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Inammissibilità ricorso: quando i motivi sono generici

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato condannato per falso ideologico. I motivi di appello sono stati ritenuti privi di specificità, in quanto non contenevano una critica puntuale alla sentenza di secondo grado ma si limitavano a riproporre le stesse doglianze o a sollecitare una nuova valutazione dei fatti. La decisione sottolinea l’importanza di formulare ricorsi dettagliati e pertinenti per evitare una declaratoria di inammissibilità e la conseguente condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: La Cassazione ribadisce l’onere di specificità

Presentare un ricorso in Cassazione richiede un’attenzione scrupolosa ai requisiti di legge, primo fra tutti quello della specificità dei motivi. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci offre l’occasione per approfondire le ragioni che portano a una declaratoria di inammissibilità del ricorso e le severe conseguenze per il ricorrente. La decisione in esame evidenzia come la genericità e la mera riproposizione di doglianze già respinte siano vizi insanabili che precludono l’esame nel merito dell’impugnazione.

I fatti del caso e la decisione dei giudici di merito

Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’articolo 483 del codice penale. Dopo la conferma della condanna in secondo grado da parte della Corte d’Appello, sebbene con una riduzione della pena, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi.

L’inammissibilità del ricorso e il vizio di specificità

La Corte di Cassazione ha esaminato i tre motivi di ricorso, dichiarandoli tutti inammissibili per un difetto comune: la mancanza di specificità. Vediamoli nel dettaglio:

1. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.): Il ricorrente si doleva del fatto che i giudici non avessero ritenuto il reato di lieve entità. Tuttavia, la Cassazione ha rilevato che il motivo era generico e non conteneva una critica effettiva alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale aveva chiaramente spiegato perché, considerate le conseguenze della contraffazione, il fatto non potesse essere considerato “tenue”.

2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Anche in questo caso, il ricorso è stato giudicato privo di specificità. L’imputato si limitava a insistere sulla propria incensuratezza, senza confrontarsi con la motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva spiegato che l’assenza di precedenti penali non è di per sé decisiva e che dal comportamento processuale dell’imputato non emergevano elementi positivi tali da giustificare una riduzione di pena.

3. Errata determinazione della pena: Il terzo motivo è stato parimenti respinto in quanto basato su affermazioni assertive e finalizzato a ottenere una nuova valutazione del merito, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato che i giudici d’appello avevano già parzialmente accolto le richieste della difesa, riducendo la pena inflitta in primo grado e fornendo una motivazione adeguata a sostegno della loro decisione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. I motivi devono essere specifici, ovvero devono contenere una critica puntuale e argomentata contro le specifiche ragioni giuridiche esposte nella sentenza impugnata. Limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte o a contestare genericamente la correttezza della decisione, senza un confronto serrato con la sua motivazione, equivale a non assolvere l’onere di specificità imposto dalla legge.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

La decisione in commento ha importanti implicazioni pratiche. La declaratoria di inammissibilità non solo impedisce l’esame del ricorso, ma comporta anche, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, ravvisando una colpa nell’aver proposto un’impugnazione palesemente inammissibile, la Corte ha condannato il ricorrente al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questo provvedimento serve da monito: l’impugnazione è un diritto da esercitare con serietà e competenza tecnica, non un tentativo di prolungare i tempi del processo con argomenti generici e non pertinenti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano privi della necessaria specificità. Non contenevano una critica puntuale e argomentata contro le ragioni della sentenza impugnata, ma si limitavano a riproporre doglianze già respinte o a chiedere una nuova valutazione dei fatti, non consentita in Cassazione.

L’assenza di precedenti penali è sufficiente per ottenere le circostanze attenuanti generiche?
No. Secondo quanto emerge dalla decisione, l’incensuratezza di per sé non è un elemento decisivo per la concessione delle attenuanti generiche, soprattutto se non sono presenti altri elementi positivi desumibili, ad esempio, dal comportamento processuale dell’imputato.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, qualora la Corte ravvisi una colpa nella proposizione del ricorso, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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