’ente (concezione c.d. soggettiva), essendo state declinate in chiave oggettivo-funzionale.
Gli artt. 357, comma 2, e 358, comma 2, cod. pen. attribuiscono, cioè, espresso rilievo al tipo di attività esercitata dal reo, definendola pubblica là dove «disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi».
Ciò è quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alle attività direttamente correlate all’espletamento di servizi pubblici da parte di una c.d. società in house, o con questo poste in rapporto ausiliario o strumentale (tra le tante, Sez. 6, n. 23910 del 03/04/2023, COGNOME, Rv. 284759).
Né – sempre incidentalmente – rilevano (se non quali meri indici, nel contesto di una trama argomentativa che dovrebbe basarsi su altri argomenti) la natura pubblica o meno del denaro “maneggiato” dall’ente e/o la finalità di pubblico interesse per cui questo eventualmente agisca, come invece insistentemente affermato nella sentenza impugnata, avendo il legislatore del 1990 negato rilevanza anche ai suddetti profili, e concentrato l’attenzione sul momento “genetico” dell’attività dell’ente in cui opera il soggetto della cui qualifi soggettiva deve decidersi nel caso concreto (accogliendo la tesi per cui dovesse qualificarsi “pubblico servizio” l’attività gestita in regime pubblicistico concessione).
Tanto premesso, per quanto qui interessa, a “RAGIONE_SOCIALE” era stato esternalizzato/delegato dal Comune di Napoli, tra gli altri, il servizio di riscossione delle somme dovute dagli utenti della strada a titolo di “contravvenzioni”: attività, in base alla disciplina codicistica richiamata, senz’altro raffigurante un “pubblico servizio”.
Nell’ambito di tale attività rectius, in correlazione funzionale con tale attività – l’imputato ha realizzato le condotte contestategli.
Ciò nondimeno, COGNOME non può essere ritenuto incaricato di pubblico servizio, posto che l’art. 358, comma 2, seconda parte, cod. pen., esclude dalla nozione di pubblico servizio lo svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale lo svolgimento di “mansioni” meramente materiali, quali quelle espletate nel caso concreto dal ricorrente.
Come di recente ribadito, la formulazione lessicale, impiegata dal legislatore, con l’utilizzo dei termini «semplici» e «meramente», indica, infatti, in modo univoco, la presenza di una voluntas legis finalizzata a collocare nel perimetro della
nozione di incaricato di pubblico servizio qualunque mansione che richieda un bagaglio di nozioni tecniche e di esperienza e che comporti un livello di responsabilità superiore a quello richiesto per lo svolgimento di incombenti esclusivamente materiali o di ordine (Sez. 6, n. 22275 del 31/01/2024, Puglisi, Rv. 286613, sebbene con riferimento al dipendente di Poste Italiane s.p.a. addetto allo sportello di cassa che, su incarico del cliente, effettui il pagamento dei tribut tramite modello F24).
Né vale in senso contrario la pretesa dei Giudici dell’appello di derivare obblighi e responsabilità dell’imputato dall’onere di documentazione, sullo stesso gravante, dello spostamento patrimoniale: onere che, nel caso di specie, si sarebbe inverato – sempre secondo il ragionamento della sentenza impugnata nella produzione della ricevuta di versamento postale da inserire nell’apposito archivio.
Infatti, per rilevare, il “potere” di documentazione (certificativo, e, dunque, peraltro indicativo della “funzione”, piuttosto che del “servizio”) deve potersi manifestare all’esterno, soltanto in tal modo assumendo una valenza ed una connotazione pubblica. Mentre, la mera redazione/presentazione di ricevute, di cui consta la rendicontazione cui era tenuto il ricorrente, è attività affatto neutra, in quanto tipica anche delle relazioni di diritto privato, e insufficiente a connotare in senso intellettuale condotte che, se meramente esecutive, tali restano (in tal senso, tra le altre, Sez. 6, n. 38600 del 12/07/2024, D’Atri, Rv. 287032).
Da ultimo, si deve specificare che, contrariamente a quanto affermato in sede difensiva, COGNOME, incaricato del versamento, presso gli uffici postali, delle somme a tal titolo riscosse dalla società in house, ne aveva senza dubbio il possesso: aveva, cioè, la disponibilità del denaro – secondo la vecchia definizione manualistica – esercitabile al di fuori della “sfera di sorveglianza” dell’ente che glielo aveva affidato e che “su di esso aveva un diritto maggiore”.
Dovendosi escludere che tale possesso fosse stato conseguito con artifici o raggiri (di essi non risulta traccia nelle sentenze di merito), la condotta appropriativa dell’imputato integra il tipo di cui all’art. 646 cod. pen., e non quell dell’art. 640 cod. pen. (come invece prospettato nell’ultima parte dell’impugnazione).
Di conseguenza, i fatti per cui si procede vanno riqualificati in appropriazione indebita, aggravata ai sensi dell’art. 61, n. 11, cod. pen., per cui è venuta meno la perseguibilità d’ufficio, per effetto dell’art. 10 d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, c riforma Orlando (comunque rilevante, sebbene successivo alla data della loro realizzazione, in virtù dell’art. 2, comma 4, cod. pen., in quanto recante, nella successione di leggi penali nel tempo, una norma penale più favorevole).
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7. In assenza della querela (nonché di costituzione di parte civile, alla querela equiparabile:
ex multis,
Sez. 1, n. 26575
del
14/05/2024, COGNOME, Rv. 286741), il reato non sarebbe tuttavia procedibile.
Va, dunque, disposto l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio.
P.Q.M.
Qualificati i fatti contestati ai sensi dell’art 646 cod. pen. annulla senza rinvio la sentenza impugnata per mancanza di querela.
Così deciso il 01/04/2025