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Inappellabilità sentenze: quando non si può ricorrere

Un uomo condannato per possesso di arnesi da scasso a una pena detentiva, sostituita con una multa, ha visto il suo appello respinto. La Corte di Cassazione ha confermato il principio dell’inappellabilità delle sentenze quando la sanzione concretamente applicata è solo pecuniaria, indipendentemente dalla pena prevista in astratto dalla legge. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale in materia di impugnazioni penali.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inappellabilità sentenze: la Cassazione fa chiarezza sulla pena sostitutiva

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale della procedura penale: l’inappellabilità delle sentenze di condanna a pene pecuniarie. La decisione chiarisce che, ai fini dell’impugnazione, conta la pena concretamente applicata dal giudice e non quella prevista in astratto dalla norma. Questo principio ha importanti conseguenze pratiche, soprattutto quando una pena detentiva viene sostituita con una multa.

Il caso: dalla condanna per possesso di arnesi da scasso al ricorso in Cassazione

Il Tribunale, all’esito di un giudizio abbreviato, condannava un imputato alla pena di quattro mesi di arresto per il reato di cui all’art. 707 del codice penale (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli). La pena detentiva veniva immediatamente sostituita, ai sensi della normativa vigente, con la pena pecuniaria di 1.200 euro di ammenda.

L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello, ma l’impugnazione veniva trasmessa direttamente alla Corte di Cassazione. Il motivo? L’art. 593, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce che sono inappellabili le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda. L’appello si trasformava così in un ricorso per Cassazione.

I motivi del ricorso erano diversi:
1. Responsabilità: L’imputato sosteneva di essere solo un passeggero sull’auto in cui erano stati trovati gli arnesi da scasso.
2. Elementi del reato: Contestava la sussistenza di un presupposto del reato, ovvero una precedente condanna per delitti contro il patrimonio, poiché il suo unico precedente era per violazione della legge sugli stupefacenti.
3. Mancata applicazione della non punibilità: Lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
4. Circostanze attenuanti: Contestava il diniego delle attenuanti generiche.

L’interpretazione della Cassazione sulla inappellabilità delle sentenze

Il cuore della pronuncia della Suprema Corte risiede nell’interpretazione dell’art. 593, comma 3, c.p.p. La Corte ha ribadito e consolidato l’orientamento secondo cui il principio di inappellabilità delle sentenze si applica a tutte le condanne in cui la sanzione finale inflitta sia unicamente pecuniaria, anche qualora questa sia il risultato della sostituzione di una pena detentiva.

Esistevano due orientamenti giurisprudenziali:
* Un primo orientamento, ormai superato, riteneva che l’appello fosse ammissibile se la pena pecuniaria derivava dalla sostituzione di una pena detentiva. La logica era tutelare l’imputato dal rischio che, in caso di mancato pagamento, la pena potesse essere riconvertita in una sanzione limitativa della libertà personale.
* Il secondo orientamento, prevalente e confermato, si basa su un’interpretazione letterale della norma. La legge parla di pena “applicata”, non di pena “prevista”. Ciò che conta è il risultato finale della decisione del giudice. Se la sentenza condanna, in concreto, al solo pagamento di un’ammenda, essa non è appellabile, a prescindere dal percorso sanzionatorio che ha portato a tale esito. La recente “Riforma Cartabia” ha ulteriormente rafforzato questa lettura.

Analisi degli altri motivi di ricorso

Oltre alla questione principale sull’ammissibilità, la Cassazione ha esaminato e respinto tutti i motivi di ricorso nel merito:
* Responsabilità: Il motivo è stato giudicato generico perché non si confrontava con la motivazione del Tribunale, che aveva accertato la proprietà dell’auto in capo all’imputato, fondando su questo la sua disponibilità degli arnesi.
* Precedente penale: Il ricorso è stato ritenuto infondato. La giurisprudenza, incluse le Sezioni Unite, ha chiarito che i reati in materia di stupefacenti rientrano nella categoria dei “delitti determinati da motivi di lucro”, soddisfacendo così il presupposto richiesto dall’art. 707 c.p.
* Attenuanti generiche: Anche questo motivo è stato giudicato generico e infondato, in quanto il giudice di merito aveva adeguatamente motivato il diniego sulla base di un giudizio negativo sulla personalità dell’imputato e sull’assenza di segni di ravvedimento.
* Particolare tenuità del fatto: La Corte ha dichiarato il motivo infondato, sottolineando che la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. deve essere formulata nel giudizio di merito. L’imputato non può dolersi in Cassazione del mancato riconoscimento se non ne ha fatto richiesta in primo grado.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su un’interpretazione rigorosa e testuale dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. La scelta del legislatore di usare il termine “applicata” invece di “prevista” è stata considerata decisiva. Tale interpretazione è coerente con l’intento di deflazionare il carico dei giudizi di appello per i reati di minore gravità, sanzionati in concreto con la sola pena pecuniaria. La Corte ha inoltre evidenziato come le recenti riforme, inclusa la Riforma Cartabia, abbiano confermato questa volontà legislativa, ampliando l’area dell’inappellabilità anche a determinate pene sostitutive non detentive. Il rigetto degli altri motivi si basa sulla loro genericità o manifesta infondatezza, riaffermando principi consolidati in materia di specificità dei motivi di ricorso, di qualificazione dei reati connessi al lucro e di oneri processuali della difesa.

Le conclusioni

La sentenza rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sul piano pratico, questa decisione consolida un principio fondamentale: la strategia difensiva deve tenere conto del fatto che una condanna a pena detentiva, se interamente sostituita con una pena pecuniaria, preclude la via dell’appello. Di conseguenza, tutte le istanze, come quella per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, devono essere diligentemente presentate e argomentate già nel corso del giudizio di primo grado, poiché potrebbe non esserci una seconda occasione per farlo.

Una sentenza di condanna a una pena detentiva, poi sostituita con una multa, è appellabile?
No. Secondo la Corte di Cassazione, ciò che rileva è la pena concretamente “applicata” dal giudice. Se la sanzione finale è solo una pena pecuniaria (come l’ammenda), anche se deriva dalla sostituzione di una pena detentiva (come l’arresto), la sentenza non è appellabile, ma solo ricorribile per Cassazione per motivi di legittimità.

Un precedente per spaccio di stupefacenti è sufficiente per configurare il reato di possesso di arnesi da scasso (art. 707 c.p.)?
Sì. La Corte ha ribadito che il presupposto del reato previsto dall’art. 707 c.p. (precedente condanna per delitti determinati da motivi di lucro) è soddisfatto anche da una condanna per cessione di sostanze stupefacenti, in quanto tale attività è pacificamente considerata finalizzata al profitto.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
No. L’imputato non può lamentare in sede di legittimità il mancato riconoscimento di questa causa di non punibilità se non ne ha fatto specifica richiesta durante il giudizio di merito (ovvero in primo grado). È un onere della difesa presentare tale istanza al giudice che valuta i fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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