Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19863 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
QUARTA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19863 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Motivazione Semplificata
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME nato a VIBO VALENTIA il 23/09/1975, avverso la sentenza emessa il 11/12/2024
dalla Corte di appello di Torino;
letta la sentenza impugnata e il ricorso;
letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa il 26/01/2023, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la decisione emessa il 27/09/2021 dal GUP presso il Tribunale di Torino, all’esito di giudizio abbreviato, rideterminando la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME imputato di varie fattispecie contestate ai sensi dell’art.73, commi 1 e 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, in anni cinque, mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed € 26.000,00 di multa.
La Corte di Cassazione, Sezione Terza, con sentenza n.14950/2024, ha accolto il primo motivo di impugnazione proposto dall’imputato e relativo al vizio di omessa motivazione in ordine alla conferma della condanna per il reato ascritto al capo 30) dell’atto di esercizio dell’azione penale; rilevando come il giudice di appello si sarebbe limitato a confermare l’apparato argomentativo della sentenza di primo grado, senza esaminare le censure difensive specificamente inerenti alla dedotta mancanza di prova della contestata cessione di sostanza stupefacente.
La Corte di appello di Torino, decidendo in sede di rinvio, ha premesso che il capo 30) – oggetto della sentenza rescindente – menzionava tre diverse condotte, in ordine alla prima delle quali, commessa il 03/06/2017, andava pronunciata la dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione.
In ordine ai due rimanenti episodi, ha rilevato che il vulnus motivazionale ravvisato nella sentenza di annullamento non poteva essere colmato, una volta ritenuta insufficiente la prova logica deducibile dagli assidui rapporti tra il COGNOME e NOME COGNOME, acquirente abituale di sostanza stupefacente ceduta dal primo; per l’effetto, ha rideterminato la pena complessivamente inflitta detraendo la sanzione già quantificata – a titolo di continuazione – per il predetto capo dal giudice di primo grado (mesi uno di reclusione ed € 300,00 di multa) giungendo a una pena finale di anni cinque, mesi quattro e giorni venti di reclusione ed € 26.400,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione. Ha dedotto che la perimetrazione del thema decidendum operata dal giudice del rinvio si fondava su una premessa logica non condivisibile, nella parte in cui aveva ritenuto che l’episodio di cessione del 03/06/2017 (dichiarato prescritto) non sarebbe stato oggetto di impugnazione in sede di originario appello, con la conseguenza che – fondandosi la relativa contestazione sui medesimi elementi logici posti a fondamento dell’assoluzione per gli altri due episodi contestati al capo 30) – sussisteva un’evidente prova di innocenza che imponeva l’assoluzione nel merito anche in relazione a tale fatto.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorso Ł inammissibile, in quanto estrinsecamente aspecifico.
Il ricorrente, nell’unico motivo di impugnazione, ha invocato – anche in riferimento allo specifico episodio del 03/06/2017, contestato nell’ambito del primo motivo di impugnazione e comunque ritenuto dalla Corte territoriale come devoluto alla propria cognizione (rimanendo quindi irrilevanti le censure afferenti all’effettivo contenuto dell’atto di appello) – il disposto dell’art.129, comma 2, cod.proc.pen., in base al quale, qualora ricorra una causa di estinzione del reato, il giudice pronuncia comunque sentenza di assoluzione nel merito qualora risulti ‘evidente’ che il fatto non sussiste ovvero non costituisce reato ovvero che l’imputato non lo ha commesso.
Va quindi rilevato che, per giurisprudenza costante di questa Corte, in tema di impugnazioni, l’imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, Ł tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei, ictu oculi, ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, affinchØ possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi così rimedio all’errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice della sentenza impugnata (Sez.U, n.35490 del 28/05/2009, COGNOME, RV. 244274; Sez. 6, n. 33030 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285091; Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275219; Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M., Rv. 274200)..
Nel caso di specie, a fronte di una motivazione resa in sede di giudizio rescissorio e, nell’ambito della quale, si era fatto riferimento a un criterio di sola insufficienza della prova logica (in ordine alle cessioni avvenute nell’agosto e nel novembre 2017) derivante dai rapporti con un acquirente abituale di sostanza stupefacente, il ricorrente si Ł limitato a dedurre l’applicabilità del medesimo criterio anche al fatto ritenuto prescritto, ma senza allegare alcun effettivo elemento idoneo a dimostrare, sulla base dei predetti criteri, l’effettiva insussistenza del fatto.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 15 maggio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME