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Inammissibilità ricorso: quando un appello è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato contro una condanna per furto aggravato. La decisione si fonda sulla manifesta mancanza di specificità dei motivi di appello, considerati generici e non pertinenti alla sentenza impugnata. L’inammissibilità ricorso ha comportato per il proponente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso: la Cassazione ribadisce i requisiti di specificità

Quando si presenta un ricorso, specialmente di fronte alla Suprema Corte di Cassazione, non è sufficiente lamentare un’ingiustizia. È fondamentale articolare critiche precise e pertinenti. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha confermato questo principio, dichiarando l’inammissibilità ricorso di un imputato e sottolineando le severe conseguenze di un’impugnazione generica. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere i requisiti di ammissibilità e i rischi di un approccio superficiale.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una condanna per furto aggravato, confermata dalla Corte di Appello di una città del Sud Italia. L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo con cui contestava un presunto vizio di motivazione della sentenza di secondo grado.

La decisione della Corte e l’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4677/2024, ha stroncato le speranze del ricorrente, dichiarando il ricorso palesemente inammissibile. I giudici hanno evidenziato come il motivo di appello fosse del tutto privo della necessaria specificità, requisito essenziale per qualsiasi impugnazione.

L’assenza di una critica effettiva

Secondo la Corte, il ricorso si limitava a riportare “assunti del tutto generici e in alcun modo riferibili al caso in esame”. In pratica, il ricorrente non aveva mosso una critica mirata e argomentata contro la logica della sentenza impugnata. Invece di contestare passaggi specifici della motivazione della Corte d’Appello, si era limitato a critiche vaghe, compresa quella sulla mancata applicazione della pena nel minimo. A tal proposito, la Cassazione ha fatto notare che la pena era già stata fissata al minimo di sei mesi, tenendo conto delle circostanze e della riduzione per il rito abbreviato.

Il divieto del semplice rinvio agli atti precedenti

Un altro punto cruciale della decisione riguarda il tentativo del ricorrente di fare un generico rimando alle argomentazioni già presentate nell’atto di appello. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il ricorso per Cassazione non può essere una mera riproposizione di doglianze precedenti. Deve, al contrario, contenere una critica specifica alla decisione di secondo grado, spiegando perché i giudici d’appello avrebbero sbagliato nel respingere i motivi originari.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio cardine della specificità dei motivi di ricorso. Un’impugnazione non è un’occasione per riesaminare l’intero processo, ma uno strumento per contestare errori specifici (di procedura o di diritto) commessi dal giudice precedente. Un ricorso generico, che non si confronta con le ragioni esposte nella sentenza impugnata, elude questa funzione e si traduce in un inutile dispendio di risorse giudiziarie.

Per questo motivo, l’ordinamento prevede una sanzione per chi abusa dello strumento processuale. L’articolo 616 del codice di procedura penale stabilisce che, in caso di inammissibilità, il ricorrente non solo debba pagare le spese del procedimento, ma anche versare una somma alla Cassa delle ammende. Tale sanzione è giustificata dalla “colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione”, come sottolineato dalla Corte. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in tremila euro.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante: la redazione di un ricorso, specialmente in Cassazione, richiede rigore, precisione e una profonda conoscenza dei principi processuali. L’inammissibilità ricorso non è solo un esito processuale negativo, ma comporta anche conseguenze economiche tangibili. Presentare motivi generici, non correlati alla decisione impugnata o che si limitano a ripetere argomenti già respinti, non solo è una strategia destinata al fallimento, ma espone il ricorrente a sanzioni pecuniarie significative. La giustizia richiede argomenti solidi e critiche mirate, non lamentele vaghe.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile se manca dei requisiti di legge, in particolare se i motivi sono generici, non contengono una critica specifica e pertinente alla sentenza impugnata o si limitano a rinviare ad atti precedenti senza argomentare contro la decisione del giudice d’appello.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso inammissibile è condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata determinata in tremila euro.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi già presentati in appello?
No, non è sufficiente. L’ordinanza chiarisce che un generico rimando alle argomentazioni contenute nell’atto di appello è causa di inammissibilità. Il ricorso per Cassazione deve contenere una critica puntuale alla motivazione della sentenza di secondo grado, spiegando perché essa sia errata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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