Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11977 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11977 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a BENEVENTO il 26/06/1987
inoltre:
COGNOME
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. udito il difensore
L’avv. COGNOME COGNOME Luigi conclude associandosi alle conclusioni del Procuratore, deposita conclusioni e nota spese.
L’avv. COGNOME NOME conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
L’avv. COGNOME NOME conclude chiedendo l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso
E’ presente per la pratica forense il dott. COGNOME NOME COGNOME tess. ord. Avvocati di Benevento nr. 105/2023
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/09/2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento, all’esito del giudizio abbreviato, riteneva NOME COGNOME responsabile del delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 cod. pen., per avere, in concorso con NOME COGNOME mentre si trovava a bordo di un veicolo Smart, esplodendo più colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di NOME COGNOME che si trovava sul veicolo Volkswagen Golf, che precedeva nella sua marcia la Smart, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della p.o., evento non verificatosi per cause indipendente dalla sua volontà, dal momento che uno dei colpi esplosi in direzione dello COGNOME attingeva il veicolo su cui questi viaggiava, forando il portellone del portabagagli e bloccandosi tra le lamiere a soli 13 cm dall’apice dello schienale, non fuoriuscendo soltanto grazie all’intelaiatura metallica a doppia camera della struttura dello schienale del sedile che fungeva da sbarramento (capo a), nonché del delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. 10 e 13 legge 497 del 1974, per avere portato in luogo pubblico la pistola semiautomatica cal. 7,65, marca Beretta, mod. 82 BB, matr. CODICE_FISCALE, legalmente detenuta da NOME COGNOME (capo b), in Ponte (BN) il 28 gennaio 2020; e lo condannava alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione. Seguivano le pene accessorie ex lege e la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.
I fatti venivano così ricostruiti: la sera del 28 gennaio 2020 NOME COGNOME sporgeva denuncia querela nella quale narrava che la notte precedente (tra il 27 ed il 28/01/2020) mentre si trovava, a bordo del suo veicolo Volkswagen Golf, nei pressi dell’impresa RAGIONE_SOCIALE in Ponte (BE), NOME COGNOME e il figlio NOME, amministratori della citata impresa, a bordo di un veicolo Smart condotta dal secondo, lo inseguivano ed esplodevano a suo indirizzo diversi colpi d’arma da fuoco (materialmente esplosi da NOME COGNOME). La p.o. si allontanava, e, allorquando si accorgeva di non essere più seguito, si fermava vicino ad un negozio da parrucchiera e, dopo circa 15 minuti, tornava verso la sede della Sannio Truck; qui veniva fermato da una pattuglia di Carabinieri (in precedenza allertati dal custode dell’impresa, NOME COGNOME che aveva segnalato un veicolo sospetto, indicando alle FF.00. la targa dell’automobile della p.o.) che ispezionavano l’autovettura, senza riscontrare nulla e senza che NOME COGNOME narrasse dell’attentato subito poco prima.
Il denunciante spiegava di avere taciuto sui fatti accaduti perché convinto che i colpi d’arma fossero stati esplosi da una scacciacani; solo la mattina successiva si avvedeva della presenza di un foro nel portellone posteriore del veicolo.
A seguito della denuncia veniva disposto il sequestro probatorio della Volkswagen Golf della p.o., e gli accertamenti tecnici effettuati sulla stessa consentivano di acclarare la presenza di un foro in entrata nella parte posteriore dell’auto in corrispondenza del vano portabagagli, certamente causata da un’arma da fuoco; si accertava che il proiettile era entrato all’interno dell’abitacolo dalla parte posteriore dell’autovettura, arrestando la corsa nello schienale del sedile posteriore lato destro; in particolare il proiettile rimaneva incastrato nell’intercapedine dei due strati di lamiera e si bloccava a soli 13 cm di distanza dall’apice dello schienale, non fuoriuscendo dall’altro lato solo grazie all’intelaiatura metallica a doppia camera della struttura dello schienale del sedile e alla robusta struttura metallica dello schienale stesso.
Veniva anche eseguita una perquisizione a casa di NOME COGNOME, che portava al sequestro di una pistola semiautomatica cal. 7,65, marca Beretta, mod. 82 BB, nnatr. CODICE_FISCALE, legalmente detenuta da NOME COGNOME, di n. 44 cartucce dello stesso calibro (6 in meno rispetto a quelle regolarmente denunciate), ed un fucile; il consulente balistico nominato dal P.M., esaminata l’ogiva sequestrata all’interno del veicolo attinto dal colpo d’arma da fuoco unitamente alle cartucce sequestrate presso l’abitazione di NOME COGNOME riteneva che «l’esame del forame presente sul lamierato dell’autovettura della vittima consente di affermare che a cagionarlo sia stato il proiettile calibro 7,65 mm esploso dalla pistola marca P. Berretta mod. TARGA_VEICOLO matr. TARGA_VEICOLO caduta in sequestro».
Nel corso delle indagini veniva sentito il custode dell’impresa NOME COGNOME il quale riferiva che, verso 1’i di notte del 28 gennaio 2020, un giovane a lui sconosciuto, a bordo di una Volkswagen Golf, era giunto nei pressi del cancello della società, ed aveva iniziato a lampeggiare ripetutamente; all’arrivo del custode, il giovane lo aveva minacciato profferendo la seguente frase «stanotte faccio arravotare…appiccio a te cu tutti i camion», e poi si era allontanato. COGNOME, che dichiarava di avere esploso due colpi in aria con la pistola a salve (effettivamente sequestrata presso la sede della ditta), aveva avvertito il titolare, NOME COGNOME che dopo poco giungeva in loco a bordo di una Smart; giungeva anche il figlio NOME, a bordo di una diversa vettura, che, unitamente a padre, attendeva l’arrivo dei Carabinieri nel frattempo allertati.
Dopo avere evidenziato le discrasie risultanti dalle versioni dei fatti rispettivamente rese dal denunciante e da NOME COGNOME il primo Giudice concludeva che le valutazioni effettuate dal consulente tecnico balistico del P.M. confortassero la versione dei fatti resa dal denunciante, senza trovare seria smentita nelle conclusioni del consulente tecnico della Difesa, dal momento che questi aveva condotto la sua analisi esclusivamente sui documenti di causa (mentre il CT del P.M.
aveva avuto a disposizione le vetture, ed in generale tutti i reperti, compresa l’arma, sequestrati).
Pur evidenziando una certa opacità nel comportamento della p.o., la cui presenza la notte dei fatti nei pressi dell’azienda RAGIONE_SOCIALE non è stata del tutto chiarita, cionondimeno il primo Giudice riteneva non potersi pervenire ad un giudizio di inattendibilità complessiva del suo narrato.
Ritenuta quindi corretta la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo a) quale tentato omicidio, il Giudice perveniva alle statuizioni di condanna in premessa riportate.
GLYPH A seguito dell’impugnazione proposta nell’interesse dell’imputato, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto NOME COGNOME dai reati ascrittigli per non avere commesso il fatto.
La Corte territoriale ha in particolare ritenuto che il compendio probatorio posto a fondamento della decisione di primo grado fosse insufficiente e non consentisse di superare il ragionevole dubbio in ordine alla responsabilità di NOME COGNOME in ordine ai reati ascrittigli; dopo aver evidenziato come la responsabilità dell’imputato si fondasse essenzialmente sulle dichiarazioni della persona offesa (unico ad averlo collocato all’interno del veicolo del padre, quando, secondo la p.o., furono esplosi i colpi d’arma da fuoco), i Giudici d’appello conducevano una approfondita analisi delle stesse pervenendo ad una motivato giudizio di inattendibilità.
La Corte evidenziava in particolare come sin dalle modalità e circostanze di presentazione della denuncia della p.o. emergessero due vistose anomalie: la prima temporale, stante la distanza cronologica tra l’avverarsi dei fatti come denunciati e la formalizzazione della denuncia, ad oltre 24 ore dagli stessi; la seconda strutturale, dal momento che NOME COGNOME si determinava a sporgere denuncia solo dopo un casuale incontro con una pattuglia dei Carabinieri, la sera dopo i fatti.
Ulteriori vistose anomalie venivano individuate dai giudici d’appello nel contenuto della denuncia, a partire dall’inspiegabile comportamento della p.o., allorquando, fermato per un controllo la notte dei fatti da una pattuglia dei carabinieri a circa 200 m dalla sede della ditta, ometteva di riferire il gravissimo attentato da poco subito, mostrandosi ai militari «sereno e collaborativo»; osservavano i giudici come la giustificazione fornita da NOME COGNOME per tale vistosa omissione (l’aver creduto che i colpi di arma da fuoco fossero stati sparati da una pistola scacciacani) risultasse inverosimile, dal momento che tale tesi confliggeva con l’acclarata circostanza che uno dei colpi sparati ebbe a colpire il portellone del bagagliaio, perforando la lamiera esterna, attraversando il rivestimento plastico interno del portellone, e raggiungendo lo schienale del sedile posteriore lato destro, ove forava uno strato della moquette che ricopriva il sottostrato di lamiera all’interno dello schienale, rimanendo incastrato
nell’intercapedine tra i due strati di lamiera. Osservavano i giudici come «il forte e peculiare rumore prodotto dall’impatto del proiettile contro la lamiera e poi all’interno della schienale non potevano non essere percepito dallo COGNOME», anche in considerazione delle circostanze di totale silenzio e di assenza di traffico in cui il fatto si era realizzato. Del tutto inverosimile risultava poi la circostanza che al momento del controllo né il denunciante né i Carabinieri, che pure erano ivi giunti con lampeggianti accesi in zona illuminata da illuminazione pubblica e che avevano operato il controllo del vano bagagli con ausilio di una torcia, si fossero avveduti della presenza di un foro di proiettile nel portellone dell’autovettura del denunciante.
Ancora i giudici rilevavano l’anomalia del comportamento della persona offesa che, come dallo stesso dichiarato, dopo l’inseguimento e l’esplosione dei colpi d’arma, anziché recarsi in salvo a casa sostava per lungo tempo (15 minuti) «nell’autovettura nota ai suoi inseguitori, in mezzo alla strada, con l’elevatissimo rischio di essere nuovamente intercettato e colpito»; ed ancora «dopo questa irragionevole scelta lo COGNOME Gianni pone in essere un ulteriore comportamento illogico, ossia quello di recarsi nuovamente nel luogo in cui era maggiormente probabile incontrare nuovamente i suoi aggressori, ossia la sede della ditta di cui gli stessi erano titolari».
Rilevava ancora la Corte l’imprecisione che aveva caratterizzato la descrizione dei fatti offerta dal denunciante, il quale aveva affermato di non sapere indicare la zona ove la sparatoria era avvenuta, escludendo tuttavia che fosse accaduta nella strada nei pressi del campo sportivo, indicata invece dal CT del PM come unico luogo compatibile con la dinamica illustrata dalla vittima.
Dopo avere evidenziato le numerose incongruenze traibili dal racconto della p.o., i Giudici della Corte partenopea analizzavano le dichiarazioni di NOME COGNOME, custode della Sannio Truck, ritenute maggiormente credibili rispetto alle dichiarazioni della p.o., in quanto provenienti da soggetto terzo, ed essendo dette dichiarazioni riscontrate dall’esame dei tabulati telefonici.
Quanto alle ulteriori emergenze, osservavano i Giudici come né l’Ass. NOME COGNOME né NOME COGNOME avessero riferito in ordine alla presenza di NOME COGNOME a bordo della vettura Smart del padre NOME NOME; rilevavano quindi come la ricostruzione operata dal primo Giudice (per cui gli spari sarebbero stati esplosi in un orario compreso tra le 00.47 e l’arrivo dei carabinieri) non fosse condivisibile, apparendo «inverosimile e incoerente l’ipotesi secondo cui lo COGNOME NOME NOME si sarebbe posto all’inseguimento dello COGNOME NOME, armato di pistola, dopo aver chiesto personalmente l’intervento dei Carabinieri», essendo invece ragionevole ritenere che gli spari uditi dopo la mezzanotte dalla moglie e figlia dell’Ass. NOME fossero quelli esplosi con la scacciacani del Lauto, come dallo stesso riferito.
Secondo i giudici d’appello, in conclusione, l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa comprometteva l’unico elemento di prova emerso a carico di NOME COGNOME, non essendo emersi altri elementi concreti tali da consentire di affermare che lo stesso si trovasse a bordo della Smart del padre nei momenti in cui sarebbero stati sparati i colpi di arma da fuoco; pervenivano quindi ad un giudizio assolutorio di NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen. per non avere commesso il fatto.
COGNOME Ricorre il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Napoli che solleva un unico articolato motivo con il quale deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Osserva il Procuratore ricorrente come l’impugnata sentenza sia viziata da illogicità manifesta determinata da omessa motivazione in relazione ad elementi decisivi ai fini della compiuta ricostruzione della vicenda processuale.
Si sottolinea innanzitutto la contraddittorietà insita nell’impugnata sentenza, che da un lato ha svolto l’intero inter argomentativo volto ad avvalorare l’insussistenza del fatto, pervenendo poi, in modo contraddittorio, ad una assoluzione dell’imputato con la formula “per non avere commesso il fatto”.
La Corte ha tuttavia del tutto pretermesso l’analisi di elementi decisivi ai fini sia della ricostruzione dei fatti, sia dell’individuazione del responsabili, rappresentati da plurimi elementi (la circostanza che l’auto della vittima sia stata effettivamente attinta da un colpo d’arma da fuoco; che lo stesso sia risultato essere stato esploso dall’arma legalmente detenuta dal coimputato NOME COGNOME; che quest’ultimo detenesse un numero di cartucce inferiore a quelle denunciate; che il CT balistico del PM avesse ritenuto la ricostruzione dei fatti offerta dalla vittima, perfettamente compatibili con gli esiti degli accertamenti).
La Corte territoriale ha del tutto omesso di confrontarsi con tali elementi, essendosi esclusivamente soffermata sulla valutazione delle prove dichiarative relative ai movimenti dei soggetti interessati, concludendo per la piena attendibilità della ricostruzione fornita dagli imputati e dal teste COGNOME per l’irrilevanza delle ulteriori fonti dichiarative, e per la inattendibilità della p.o.; per fare ciò la Corte ha, invertendo l’ordine logico del ragionamento, stravolto il corretto iter argomentativo che avrebbe dovuto partire non già dalle versioni dei fatti rese dagli interessati, quanto dalle prove della cd “generica” e dalle prove scientifiche. Tale prioritaria analisi avrebbe condotto alla conclusione che il racconto della vittima, in ordine alla dinamica dei fatti ed ai protagonisti dell’azione, risulta riscontrato dagli elementi estrinseci provati.
D’altronde, sottolinea ancora il PG ricorrente, gli imputati non hanno fornito spiegazione alcuna sul come la pistola di NOME COGNOME avesse potuto sparare
contro
la macchina della p.o., e come mai dall’abitazione del coimputato mancassero proprio 6 cartucce.
Contrariamente a quanto opinato dal Giudice d’appello, inoltre, le testimonianze degli unici testi veramente estranei, ovvero l’ass. c. della polizia di Stato NOME COGNOME e NOME COGNOME avvalorano la ricostruzione della p.o., avendo il primo udito (insieme alla figlia) l’esplosione di più colpi d’arma da fuoco la notte dei fatti; il secondo smentendo la versione degli imputati e del Lauto in ordine ai movimenti degli imputati stessi.
Anche la’ corretta analisi dei tabulati telefonici fornisce una conferma alla versione dei fatti resa dalla p.o..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto dalla parte pubblica è inammissibile in quanto fondato’ su motivi generici, aspecifici, e volti a sollecitare a questa Corte una rivisitazione in fatto, non consentita.
Giova ricordare come il Supremo Collegio abbia affermato che il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna operato dal giudice di appello, pur in assenza di rinnovazione della istruzione dibattimentale, sia perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all’art. 533 cod. proc. pen. Questa Corte ha poi da lungo tempo anche chiarito che, quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado siano concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente, andando a formare un corpo argomentativo di carattere unitario; laddove invece – in ragione di difformi apprezzamenti, o per l’apporto critico delle parti, ovvero in conseguenza di nuove acquisizioni probatorie, il Giudice di appello giunga a conclusioni diverse, rispetto a quelle alle quali è pervenuto il Giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle mere notazioni critiche espressive di dissenso, quasi componendo un ideale montaggio di valutazioni fra loro dissonanti. Occorre, invece, che il Giudice di secondo grado proceda ad un nuovo e autonomo esame del materiale probatorio vagliato dal Giudice di primo grado, considerando quanto eventualmente sfuggito alla sua delibazione e comparandolo con quello ulteriormente acquisito, per offrire – in relazione alle parti della prima sentenza non condivise – una nuova e compiuta struttura motivazionale, atta a dare ragione del difforme epilogo (S.U. n. 6682 del 04/02/1992, Rv. 191229).
Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi, essendosi chiarito che – in caso di totale riforma della decisione di primo grado – il Giudice dell’appello ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio ragionamento di confutare specificamente i più rilevanti argomenti che possano trarsi dalla motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (S.U. n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679; si veda, da ultimo, Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281404, a mente della quale: «Il giudice d’appello, in caso di riforma, in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte»).
GLYPH Ebbene, la Corte di appello di Napoli ha fatto buon governo dei suindicati principi, avendo invero reso una motivazione ampia ed esaustiva, oltre che immune da vizi logici di qualsivoglia genere: la Corte ha infatti ripercorso analiticamente tutte le risultanze, non sottraendosi ad analizzare, approfonditamente, le ragioni sottese alla pronuncia di primo grado, fornendo una motivazione rafforzata a sostegno delle conclusioni difformi assunte.
Le censure mosse dalla parte pubblica si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici dell’appello, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione, la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da · preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
Va ricordato come il compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano
esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Ciò premesso, il Procuratore generale nel suo ricorso si duole che la Corte territoriale abbia pretermesso nella sua valutazione elementi decisivi, quali l’effettivo danneggiamento ad opera di un colpo d’arma da fuoco del veicolo della p.o., l’analisi della CT balistica, il sequestro dell’arma a carico di NOME COGNOME ed il rinvenimento in suo possesso di un numero di cartucce inferiore a quelle denunciate.
Va innanzitutto evidenziato come, con riferimento alla pretermissione della CT balistica, il ricorso si appalesi non autosufficiente, non avendo il ricorrente allegato una copia.
Si è, infatti, chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 – dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
Il ricorso omette inoltre di evidenziare la decisività degli elementi di prova che la Corte d’appello avrebbe pretermesso di valutare.
Merita di essere chiarito, sul punto, come il discorso giustificativo condotto dalla Corte di appello abbia correttamente portato i Giudici ad una pronuncia assolutoria “per non avere commesso il fatto” di NOME COGNOME: in altri termini, si è ritenuto che, stante l’inattendibilità della persona offesa, non vi fosse prova che NOME COGNOME si trovasse a bordo del veicolo dal quale, secondo la persona offesa stessa, erano stati esplosi i colpi d’arma da fuoco.
Nell’economia del discorso giustificativo posto dalla Corte territoriale alla base della sentenza assolutoria, la circostanza che il veicolo della persona offesa recasse i segni di colpi d’arma da fuoco, come acclarato dalla consulenza tecnico balistica effettuata dal consulente del pubblico ministero, si manifesta irrilevante dal momento che la valutazione operata dai giudici atteneva alla sola posizione di NOME COGNOME la cui presenza a bordo del veicolo, da cui asseritamente sarebbero stati esplosi i colpi d’arma da fuoco, è stata ritenuta non provata.
Del pari irrilevante, per gli stessi motivi sopra specificati, è la mancata valutazione da parte della Corte d’appello in ordine al sequestro dell’arma a carico di NOME COGNOME la cui posizione non veniva valutata.
Quanto alle doglianze avanzate dalla parte pubblica in relazione alla maggior attendibilità delle dichiarazioni rese dalla p.o. rispetto alle dichiarazioni rese da
NOME COGNOME nonché in ordine all’asserito riscontro delle stesse da parte delle emergenze derivanti dalle dichiarazioni dei testi Ass. NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che dei tabulati telefonici, le stesse, oltre che non autosufficienti (dal momento che tutti gli atti richiamati in ricorso non risultano allo stesso allegati) risultano tutte versate in fatto, ed offrono una rilettura, non consentita, delle risultanze probatorie: il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nella narrativa che precede – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità. Questa Corte non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, né la contraddittorietà della motivazione, né l’illogicità manifesta, che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione. Per vero i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal Procuratore ricorrente, benché prospettati come vizi della motivazione e del travisamento dei fatti, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito.
Il ricorso GLYPH infine pecca poi di aspecificità, omettendo di confrontarsi con l’approfondita analisi condotta dai Giudici di appello con riferimento alle osservazioni condotte dalla Corte d’appello circa le evidenti anomalie ed incongruenze del comportamento della p.o., per come dallo stesso descritte, oltre che con, riferimento al mancato riscontro di un foro d’arma da fuoco sulla carrozzeria da parte dei Carabinieri intervenuti la notte del fatto, che ebbero a controllare la vettura della p.o..
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso avanzato dalla parte pubblica, consegue che non deve darsi corso alla condanna dell’imputato, in quanto non soccombente, alle spese sostenute dalla parte civile che ha depositato nota spesa.