Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10977 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10977 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOMECOGNOME nato a ROMA il 10/09/1963
COGNOME NOME nato a ROMA il 23/05/1953
avverso la sentenza del 15/07/2024 della Corte d’appello di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; lette le conclusioni della difesa delle ricorrenti, che ha insistito per l’accogiimento del ricorso.
Con sentenza del 18/11/2021 il Tribunale di Roma aveva riconosciuto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili (con esclusione di alcuni degli episodi originariamente loro contestati) dei fatti di peculato loro ascritti e, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all’aggravante contestata per COGNOME e COGNOME e prevalenti per la COGNOME, li aveva condannati alle pene indicate in dispositivo; il Tribunale aveva inoltre condannato gli imputati al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE – in essa incorporata, per fusione, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE in cui favore aveva liquidato delle provvisionali immediatamente esecutive e le spese; per alcuni altri episodi, inoltre, il Tribunale aveva dichiarato l’intervenut prescrizione del reato;
la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 06/02/2023, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva assolto NOME COGNOME perché il fatto non costituisce reato; aveva assolto NOME COGNOME in relazione ad alcuni dei bonifici eseguiti in favore di NOME COGNOME per non aver commesso il fatto; aveva inoltre dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME e COGNOME in relazione ad ulteriori bonifici per intervenuta prescrizione; aveva perciò rideterminato la pena a carico dei due predetti imputati con le conseguenti statuizioni civili;
contro
la sentenza suindicata avevano proposto ricorso per cassazione le parti civili RAGIONE_SOCIALE nonché gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME: le parti civili, in particolare, avevano dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla esclusione dell’elemento psicologico in capo alla COGNOME la cui condotta non sarebbe stata comunque scriminabile ai sensi dell’art. 51 cod. pen. per avere costei obbedito ad un ordine del suo superiore gerarchico; il COGNOME ed il COGNOME avevano articolato tre motivi di ricorso sull’affermazione di responsabilità e, comunque, sulla qualificazione giuridica della condotta distrattiva alla luce della qualifica soggettiva dell’intraneo;
con sentenza del 28/11/2023 la VI Sezione della Corte di cassazione aveva accolto i ricorsi degli imputati annullando con rinvio la sentenza impugnata ed aveva invece respinto il ricorso delle parti civili nei confronti della pronuncia di assoluzione;
la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, ha riqualificato il fatto come appropriazione indebita dichiarando non doversi procedere nei confronti degli imputati COGNOME e COGNOME per essere il reato estinto per prescrizione in data antecedente la stessa
sentenza di primo grado e, di conseguenza, ha revocato le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata;
ricorrono per cassazione le parti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a mezzo del difensore che deduce:
6.1 nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 358 cod. pen.: richiama passi della motivazione della sentenza impugnata osservando come proprio con riguardo alle società a partecipazione statale si è sempre posto il problema della qualificazione delle attività svolte; segnala che, pur operando in ambito privatistico, le società partecipate da enti di gestione delle partecipazioni statali ben possono svolgere pubbliche funzioni o pubblici servizi sicché i dipendenti possono, in quelle determinate ipotesi, assumere la qualifica di pubblici ufficiali ovvero di incaricati di pubblico servizio; sottolinea come, anche ali’esito della riforma del 1990, debba essere adottato un criterio “casistico” prescindendo dal riferimento all’esistenza di un rapporto di pubblico impiego e valorizzando, invece, il fatto che la singola attività sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico ed abbia una rilevanza di interesse generale; sottolinea, ancora, come debba essere affermata l’autonomia del diritto penale anche rispetto al diritto costituzionale ed amministrativo con la conseguente possibilità di applicare, ad un medesimo soggetto, diversi “statuti” in relazione al tipo di attività ovvero alla frazione di attività di volta in volta esercitata; ripercorre l’orientament della giurisprudenza già consolidato all’ dei fatti, e validato anche dalle decisioni della Corte dei Conti alla cui giurisdizione sono sottoposte sia RAGIONE_SOCIALE che le sue controllate; segnala, dunque, che già prima del 2008, il contesto normativo era tale da rendere conoscibile la natura pubblicistica dell’attività di soccorso stradale e quelle strettamente connesse, ricomprese peraltro, dalla Commissione di garanzia, nel novero dei servizi pubblici dalla normativa in materia di sciopero dettata dalla legge 146 del 1990 da cui discende la natura pubblicistica dell’attività svolta e la qualifica di incaricati di pubb servizio dei soggetti esercenti tali attività o collocati in posizioni apicali; aggiun che si tratta di circostanze ricorrenti nel caso di specie ma che gli imputati non potevano certamente ignorare; segnala che compiti ed attività analoghe erano statutariamente previste anche per RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in quanto complementari a quelle svolte da RAGIONE_SOCIALE richiama, inoltre, la decisione del Consiglio di Stato resa nell’ambito di una notissima vicenda relativa al ripristino del codice di emergenza “116” in favore di RAGIONE_SOCIALE riaffermando la natura pubblicistica dell’attività di soccorso stradale certificata, infine, con la sentenz 108 del 2017 e dalle SS.UU. 8673 del 2019; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.2 nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 5, 42, 43 e 47 cod. pen.: richiama le argomentazioni spese dalla Corte d’appello per escludere la prova della sussistenza, in capo al COGNOME ed al COGNOME, della natura pubblicistica dell’ente e dell’attività svolta, sottolineando come le considerazioni spese nel primo motivo del ricorso siano in grado di ricondurre, con certezza, la tematica nell’alveo delineato dall’art. 5 cod. pen. piuttosto che nell’art. 47 cod. pen.; ripercorre, a tal proposito, i principi afferma dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988 che aveva evocato criteri di natura oggettiva e criteri misti, incentrati, questi ultimi, anche su posizione soggettiva dell’agente; sottolinea che, ai fini della prova del dolo, occorre incentrare la verifica sull’affidabilità delle regole di esperienza utilizzate, su contestualizzazione dell’indagine e sull’attenzione critica alle circostanze capaci di fornire spiegazioni alternative; tanto premesso, richiama il contenuto delle dichiarazioni rese dagli imputati in sede di esame all’udienza del 28 ottobre 2019 e, con riferimento al COGNOME, al parere da costui redatto in data 12/06/2010 indirizzato proprio al COGNOME;
il PG (NOME COGNOME ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per il rigetto dei ricorsi.
in data 11/02/2025 la difesa di RAGIONE_SOCIALE ha concluso, per iscritto, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Le società ricorrenti si erano costituite parte civile nel processo a carico di NOME COGNOME e NOME COGNOME che erano stati tratti a giudizio, unitamente ad una terza persona, assolta nel primo giudizio di appello, per rispondere di peculato in quanto il primo, nella qualità di direttore amministrativo e finanziario di RAGIONE_SOCIALE, controllata al 100% da RAGIONE_SOCIALE ente pubblico non economico, nonché delle altre dalla prima controllate al 100%, avrebbe disposto una serie di bonifici ed emesso assegni tratti sui conti correnti delle società, con beneficiari NOME COGNOME società di cui questi era socio al 90% ovvero, in altri casi, sé stesso.
1.1 La qualificazione giuridica delle condotte in termini di peculato risposava, pertanto, sulla qualifica del COGNOME come soggetto incaricato di
pubblico servizio in considerazione del ruolo svolto nell’ambito di società controllate – direttamente o indirettamente – da RAGIONE_SOCIALE – considerata Ente pubblico economico, ed esercentif un’attività di rilevanza pubblica ovvero di pubblico L interesse.
Questo aspetto era stato affrontato, da ultimo, nei ricorsi proposti dagli imputati contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che, sia pure avendo escluso alcuni episodi e dichiarato la prescrizione del reato per altri, aveva tuttavia confermato l’impostazione giuridica della vicenda ribadendo la correttezza della qualificazione delle condotte ascritte al COGNOME quale incaricato di pubblico servizio, ascritte al COGNOME quale concorrente extraneus responsabile ai sensi dell’art. 117 cod. pen..
Sul punto, pertanto, è intervenuta la VI Sezione di questa Corte con la sentenza n. 5636 del 2024 che, proprio sotto tale profilo, ha accolto i ricorsi degli imputati annullando la decisione della Corte capitolina cui aveva rinviato per un nuovo giudizio.
Entrambi gli imputati avevano sollevato, in quella sede, la questione della natura dell’ente e della posizione ricoperta dal COGNOME denunziando l’erroneità della sentenza impugnata sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
Tanto premesso, non è inutile ricordare che nel caso di annullamento per violazione od erronea applicazione della legge penale, il giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato mentre, in caso di annullamento per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il giudice del rinvio può procedere a un nuovo esame dei compendio probatorio, con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 24133 del 31/05/2022, Ministero Giustizia, Rv. 283440 – 01; Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, COGNOME, Rv. 252333 01; Sez. 3, n. 4759 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 216343 – 01).
Si è anzi precisato che a séguito di annullamento da parte della Corte di cassazione per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, il giudice del rinvio deve ritenersi vincolato unicamente ai principi e alle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di ogni altra restrizione derivabile da eventuali passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, in special modo se riferibile a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito (cfr., Sez. 2, n. 33560 del 09/06/2023, COGNOME Rv. 285142 – 01).
Per altro verso è consolidato il principio secondo cui la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999 – 01; cfr., anche, Sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255122 – 01, in cui la Corte ha chiarito che nel caso di annullamento con rinvio della sentenza per vizio di motivazione, il giudice di rinvio – pur restando libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto concernente il punto annullato è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando vincolato ad una determinata valutazione delle risultanze processuali o al compimento di una determinata indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, con il limite di non ripetere i vizi di motivazione rilevati n provvedimento annullato; conf., ancora, Sez. 5, Sentenza n. 42814 del 19/06/2014 Ud. (dep. 13/10/2014 ) Rv. 261760 – 01; Sez. 5, n. 7567 del 24/09/2012, COGNOME, Rv. 254830 – 01; Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010, Regine, Rv. 248738 – 01).
2.1 E’ dunque necessario ripercorrere i passaggi della motivazione con cui la sentenza rescindente ha giustificato l’annullamento ed ha imposto un nuovo giudizio sul punto.
La VI Sezione era partita dal rilievo secondo cui i dipendenti dell’ACI rivestono – in riferimento ad alcune funzioni istituzionali – la qualifica di incarica di un pubblico servizio procedendo, in particolare, alla riscossione delle tasse automobilistiche; ha tuttavia precisato che “nel caso in esame … le somme delle quali si è verificata l’appropriazione da parte degli imputati non sono di pertinenza dell’ACI, ma di altre società” ovvero RAGIONE_SOCIALE, società per azioni partecipata interamente da Ad, e RAGIONE_SOCIALE, interamente controllata da RAGIONE_SOCIALE la cui natura pubblicistica sarebbe stata affermata dalle SS.UU. di questa Corte nel 2019 e che, secondo i giudici di merito, avrebbe riguardato anche la controllata per l’attività statutariamente svolta.
I giudici della sentenza rescindente non avevano condiviso le conclusioni cui era pervenuta la Corte d’appello ed avevano fatto presente, in primo luogo, che la pronuncia delle SS.UU. del 2019, intervenuta in sede di regolamento di
giurisd:zione, era stata resa affermando !a natura pubblica dell’ente relativamente ad uno specifico aspetto; riportando la motivazione della sentenza, infatti, avevano spiegato che «il giudizio amministrativo di primo grado davanti al TAR Lazio (n. 4035/2015) era stato avviato dalla s.p.a. RAGIONE_SOCIALE la quale, premesso di aver formulato un’offerta nell’ambito di una procedura di gara per il servizio di tracciamento di veicoli indetta dalla s.p.a. Aci Global, chiedeva l’annullamento degli atti con cui il ricorso stesso era stato aggiudicato alla sRAGIONE_SOCIALE Il TAR Lazio con sentenza 10100/15 aveva dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo rilevando che non erano integrati i requisiti necessari per poter definire la società RAGIONE_SOCIALE organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 26, del previgente codice dei contratti D.Lgs. 163/2006 e, conseguentemente, per vincolarla all’applicazione delle norme in tema di evidenza pubblica».
Ripercorrendo dunque le argomentazioni sviluppate dalle SS.UU., la VI Sezione ha ricordato come, ai fini della qualificazione dell’ente, sia necessaria la =presenza – cumulativa – dei tre requisiti previsti dall’art. 3, lett. d), del d. n. 50 ciel 2016 della “personalità giuridica”, della “influenza pubblica dominante” (sotto il profilo della partecipazione, del finanziamento o del controllo pubblico) e, infine, del requisito “teleologico”, relativo all’attività rivolta, anche esclusivamente o prevalentemente, alla realizzazione di un interesse generale ancorché svolte in regime di libero mercato senza, in tal caso, assunzione del rischio.
Detto questo, la VI Sezione aveva osservato che “… neppure dallo statuto di RAGIONE_SOCIALE sembrano potersi ricavare elementi idonei a dimostrarne in modo certo la natura pubblicistica della società a 360 gradi” segnalando “… che, dopo avere premesso all’art. 1 che RAGIONE_SOCIALE è una società strumentale all’attività dell’Ente pubblico Automobile Club d’Italia … ed opera in regime di in house providing, all’art. 2 di detto statuto si indica che La società ha per oggetto esclusivo l’autoproduzione di beni e servizi strumentali all’ACI o allo svolgimento delle sue funzioni, strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente nel settore dei servizi di assistenza relativi alla mobilità in tutte le forme e in ogni altro ambito di interesse dell’ACI”.
Con riguardo all’ACI, ha ricordato che si tratta di un ente “… investito della realizzazione di finalità pubbliche sulla base di norme di diritto pubblico, che contemplano lo svolgimento di specifiche funzioni, tra le quali rientra la riscossione delle tasse automobilistiche e il corrispettivo delle licenze CSAI” aggiungendo, tuttavia, che “… il soggetto che per conto dell’ente è investito di siffatto genere funzioni, non riducibili a mere mansioni d’ordine, riveste la qualità di pubblico
ufficiale, ove ricorrano gli altri elementi distintivi previsti dall’art. 357 cod. pen almeno la qualità di incaricato di pubblico servizio” avuto riguardo ai “… compiti inerenti alla riscossione e alle funzioni strettamente correlate, che ineriscano a finalità di rilievo pubblicistico, vale a qualificarlo almeno come incaricato di pubblico servizio: corrispondentemente il soggetto incaricato dell’incasso dispone di tali somme per ragione del proprio ufficio o servizio e dunque, appropriandosene, commette il delitto di peculato”.
La VI Sezione ha dunque ribadito che” … è alle effettive funzioni nell’ambito delle quali si colloca la condotta appropriativa che bisogna avere riguardo per la qualificazione pubblicistica dell’agente e per la sussistenza della “ragione dell’ufficio o del servizio” che connota il possesso o la disponibilità del denaro, quali necessari presupposti del peculato, non risultando invece sufficiente la mera natura pubblicistica dell’ente ove opera il soggetto al quale si contesta l’appropriazione” (cfr., ancora, dalla sentenza rescindente).
Si tratta di un approdo condiviso nella giurisprudenza di questa Corte che, in altre decisioni, ha affermato che riveste la qualifica di incaricat di pubblico servizio il dirigente di una società “in house” – avente natura di impresa pubblica e forma giuridica privata – limitatamente alle attività direttamente correlate all’espletamento del servizio pubblico o con questo poste in rapporto ausiliario o strumentale restando, invece, estranee all’area pubblicistica tutte quelle attività non direttamente connesse all’espletamento del servizio stesso (cfr., così, ad esempio, Sez. 6, n. 23910 del 03/04/2023, COGNOME, Rv. 284759 – 01, che ha annullato senza rinvio la condanna per peculato nei confronti dei responsabili del settore economico finanziario della società di gestione dei servizi di trasporto provinciale, in relazione alla attribuzione in loro favore di incentivi stipendiali non dovuti, essendo i trattamenti retributiv estranei al servizio pubblico e rimessi all’autonomia negoziale dell’ente, pur se soggetti ai vincoli della contrattazione collettiva; conf Sez. 6, n. 33549 del 25/02/2013, Turino, Rv. 256125 – 01).
Ed è per l’appunto in questa prospettiva e sulla base di questi principi che la sentenza della Corte d’appello di Roma è stata annullata “… in riferimento alla posizione degli imputati COGNOME e COGNOME – con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma” assegnando al giudice del rinvio – al fine di ritenere configurabile la fattispecie di peculato – il mandato di verificare “.. se l’attività svolta dal COGNOME nell’ambito delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sia idonea a qualificare lo stesso come incaricato di pubblico servizio e, in caso affermativo, se tale qualificazione non fosse dal predetto
ignorata per un errore inevitabile e fosse conoscibile da parte del COGNOME, soggetto extraneus”.
La sentenza rescindente ha poi affrontato il profilo – esplicitamente considerato in via subordinata – relativo alla “… sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 314 cod. pen., in riferimento alla conoscibilit dei presupposti della fattispecie”.
2.2 La Corte d’appello, in sede di rinvio, recependo GLYPH la GLYPH sollecitazione proveniente dalla sentenza di annullamento, ha pertanto correttamente premesso che l’inquadramento giuridico della posizione soggettiva dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE come pubblici ufficiali o, più verosimilmente, incaricati di pubblico servizio, poteva essere affermata “… solo in relazione ad alcune funzioni istituzionali” (cfr., ivi).
Sulla scorta di tale premessa ha perciò evidenziato in via prioritaria, la circostanza secondo cui i bonifici ed i pagamenti disposti dal COGNOME erano stati effettuati con riferimento ad “… operazioni formalmente e contabilmente predisposte per il saldo di debiti molto risalenti nel tempo verso fornitori di beni e servizi della società che avevano emesso regolari fatture alle società controllate da RAGIONE_SOCIALE ed erano in attesa del saldo, in relazione alle quali non emerge ictu °cui/ il collegamento ad attività riconducibile agli scopi pubblici …” (cfr. ancora, pag. 11); ha aggiunto che, stante la natura delle operazioni sui cui accantonamenti si era attinto, non sussisteva, allora, la prova “… che fosse presente anche la consapevolezza di agire utilizzando fondi pubblici e nell’esercizio di un pubblico servizio” (cfr., ivi, pag. 12).
Ha inoltre richiamato la consolidata prassi della gestione prettamente privatistica della società anche quanto alle modalità di assunzione e selezione del i9,5 personale e ripartizione degli utili (cfr., ivi)
In definitiva, quindi, la Corte capitolina ha ritenuto che le condotte appropriative si fossero perfezionate con riguardo ad ambiti gestionali non collegati alle funzioni ed alle attività di interesse pubblico ovvero ad ambiti e contesti anche meramente strumentali rispetto a quelli di natura prettamente pubblicistica.
Ed è ancora sul piano prettamente “oggettivo” che i giudici di merito ancora una volta conformandosi alle linee ermeneutiche tracciate dalla sentenza rescindente – hanno ribadito l’incertezza sulla soggettività di RAGIONE_SOCIALE perdurante anche dopo l’intervento delle SS.UU. del 2019; hanno sottolineato, in particolare, che – come già segnalato dalla VI Sezione – elementi dirimenti sul punto non sono evincibili dalla lettura dello statuto della società che, infatti
espleta e svolge attività di natura diversa: da quelle di soccorso ed assistenza stradale (cui è per l’appunto funzionale l’attività di tracciamento elettronico cui era riferita la sentenza delle SS.UU.) a quelle invece svolte in regime di concorrenza “… come la pulizia ed il lavaggio delle aree interessate da incidenti o altri eventi il commercio all’ingrosso di mezzi di soccorso, ricambi ed accessori per veicoli a motore” (cfr., pag. 11 della sentenza impugnata).
Sotto altro profilo, poi, la Corte d’appello ha spiegato che la persistente incertezza e la oggettiva delimitazione operata dalle SS.UU. del 2019 in merito alla natura pubblicistica dell’ente, aveva potuto giustificare la convinzione degli imputati di non avere operato, nella vicenda in esame, con la qualifica soggettiva presupposto del delitto di peculato.
In tal modo, peraltro, i giudici di merito hanno dato nuovamente e correttamente seguito alla sollecitazione proveniente dalla sentenza di annullamento che, nel vagliare la congruità e la correttezza delle conclusioni cui era pervenuta la sentenza impugnata sul profilo della conoscenza della natura pubblicistica del ruolo rivestito dal COGNOME, aveva evidenziato che “… i ricorren obiettano, non infondatamente, che per risolvere la questione sono dovute intervenire le Sezioni unite nel 2019 (successivamente, di oltre sei anni, rispetto all’ultimo episodio contestato che risale al gennaio 2013) e nell’ambito di un procedimento nel quale Tar e Consiglio di Stato avevano assunto conclusioni opposte proprio in ordine alla natura di RAGIONE_SOCIALE” e che “… per lungo tempo, e anche successivamente ai fatti contestati, nessuno aveva dubitato della natura privata della società (dimostrata dalle modalità – privatistiche – di assunzione del personale e della selezione del personale, dalla ripartizione degli utili e dalla presenza di altre e diverse attività svolte in regime concorrenziale)” stigmatizzando la insufficienza, per superare tali perplessità, del mero richiamo all’approdo delle SS.UU.. del 2019.
La VI Sezione, ancora, aveva segnalato l’errore in cui era caduta la Corte territoriale nell’escludere la rilevanza dell’eventuale errore in ordine alla natura dell’ente Aci Global e alla correlata qualificazione soggettiva del COGNOME, evidenziando la necessità di evitare di confondere il dolo eventuale (sostrato soggettivo idoneo a fondare la responsabilità per il delitto di peculato) rispetto ad una situazione di dubbio irrisolto che “non è sinonimo di dolo eventuale, perché compatibile con la colpa aggravata dalla previsione dell’evento. Per sostenere l’esistenza anche solo del dolo eventuale, occorre dimostrare che il dubbio sia alle spalle, perché superato dalla consapevolezza che il reato è in itinere; né il dolo eventuale coincide, come acutamente si osserva in dottrina, con l’eventualità del dolo” (cfr., ancora, dalla motivazione della sentenza rescindente).
E’ dunque ancorando tale giudizio ai persistenti aspetti di incertezza sulla qualificazione dell’ente, nemmeno definitivamente risolti dalle SS.UU. civili del 2019, che la Corte d’appello, con argomentazione non censurabile sul piano logico e giuridico, ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’errore in ordine alla natura d RAGIONE_SOCIALE ed alla relativa qualificazione soggettiva del COGNOME “fondata sulla ignoranza inevitabile, perché avallata dalla diffusa convinzione della natura privatistica della società, sostenuta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE ed autorevolmente affermata, anni dopo, anche in sede giurisdizionale dal TAR Lazio, a conferma dell’esistenza di una obiettiva incertezza in ordine all’attribuzione della qualifica pubblicistica delle società partecipate dall’RAGIONE_SOCIALE, convinzione coltivata anche all’interno di RAGIONE_SOCIALE che sosteneva la tesi della natura privatistica della società anche in sede giudiziale, sé . da non potersi ritenere esigibile la consapevolezza di COGNOME di disporre di denaro pubblico e di agire quale incaricato di pubblico servizio, e tanto meno tale consapevolezza poteva ritenersi esigibile da COGNOME” (cfr., pag. 13 della sentenza impugnata).
Il profilo soggettivo dell’errore sulla qualifica è stato oggetto di ampia trattazione nel ricorso avendo la difesa prodotto una serie di elementi documentali diretti a contrastare la ricostruzione della Corte d’appello e a dimostrare come, sia per quanto riguarda il COGNOME che per l’extraneus COGNOME, non fosse in alcun modo possibile ipotizzare anche il mero dubbio sull’attività dell’ente e sulla qualifica del soggetto intraneo.
A tal fine, anzi, la difesa delle società ha corredato l’atto di impugnazione di una compendiosa e nutrita documentazione che, tuttavia, non può trovare ingresso in questa sede.
La questione della natura dell’ente come, anche, della qualificazione del COGNOME e, infine, lo stesso profilo dell’errore rilevante ai sensi dell’art. 47 c pen. erano state tematiche affrontate nel giudizio di legittimità ed ampiamente trattate nella sentenza di annullamento: era pertanto ineluttabile che, proprio alla luce delle considerazioni contenute nella sentenza rescindente, il giudizio rescissorio si sarebbe sviluppato anche su questo specifico versante e su questi temi.
La documentazione allegata al ricorso, dunque, avrebbe dovuto essere prodotta nel corso dei giudizio rescissorio consentendone, in quella sede, un apprezzamento “di merito” e nel pieno contraddittorio delle parti; nel giudizio di legittimità, invece, possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle
prove GLYPH già GLYPH raccolte GLYPH e GLYPH valutate GLYPH dai GLYPH giudici GLYPH di GLYPH merito GLYPH (cfr., Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 277609 GLYPH – GLYPH 01: GLYPH conf., Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, GLYPH COGNOME, RAGIONE_SOCIALE Rv. 266390 GLYPH 01; Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 257541 – 01).
Tale principio è stato applicato anche alle sentenze irrevocabili rese in procedimenti diversi, con la precisazione per cui l’allegazione è nel caso di specie mirata a dimostrare proprio l’esistenza di siffatte decisioni che, per la loro stessa adozione ed il loro tenore, avrebbero dovuto, in tesi, sgombrare ogni dubbio sulla rilevanza pubblicistica dell’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE e dalle sue controllate; in altri termini, le sentenze cui fa riferimento la difesa nel ricorso (cfr., ad esempio quella aliegata sub 3) sono allegate come elementi “di fatto” e, come tali, andavano “spese” nel giudizio di merito.
In tali casi si è chiarito che, come per gli altri documenti, nel giudizio di cassazione è consentita l’acquisizione di sentenze di merito irrevocabili, che la parte non abbia potuto produrre in precedenza, al solo fine di valutare la configurabilità del delitto di associazione per delinquere, contestato a taluno dei ricorrenti, sotto il profilo della sussistenza del numero minimo di associati (cfr., Sez. 4, n. 37650 del 03/07/2024, COGNOME, Rv. 286955 01; Sez. 6, n. 3702 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254766 – 01).
Evidentemente non consentite, in questa sede, sono le ulteriori produzioni quali le delibere della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (cfr., doc. all. sub 4), la delibera del 22/11/2007 (cfr., doc. all. sub 5) ma, anche, il parere che sarebbe stato redatto dal COGNOME (cfr., doc. all. sub 10) e la mai! del 04/09/2007 (cfr., ancora, doc. all. sub 11).
Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna delle società ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 26/02/2025