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Inammissibilità ricorso per pena: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per pena ritenuta eccessiva da un imputato condannato per furto aggravato. La Corte ha stabilito che la determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Quando la pena è inferiore alla media edittale, non è necessaria una motivazione dettagliata e il ricorso generico basato sull’art. 133 c.p. è inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso per pena: quando la Cassazione chiude la porta

L’ordinanza in esame offre uno spunto fondamentale per comprendere i limiti del ricorso in Cassazione, in particolare quando l’oggetto della contestazione è l’eccessività della pena. La Suprema Corte ribadisce un principio consolidato: non basta lamentarsi genericamente della sanzione per ottenere una revisione. Analizziamo come si è giunti a una declaratoria di inammissibilità ricorso per pena e quali sono le conseguenze per chi intraprende questa strada senza solide basi giuridiche.

I Fatti del Caso in Analisi

Il caso nasce da un ricorso presentato da un imputato condannato in primo e secondo grado per il reato di furto aggravato, previsto dagli articoli 624 e 625 del codice penale. La Corte d’Appello di Genova, pur confermando la sua responsabilità, aveva ridotto la pena inflitta in precedenza.

Nonostante la riduzione, l’imputato ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, sollevando un unico motivo di ricorso: l’eccessività della pena. La difesa sosteneva che la sanzione fosse sproporzionata, basando la propria censura su un generico richiamo ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale, che elenca i criteri per la determinazione della pena (gravità del danno, intensità del dolo, etc.).

La Decisione della Corte e l’Inammissibilità Ricorso per Pena

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione, ovvero non valuta se la pena fosse giusta o meno, ma si ferma a un livello procedurale. La Corte ha ritenuto che il motivo di ricorso non fosse “utilmente deducibile” in sede di legittimità.

La conseguenza diretta di tale declaratoria, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, è stata duplice: la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in aggiunta, al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Quest’ultima sanzione viene applicata quando l’inammissibilità è evidente, denotando una colpa da parte del ricorrente nel proporre un’impugnazione priva di fondamento.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su principi giurisprudenziali consolidati e chiari. Innanzitutto, ha ricordato che la determinazione della pena, all’interno dei limiti minimo e massimo stabiliti dalla legge (la cosiddetta “forbice edittale”), è un potere squisitamente discrezionale del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il giudice di legittimità, ovvero la Cassazione, non può sostituire la propria valutazione a quella dei gradi precedenti.

Il punto cruciale della motivazione risiede nel concetto di “media edittale”. La giurisprudenza citata dalla Corte stabilisce che, quando il giudice di merito irroga una pena inferiore al punto medio tra il minimo e il massimo, non è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata. Questo perché una tale sanzione è già considerata un esito favorevole per l’imputato. Una motivazione rafforzata è richiesta solo quando ci si discosta notevolmente dal minimo edittale, avvicinandosi o superando la media.

Nel caso di specie, la censura del ricorrente è stata giudicata del tutto priva di specificità. Limitarsi a invocare i criteri dell’art. 133 c.p. senza indicare precisamente quali aspetti il giudice di merito avrebbe trascurato o erroneamente valutato si traduce in una critica astratta e generica, non idonea a superare il vaglio di ammissibilità della Cassazione.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza è un monito importante: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Per contestare l’entità della pena in sede di legittimità, non è sufficiente un generale dissenso. È necessario, invece, individuare un vizio logico manifesto nella motivazione del giudice d’appello o una palese violazione di legge nell’applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.

L’implicazione pratica è chiara: prima di impugnare una sentenza per la sola quantificazione della pena, è fondamentale un’analisi rigorosa della sua collocazione rispetto alla media edittale e della specificità dei motivi di doglianza. Un ricorso generico non solo è destinato all’insuccesso, ma comporta anche il rischio concreto di essere condannati a ulteriori spese e sanzioni pecuniarie, peggiorando la posizione economica del condannato.

È possibile contestare l’ammontare di una pena in Cassazione?
Sì, ma con limiti molto stringenti. Secondo questa ordinanza, la contestazione è inammissibile se si risolve in una critica generica e se la pena inflitta dal giudice di merito è inferiore alla ‘media edittale’, ovvero il punto intermedio tra il minimo e il massimo previsto dalla legge per quel reato.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, se la Corte ravvisa profili di colpa dovuti a una palese infondatezza del ricorso, può condannarlo anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso per un importo di tremila euro.

Perché il giudice non deve fornire una motivazione dettagliata per una pena inferiore alla media edittale?
Perché, secondo la giurisprudenza consolidata, l’applicazione di una pena al di sotto del punto medio tra il minimo e il massimo è già di per sé una valutazione che rientra nel normale esercizio del potere discrezionale del giudice e non necessita di una giustificazione specifica, a meno che non si discosti in modo irragionevole dal minimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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