Inammissibilità Ricorso: Le Conseguenze di un’Impugnazione Infondata
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di inammissibilità ricorso per manifesta infondatezza, un esito che comporta significative conseguenze per chi impugna una sentenza senza motivi validi. Questo principio è fondamentale nel sistema giudiziario per evitare ricorsi dilatori o pretestuosi, garantendo l’efficienza della giustizia. Analizziamo come la Suprema Corte sia giunta a tale conclusione e quali principi abbia applicato.
Il Caso in Esame
Il procedimento nasce dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello di Roma. L’imputato contestava la propria condanna, basando le sue argomentazioni su mere valutazioni di fatto che si contrapponevano agli esiti di un accertamento tecnico. Inoltre, contestava la mancata applicazione dell’ipotesi di reato più lieve prevista dalla normativa sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90), nonostante la quantità di sostanza sequestrata fosse stata stimata in circa 200 dosi ricavabili.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’Inammissibilità Ricorso
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando l’appello inammissibile. La decisione si fonda su una valutazione chiara e netta della manifesta infondatezza dei motivi presentati.
Le motivazioni
I giudici di legittimità hanno innanzitutto sottolineato la congruità della motivazione della sentenza impugnata, che aveva correttamente evidenziato la validità e la prevalenza dell’accertamento tecnico rispetto alle semplici valutazioni di fatto proposte dalla difesa. Un accertamento tecnico, basato su dati oggettivi e scientifici, non può essere superato da mere congetture o interpretazioni alternative prive di supporto probatorio.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto adeguata e ben motivata l’esclusione della fattispecie di lieve entità. La quantità di stupefacente, sufficiente per confezionare circa 200 dosi, è stata considerata un elemento oggettivo incompatibile con il riconoscimento del fatto di lieve entità, che presuppone una minima offensività della condotta.
Di fronte alla palese infondatezza dell’impugnazione, la Corte ha concluso per l’inammissibilità ricorso. A questa declaratoria, conformemente all’art. 616 del codice di procedura penale, conseguono precise sanzioni economiche. Citando una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2000), la Cassazione ha ribadito che, in assenza di prove che dimostrino una proposizione del ricorso senza colpa, il ricorrente è tenuto a sostenere i costi del procedimento e a versare una somma alla Cassa delle ammende.
Le conclusioni
La decisione finale è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui l’accesso alla giustizia non può trasformarsi in un abuso dello strumento processuale. Presentare un ricorso manifestamente infondato non solo non porta al risultato sperato, ma comporta anche rilevanti conseguenze economiche, a titolo di sanzione per aver inutilmente impegnato il sistema giudiziario.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile a causa della sua manifesta infondatezza, in quanto basato su mere valutazioni di fatto che si scontravano con la validità e la prevalenza di un accertamento tecnico.
Perché non è stata applicata l’ipotesi di reato più lieve prevista dall’art. 73 comma 5 del D.P.R. 309/90?
L’applicazione dell’ipotesi lieve è stata esclusa perché la quantità di sostanza stupefacente sequestrata era tale da poter ricavare circa 200 dosi, un quantitativo ritenuto non compatibile con la lieve entità del fatto.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della declaratoria di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale per i ricorsi inammissibili.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12601 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12601 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
GLYPH Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile a fronte di congrua motivazione che evidenzia la validità e prevalenza dell’accertamento tecnico e di mere valutazioni di fatto sviluppate sul punto. Adeguata è anche l’esclusione dell’art. 73 comma 5 DPR 309/90 a fronte di circa 200 dosi ricavabili. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso, stante
la manifesta infondatezza dell’impugnazione.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20.12.2024