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Inammissibilità ricorso per spaccio: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. I motivi del ricorso sono stati ritenuti generici e non in grado di contestare efficacemente le logiche motivazioni della Corte d’Appello, che aveva confermato la destinazione allo spaccio sulla base di una pluralità di elementi, come il quantitativo della sostanza e l’assenza di redditi leciti. L’esito è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso per spaccio: la Cassazione conferma la condanna

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’inammissibilità del ricorso per spaccio, fornendo chiari principi sulla corretta formulazione dei motivi di impugnazione e sui criteri utilizzati per accertare la destinazione di sostanze stupefacenti alla vendita. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un imputato, confermando la decisione della Corte d’Appello e condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una sanzione. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. La Corte d’Appello, pur riducendo la pena iniziale attraverso l’eliminazione dell’aumento per la continuazione e riconoscendo le attenuanti generiche, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato. La difesa aveva quindi proposto ricorso per Cassazione, articolando la propria impugnazione su tre motivi principali: l’errata qualificazione del fatto come unico reato, la contestazione della destinazione allo spaccio della sostanza e la critica al trattamento sanzionatorio applicato.

L’analisi della Cassazione e l’inammissibilità ricorso per spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte, ritenendo i motivi presentati dalla difesa affetti da genericità. Esaminiamo punto per punto la valutazione dei giudici:

1. Concorso di reati vs. unico reato: Il primo motivo, con cui si chiedeva l’assoluzione per una parte del quantitativo detenuto, è stato giudicato inammissibile perché non si confrontava adeguatamente con la motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva già escluso il concorso di reati, qualificando il fatto come un’unica condotta di detenzione e, di conseguenza, riducendo la pena. La censura è stata quindi ritenuta del tutto generica.

2. Destinazione allo spaccio: La Suprema Corte ha confermato la logicità del ragionamento seguito dai giudici di merito per accertare la finalità di spaccio. Tale conclusione non era basata su un singolo elemento, ma su una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti, tra cui il dato ponderale (la quantità della sostanza), l’assenza di redditi adeguati a giustificarne il possesso per uso personale, le circostanze di luogo e di tempo del controllo e l’accertata attività di spaccio.

3. Trattamento sanzionatorio: Anche le censure relative alla determinazione della pena sono state considerate generiche. La Corte d’Appello, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, aveva fornito una motivazione congrua, spiegando che gli elementi difensivi erano già stati positivamente valutati attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche. Non vi erano quindi margini per un’ulteriore revisione in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Cassazione si fonda su un principio cardine del processo penale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione. I motivi di ricorso devono essere specifici e puntuali, dialogando criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata. In questo caso, i motivi sono stati giudicati ‘generici’ perché non riuscivano a scalfire la coerenza e la completezza del ragionamento della Corte d’Appello. Di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso ha portato all’applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, che prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce l’importanza di basare l’accertamento della destinazione allo spaccio su una valutazione complessiva di più elementi fattuali. La semplice negazione da parte dell’imputato non è sufficiente se contrastata da un quadro indiziario solido e logicamente argomentato dal giudice di merito. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia sottolinea la necessità di formulare ricorsi per Cassazione che non si limitino a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, ma che individuino specifici vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione della sentenza impugnata. In assenza di tali requisiti, l’esito più probabile è una declaratoria di inammissibilità, con le relative conseguenze economiche per l’assistito.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti ‘generici’, ovvero non si confrontavano in modo specifico e critico con le argomentazioni logiche e ben fondate della sentenza della Corte d’Appello.

Quali elementi sono stati considerati sufficienti per provare la destinazione allo spaccio della droga?
La destinazione allo spaccio è stata provata sulla base di una pluralità di elementi: il dato ponderale (la quantità della sostanza), l’assenza di redditi adeguati dell’imputato, le circostanze di luogo e tempo del controllo e la verificata attività di spaccio.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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