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Inammissibilità ricorso: quando è manifestamente infondato

La Cassazione dichiara l’inammissibilità ricorso di un imputato contro una condanna. I motivi, relativi al calcolo della prescrizione e all’uso di prove, sono stati ritenuti manifestamente infondati. La Corte ha sottolineato che l’errato calcolo dei termini e la mancata dimostrazione della ‘prova di resistenza’ rendono il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso: Le Conseguenze di un Appello Infondato

L’inammissibilità ricorso in Cassazione rappresenta uno degli esiti più severi per chi impugna una sentenza. Non solo impedisce l’analisi nel merito delle proprie ragioni, ma può anche precludere la possibilità di beneficiare di cause di estinzione del reato, come la prescrizione. Una recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione chiarisce i contorni della manifesta infondatezza e le sue conseguenze, offrendo spunti fondamentali sulla diligenza richiesta nella formulazione dei motivi di appello.

I Fatti del Caso in Esame

Il caso analizzato riguarda il ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di condanna della Corte d’Appello di Bologna. L’imputato sollevava due principali motivi di doglianza: il primo relativo all’avvenuta prescrizione del reato e il secondo concernente l’inutilizzabilità di alcuni atti processuali. La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le censure, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza.

I Motivi dell’Inammissibilità Ricorso secondo la Cassazione

La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato per due ragioni distinte, ciascuna legata a un errore specifico commesso dalla difesa nel formulare l’impugnazione.

Il Calcolo Errato della Prescrizione

Il ricorrente sosteneva che il reato, commesso il 15 settembre 2014, si fosse prescritto prima della sentenza d’appello del 7 novembre 2024. Tuttavia, nel suo calcolo, non aveva tenuto conto del periodo di sospensione dei termini processuali di 64 giorni, introdotto dalla legislazione emergenziale per la pandemia (art. 83, d.l. 17 marzo 2020, n. 18). Aggiungendo tale periodo, il termine di prescrizione di dieci anni sarebbe scaduto il 18 novembre 2024, ovvero dopo la pronuncia della sentenza impugnata. Questo errore di calcolo ha reso il motivo di ricorso palesemente privo di fondamento.

La Mancata “Prova di Resistenza”

Il secondo motivo lamentava l’inutilizzabilità del processo verbale di contestazione. Anche in questo caso, la Corte ha rilevato un vizio metodologico. Secondo un consolidato principio giurisprudenziale, quando si contesta l’utilizzo di un elemento di prova a carico, non è sufficiente lamentarne l’illegittimità. È necessario superare la cosiddetta “prova di resistenza”: l’appellante deve dimostrare che l’eliminazione di quella specifica prova avrebbe determinato un esito diverso del processo. Nel caso di specie, il ricorrente non ha fornito tale dimostrazione. Peraltro, la condanna si basava anche su altre prove decisive, come le testimonianze di funzionari della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate e la documentazione relativa al debito tributario.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha ribadito un principio cardine della procedura penale: l’inammissibilità ricorso dovuta a manifesta infondatezza non consente la formazione di un valido rapporto di impugnazione. Di conseguenza, il giudice dell’impugnazione non può rilevare eventuali cause di estinzione del reato, come la prescrizione, che siano maturate successivamente alla data della sentenza impugnata. Poiché il ricorso era viziato da errori evidenti, la Corte non ha potuto far altro che dichiararlo inammissibile, senza poter considerare la prescrizione che sarebbe maturata pochi giorni dopo la decisione d’appello. La condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende è la diretta conseguenza di questa declaratoria, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, quando non si ravvisa un’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre due lezioni cruciali. In primo luogo, evidenzia l’importanza di un calcolo meticoloso e aggiornato dei termini di prescrizione, includendo tutti i periodi di sospensione previsti dalla legge. In secondo luogo, ribadisce la necessità di strutturare i motivi di ricorso in modo rigoroso, specialmente quando si contesta l’utilizzabilità delle prove, fornendo sempre la “prova di resistenza”. Per il cittadino, ciò significa che affidarsi a una difesa tecnica attenta e scrupolosa è fondamentale, poiché un ricorso mal formulato può portare non solo alla conferma di una condanna, ma anche a ulteriori sanzioni economiche, precludendo ogni possibilità di revisione nel merito.

Quando un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è manifestamente infondato, ad esempio se si basa su un calcolo errato della prescrizione o se non soddisfa requisiti procedurali specifici, come la “prova di resistenza” per le censure sulle prove.

Cosa succede se la prescrizione matura dopo la sentenza d’appello ma prima della decisione della Cassazione?
Se il ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, la Corte non può dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata. L’inammissibilità impedisce la formazione di un valido rapporto processuale.

Cos’è la “prova di resistenza” e quando va dimostrata?
La “prova di resistenza” è un onere a carico di chi impugna una sentenza lamentando l’inutilizzabilità di una prova. L’impugnante deve dimostrare che l’eventuale eliminazione di quella prova avrebbe portato a una decisione diversa, in quanto le restanti prove non sarebbero state sufficienti a giustificare la condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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