LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inammissibilità ricorso: quando è manifestamente infondato

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato da un imprenditore condannato per reati fallimentari. I motivi, incentrati sulla quantificazione della pena e sul diniego delle attenuanti generiche, sono stati giudicati generici e volti a un riesame del merito non consentito in sede di legittimità. La decisione sottolinea i requisiti di specificità per un valido ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: Quando l’Appello in Cassazione è Destinato a Fallire

L’ordinamento giuridico prevede diversi gradi di giudizio per garantire il diritto di difesa, ma l’accesso a questi strumenti è regolato da precise norme procedurali. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui un ricorso può essere esaminato, evidenziando il concetto di inammissibilità del ricorso quando questo si rivela generico o manifestamente infondato. Analizziamo una decisione che ha confermato la condanna per reati fallimentari, offrendo spunti cruciali sui requisiti di un ricorso di legittimità.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un soggetto per una serie di reati fallimentari, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Roma. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidando la sua difesa a tre specifici motivi. L’obiettivo era ottenere l’annullamento della sentenza o, in subordine, una riduzione della pena inflitta.

I Motivi del Ricorso

L’imputato ha basato il suo appello su tre censure principali:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla pena: Il ricorrente contestava il modo in cui i giudici di merito avevano quantificato la sanzione, ritenendo che non avessero adeguatamente valutato gli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale.
2. Critiche alla valutazione discrezionale del giudice: Anche questo motivo, strettamente collegato al primo, si concentrava sulla presunta inadeguatezza della pena, proponendo di fatto una valutazione alternativa degli elementi a disposizione del giudice.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: L’ultimo motivo lamentava il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sostenendo che la motivazione della Corte d’Appello fosse incongrua e che vi fossero elementi di fatto meritevoli di un giudizio più favorevole.

La Decisione della Corte e le Motivazioni sull’Inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso e li ha dichiarati tutti inammissibili.

Per quanto riguarda le censure sulla quantificazione della pena, i giudici hanno stabilito che non costituivano una reale critica di legittimità, ma si traducevano in un tentativo di ottenere un nuovo giudizio di merito. La Corte d’Appello aveva dato conto degli elementi considerati preponderanti nell’esercizio del suo potere discrezionale, e il ricorso si limitava a proporre un “alternativo apprezzamento di merito”, attività preclusa in sede di Cassazione.

Anche il terzo motivo, relativo alle attenuanti generiche, è stato giudicato “manifestamente infondato” e privo della necessaria specificità. La Corte ha osservato che il ricorrente non si era confrontato con la motivazione della sentenza impugnata, che aveva già ritenuto generiche le allegazioni difensive. Anziché evidenziare un vizio logico o giuridico nel ragionamento dei giudici d’appello, il ricorso si limitava a negare la congruità della decisione, indicando in modo irrituale elementi di fatto che avrebbero dovuto essere, a suo dire, riconsiderati.

Le Conclusioni

La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. Quest’ultima sanzione è una conseguenza diretta della “colpa” ravvisata nel proporre un’impugnazione palesemente priva di fondamento.

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. È, invece, un controllo di legittimità, finalizzato a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione. I motivi di ricorso devono essere specifici, pertinenti e devono indicare con precisione il vizio della sentenza impugnata, senza limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte o a sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici, non si confrontavano specificamente con la motivazione della sentenza impugnata e miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita alla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito.

Cosa comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso?
Oltre a rendere definitiva la sentenza di condanna, la declaratoria di inammissibilità ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza dell’impugnazione.

È possibile contestare davanti alla Cassazione la quantificazione della pena decisa dal giudice di merito?
Sì, ma solo se si denuncia un vizio di legittimità, come una motivazione inesistente, manifestamente illogica o contraddittoria. Non è possibile, invece, chiedere alla Cassazione di effettuare una nuova e diversa valutazione discrezionale degli elementi di fatto per ottenere una pena più mite, come tentato nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati