Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10936 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10936 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME Salvatore nato a San Lucido il 19/09/1962
avverso la sentenza emessa il 3 aprile 2024 dalla Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore della parte civile Provincia di Pavia, Avv. NOME COGNOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso; lette le richieste dei difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con, la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di NOME COGNOME emessa all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione per più reati di induzione indebita a dare o promettere utilità, truffa aggravata, peculato e attività di gestione non autorizzata di rifiuti.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione deducendo tre motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione dell’art. 358, comma secondo, cod. pen. e degli artt. 5, 43, comma primo, 59, comma quarto, cod. pen., 530, comma 2 e 533 cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza di un ragionevole dubbio sulla sua consapevolezza di essere titolare di funzioni che comportavano l’assunzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio. Si rileva, a tal fine, che dalla documentazione acquisita (nota n. 669 del 7/8/2018 del Direttore Generale NOME COGNOME) emerge che le mansioni attribuite al ricorrente, di coordinatore delle squadre addette alla raccolta dei rifiuti di gestore delle manutenzioni del parco mezzi a disposizione della società, erano mere mansioni d’ordine e di carattere materiale, sottoposte al controllo e direzione del responsabile dei servizi ambientali, ing. COGNOME
2.1.1. Il primo motivo di ricorso è stato ulteriormente illustrato con il motivo aggiunto con il quale si censura la qualifica pubblicistica attribuita al ricorrente e s richiede la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla sua configurabilità nel caso di specie.
2.2. Violazione dell’art. 319 -quater cod. pen. in ordine alla sussistenza di una condotta di induzione ed all’elemento psicologico del reato. Si deduce, a tal fine, che la condotta tenuta non è connotata da alcuna forma di pressione o di prevaricazione, essendosi il ricorrente limitato a mere richieste di favori ai colleghi, i qua acconsentivano, come affermato in sentenza, solo per compiacere Chianese.
2.3. Violazione dell’art. 61, n.9, cod. pen. ravvisato in relazione al reato di cui al capo 17), nonché degli artt. 640, 5, 59 e 43 cod. pen. e 530, comma 2, 533 cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza di un ragionevole dubbio in capo a Chianello della sua qualifica pubblicistica e della conseguente volontà di abusare dei suoi poteri e doveri.
Il Procuratore Generale, nel concludere per il rigetto del ricorso, ha rilevato che: 1) quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato in ordine alla natura pubblicistica della società in house RAGIONE_SOCIALE nonché sulle mansioni non meramente esecutive attribuite al ricorrente con nota n.769 del 7 agosto 2018; 2) quanto al secondo motivo, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite Maldera, evidenziando l’uso distorto da parte di COGNOME della propria qualità, consistito nel distogliere il personale operativo dell’azienda pubblica dalle mansioni alle quali era addetto impiegandolo a proprio esclusivo vantaggio in lavori manuali e in operazioni di pulizia e di sistemazione della propria abitazione.
Il ricorrente ha depositato memoria di replica insistendo per la fondatezza dei motivi dedotti e, in particolare, quanto al primo motivo, per la carenza dell’autonomia decisionale necessaria all’assunzione della qualifica pubblicistica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
Il primo e il terzo motivo, nonché il motivo aggiunto, da esaminare congiuntamente in quanto pongono la medesima questione in relazione alle differenti fattispecie di reato cui si riferiscono, sono meramente reiterativi delle medesime questioni dedotte in appello e, nella parte in cui si insiste sul potere di supervisione di COGNOME privi del necessario requisito della specificità.
La Corte territoriale, muovendo dalla natura pubblicistica della società in house RAGIONE_SOCIALE e del servizio da questa svolto (raccolta e trasporto rifiuti), ha attribuito a Chianello la qualifica pubblicistica sulla base di argomen immuni da vizi logici o giuridici.
Coerentemente con le indicazioni ermeneutiche di questa Corte sulla nozione di incaricato di pubblico servizio (cfr. Sez. 6, n. 1957 del 11/01/2023, COGNOME, Rv. 284109; Sez. 6, n. 33845 del 22/05/2014, COGNOME, Rv. 260174; Sez. 6, n. 37102 del 07/05/2004, COGNOME, Rv. 230374), sono state, infatti, valorizzate le mansioni di concetto attribuite al ricorrente con la nota n. 769 del 7/8/2018, avuto riguardo alle funzioni di coordinamento delle squadre operative di raccolta dei rifiuti, di gestione delle manutenzioni del parco mezzi e di referente operativo presso gli uffici tecnici e della polizia locale. Si è, dunque, legittimamente escluso che si trattasse di mansioni
d’ordine o della prestazione di opere meramente materiali, trattandosi di attività di coordinamento e vigilanza strettamente correlate all’espletamento del servizio pubblico. Tale ineccepibile argomento si salda, peraltro, con la esplicita connotazione in chiave di autonomia evidenziata dalla sentenza di primo, grado.
Osserva, al riguardo, il Collegio che le generiche allegazioni del ricorrente in merito al ruolo di referente svolto da COGNOME, non appaiono in grado di incidere sulla tenuta logica di tali conclusioni, potendosi ricondurre detto ruolo, in assenza di diverse emergenze probatorie in merito ad un eventuale specifico ed incisivo potere di ingerenza di COGNOME, ad un mero potere di vigilanza, di per sé inidoneo a privare il ricorrente della propria autonomia decisionale e operativa, come, di fatto, dimostrato attraverso le condotte ascritte.
2.1. E’, inoltre, priva di pregio la censura relativa alla ignoranza di tale qualific pubblicistica da parte del ricorrente (rilevante ai fini della configurabilità del reato cui all’art. 319-quater cod. pen. e dell’aggravante censurata con il terzo motivo), trattandosi di un errore che, quand’anche sussistente, investe direttamente la legge penale ed è, dunque, inidoneo ad escludere il dolo.
Va, a tale riguardo, ribadito che l’errore sulla qualità di pubblico ufficiale incaricato di pubblico servizio, che derivi da ignoranza o falsa interpretazione della legge, non vale a scusare l’agente, risolvendosi in un errore sulla legge penale (Sez. 5, n. 33056 del 21/05/2024, Gualandi, Rv. 286875 – 02). Ciò in quanto le definizioni di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, di cui rispettivamente agli artt. 357 e 358 cod. pen., richiamano con rinvio ricettizio le norme extrapenali che determinano la natura pubblica della funzione o del servizio e, pertanto, il contenuto di quelle definizioni, così ampiamente inteso, acquista natura di norma penale non solo perché i predetti articoli sono inseriti nel codice penale, ma soprattutto perché la qualità del soggetto ivi contemplata deve intendersi richiamata in ogni precetto di natura penale che prevede la figura di pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio quale soggetto attivo o passivo del reato (Sez. 6, n. 9473 del 13/01/2017, S., Rv. 269131).
2.3. L’assenza di contrasti ermeneutici sulla qualifica pubblicistica attribuita al ricorrente e la genericità delle deduzioni difensive rivelano il carattere meramente esplorativo della richiesta di rimessione alle Sezioni Unite, formulata con il motivo aggiunto, che, dunque, non merita considerazione.
Il secondo motivo è confutativo, generico e manifestamente infondato.
3.1. Preliminarmente, va rammentato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice – espressa anche a Sezioni Unite – il delitto di induzione indebita, di cui all’art. 319-quater cod. pen., è caratterizzato, sotto il profilo oggettivo, da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che lascia al destinatario un margine significativo di autodeterminazione e si coniuga con il perseguimento di un indebito vantaggio per lo stesso, distinguendosi dal reato di concussione, il quale si configura quando la condotta del pubblico ufficiale limita radicalmente la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo (Sez. U, n. 12228 del 2014, COGNOME, Rv. 258470; Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286376 – 05; Sez. 6, n. 37655 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 260183; Sez. 6, n. 5496 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259055).
Le Sezioni Unite, nel definire il rapporto tra il reato in esame e quello di concussione, hanno, infatti, chiarito che la condotta di “induzione” si distingue dall’abuso costrittivo che connota il reato di concussione, in quanto consiste in un’attività di persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U. n. 12228 del 2014, Maldera, cit.).
3.2. Le Sezioni Unite hanno, inoltre, perimetrato il confine tra le due modalità di realizzazione della condotta del pubblico agente chiarendo che: a) l’abuso della qualità – c.d. abuso soggettivo – consiste nell’uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione da parte di costui non di una sua attribuzione specifica, bensì della propria qualifica soggettiva senza alcuna correlazione con atti dell’ufficio o del servizio – così da fare sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute; b) l’abuso dei poteri – c.d. abuso oggettivo – consiste invece nella strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui conferiti, nel senso che questi sono esercitati in modo distorto, vale a dire per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati conferiti e in violazione delle regole giuridiche di legalità, imparzialità buon andamento dell’attività amministrativa.
Nella successiva giurisprudenza delle Sezioni semplici si è, inoltre, aggiunto che l’abuso della qualità che connota la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale
comprende la spendita o la prospettazione, da parte dell’agente, di un efficace potere di ingerenza nel compimento di atti formalmente estranei alle proprie competenze, ma pur sempre spettanti alla pubblica amministrazione cui egli è preposto, in modo da procurare nel soggetto interessato la percezione di poter subire conseguenze sfavorevoli o, al contrario, ingiustamente favorevoli (Sez. 3, n. 29321 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 280439 – 02).
3.3. La sentenza in esame, con motivazione immune da vizi e coerente con tali coordinate ermeneutiche, completamente trascurata dal ricorrente, che si limita ad insistere nella propria opposta ricostruzione fattuale, ha desunto la condotta induttiva del ricorrente considerando, in primo luogo, le caratteristiche del rapporto di lavoro dei dipendenti distolti dalle loro mansioni, tutti assunti a tempo determinato, nonché la condizione di soggezione in cui versavano sia per il rapporto privilegiato tra il ricorrente e COGNOME che per le pressioni esercitate da COGNOME che, secondo quanto riferito da uno dei testi, era solito prospettare il loro licenziamento. In particolare, Corte territoriale, nel ravvisare un abuso di potere del ricorrente, ha posto l’accento sia sulle mansioni conferite a COGNOME che sul suo potere di fatto di influire sulla posizione lavorativa dei dipendenti in ragione dei suoi “noti” rapporti con COGNOME, desunti dalle conversazioni intercettate, reputate, peraltro, indicative della «condivisione tra i due della determinazione di utilizzare i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE per attività estranee a quelle per le quali erano stati assunti e nelle ore di lavoro».
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000). Il ricorrente va, altresì, condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Provincia di Pavia che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge. Così deciso il 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore COGNOME