Inammissibilità Ricorso Rapina: la Violenza Contro il Genitore Esclude il Furto e la Non Punibilità
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso delicato, stabilendo l’inammissibilità del ricorso per rapina presentato da un imputato e chiarendo la netta linea di demarcazione tra furto e rapina, soprattutto in contesti familiari. La decisione sottolinea come la violenza, anche se esercitata verso un congiunto, qualifichi il reato come rapina e impedisca l’applicazione di speciali cause di non punibilità.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso di un giovane contro la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di rapina commesso ai danni del proprio genitore. La difesa del ricorrente sosteneva due punti principali: in primo luogo, che il fatto dovesse essere qualificato come semplice furto e non come rapina; in secondo luogo, che dovesse essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’articolo 649 del codice penale, che esclude la punibilità per alcuni reati contro il patrimonio commessi a danno di stretti congiunti.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’inammissibilità ricorso rapina
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, dal punto di vista procedurale, i motivi del ricorso sono stati giudicati generici e meramente reiterativi. L’imputato, infatti, si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza muovere una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata. Questa mancanza di specificità, ai sensi dell’art. 591, co. 1, lett. c), del codice di procedura penale, è una causa diretta di inammissibilità dell’impugnazione. Questo aspetto procedurale è fondamentale per comprendere l’inammissibilità del ricorso per rapina.
Le Motivazioni
Entrando nel merito delle questioni sostanziali, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello. La distinzione tra furto e rapina risiede nell’elemento della violenza o minaccia. Nel caso di specie, la sottrazione del bene era stata resa possibile da una “contestualità violenta” ai danni del genitore. È stata proprio questa condotta violenta a qualificare il fatto come rapina, escludendo la possibilità di derubricarlo a furto.
Di conseguenza, è stata rigettata anche la richiesta di applicare l’art. 649 c.p. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la causa di non punibilità per reati contro il patrimonio tra congiunti non si applica quando la condotta criminosa è caratterizzata da violenza alla persona. La norma mira a tutelare i rapporti familiari da controversie puramente patrimoniali, ma questa tutela cede il passo quando il reato lede anche l’integrità fisica o la libertà personale della vittima.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura processuale, è che un ricorso in Cassazione deve essere specifico e argomentato, non una semplice riproposizione di difese già valutate. La seconda, di natura sostanziale, è che la violenza trasforma il furto in rapina e fa venir meno qualsiasi scudo legale legato ai vincoli familiari. La legge non tollera che i legami di sangue possano giustificare o rendere impunite condotte violente, anche se finalizzate a un reato contro il patrimonio.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici e si limitavano a ripetere argomentazioni già discusse e respinte nel precedente grado di giudizio, senza una specifica critica alla sentenza impugnata.
Qual è la differenza tra furto e rapina emersa in questo caso?
La differenza fondamentale risiede nella violenza: il fatto è stato qualificato come rapina perché la sottrazione del bene è avvenuta contestualmente a una condotta violenta ai danni della vittima, il genitore dell’imputato.
Per quale motivo non è stata applicata la causa di non punibilità per i reati tra familiari (art. 649 c.p.)?
La causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p. non è stata applicata perché la condotta dell’imputato è stata violenta. La giurisprudenza è costante nell’affermare che tale beneficio non si estende ai reati contro il patrimonio commessi con violenza alla persona.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26060 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26060 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a TRIGGIANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, ritenuto che entrambi i motivi di ricorso siano generici e meramente reiterativi perché fondati su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici; la mancanza di specificità dei motivi, dalla quale, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), deriva l’inammissibilità, si desume dalla mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione;
osservato, in particolare, la Corte d’appello ha correttamente motivato, sia in relazione alla corretta qualificazione del fatto in termini di rapina piuttosto che di furto (pg.2) evidenziando la contestualità violenta ai danni del genitore che ha consentito la sottrazione del bene, sia in relazione all’inapplicabilità dell’art.649 c.p., a causa della condotta violenta, non parendo meritevole di accoglimento, nemmeno in questa sede, l’orientamento minoritario che ne consente l’applicazione in caso di tentativo (Sez. 2, n. 43066 del 19/09/2023, Rv. 285147 01; Sez. 2, n. 53631 del 17/11/2016, Rv. 268712 – 01);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2024
Il Consigliere Estensore
Il President