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Incapacità di intendere e volere: va accertata?

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, stabilendo un principio cruciale: prima di qualsiasi valutazione sul merito del reato, il giudice ha l’obbligo di accertare e motivare adeguatamente sulla presunta incapacità di intendere e di volere dell’imputato. Nel caso di specie, un imputato per rissa aveva sollevato dubbi sulla sua capacità mentale, ma la Corte d’Appello aveva omesso di disporre i necessari approfondimenti, vizio che ha portato all’annullamento della decisione.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Incapacità di intendere e volere: un dovere di accertamento per il Giudice

La valutazione della incapacità di intendere e di volere di un imputato non è un mero dettaglio procedurale, ma un accertamento fondamentale che precede qualsiasi giudizio di merito, inclusa la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Con la sentenza n. 34063/2024, la Corte di Cassazione ribadisce con forza questo principio, annullando una decisione di merito proprio per la mancata motivazione su questo aspetto cruciale.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Foggia nei confronti di un individuo per il reato di rissa, commesso in concorso con altre persone. Successivamente, la Corte di Appello di Bari, in riforma della prima sentenza, proscioglieva l’imputato e gli altri coimputati applicando la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

Contro questa decisione, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, sollevando due questioni principali:
1. La violazione di legge in relazione alla mancata valutazione della sua incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, supportata da documentazione medica e dalla stessa ammissione della Corte d’Appello che riconosceva ‘condizioni cliniche tali da non essere completamente in grado di discernere la reale dimensione di rilievo penale del proprio agire’.
2. L’erronea applicazione della legge penale riguardo alla configurabilità del reato di rissa e al mancato riconoscimento della legittima difesa, sostenendo che le azioni dell’imputato fossero una reazione a un’aggressione.

L’analisi della legittima difesa e la configurabilità della Rissa

La Cassazione ha respinto il secondo motivo di ricorso. Secondo i giudici di legittimità, la Corte d’Appello aveva correttamente ricostruito la dinamica dei fatti, evidenziando come due gruppi contrapposti si fossero fronteggiati a causa della volontà di uno dei due di introdursi abusivamente nell’abitazione dell’altro. La lite era scoppiata nonostante entrambe le parti avessero avuto la possibilità di avvisare le Forze dell’Ordine. Questo contesto, caratterizzato da una reciproca volontà di offesa, è incompatibile con la configurabilità della legittima difesa. La Corte ha ritenuto che la decisione impugnata avesse adeguatamente motivato perché le azioni degli imputati non potevano essere considerate una reazione necessitata, ma una partecipazione volontaria a una contesa violenta, integrando così tutti gli elementi del delitto di rissa.

L’obbligo di valutare l’incapacità di intendere e di volere

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’accoglimento del primo motivo di ricorso. La Corte ha censurato duramente l’operato della Corte d’Appello per non aver motivato in alcun modo sulla questione della capacità dell’imputato. Nonostante le allegazioni difensive e le stesse ammissioni contenute nella sentenza impugnata, i giudici di secondo grado avevano omesso di disporre i necessari approfondimenti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha affermato un principio procedurale di fondamentale importanza: l’accertamento della capacità processuale e della incapacità di intendere e di volere al momento del fatto è una questione pregiudiziale rispetto a qualsiasi valutazione di merito. Una declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto presuppone che il reato sia stato pienamente accertato in tutti i suoi elementi, soggettivi e oggettivi. Questo include, necessariamente, l’imputabilità del soggetto che lo ha commesso.

Se il giudice di merito riconosce l’esistenza di elementi che mettono in dubbio la capacità dell’imputato, ha il dovere di approfondire la questione, anche d’ufficio. Omettere tale valutazione e procedere a una decisione sul merito, anche se favorevole come un proscioglimento ex art. 131-bis c.p., costituisce un vizio di motivazione che inficia la validità della sentenza. La valutazione sulla capacità dell’imputato è una questione di fatto demandata al giudice di merito, ma il suo giudizio si sottrae al controllo di legittimità solo se è esaurientemente motivato, cosa che nel caso di specie era palesemente mancata.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente al punto relativo alla mancata valutazione della capacità dell’imputato, e ha rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio. Questa decisione riafferma che la tutela dei diritti fondamentali dell’imputato, come quello di partecipare coscientemente al processo e di essere giudicato solo se capace di intendere e volere, non può essere sacrificata sull’altare di soluzioni processuali apparentemente più rapide. L’accertamento dell’imputabilità è un pilastro del processo penale che deve essere verificato con rigore prima di ogni altra valutazione.

Un giudice può prosciogliere un imputato per la particolare tenuità del fatto senza prima verificare la sua eventuale incapacità di intendere e di volere?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’accertamento della capacità di intendere e di volere è pregiudiziale rispetto a qualsiasi decisione di merito, inclusa quella di proscioglimento per particolare tenuità del fatto. Quest’ultima, infatti, presuppone che il reato sia stato accertato in tutti i suoi elementi, compresa l’imputabilità del suo autore.

Quando viene esclusa la legittima difesa nel reato di rissa?
La legittima difesa è incompatibile con il reato di rissa quando emerge una volontà reciproca di offesa tra i partecipanti. Se i soggetti coinvolti, pur avendone la possibilità, non ricorrono all’intervento delle Forze dell’Ordine e scelgono di fronteggiarsi violentemente, si configura una rissa e non una reazione difensiva necessitata.

Cosa comporta la mancata motivazione del giudice sulla capacità mentale dell’imputato?
La totale mancanza di motivazione su un punto sollevato dalla difesa riguardo alla capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisce un vizio della sentenza. Questo vizio porta all’annullamento della decisione da parte della Corte di Cassazione con rinvio ad un altro giudice, che dovrà procedere a un nuovo esame del punto omesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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