Inammissibilità ricorso per incendio doloso: la Cassazione conferma la condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. L’ordinanza in esame conferma la condanna per incendio doloso a carico del titolare di un’attività commerciale, dichiarando l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza e natura reiterativa dei motivi. Analizziamo insieme la vicenda e le ragioni della decisione.
I fatti del caso
L’imputato, titolare di una panetteria, era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per aver appiccato un incendio al proprio locale. La Corte di Appello aveva ricostruito i fatti basandosi su una serie di elementi probatori concordanti.
In particolare, era emerso che l’incendio era divampato in piena notte, intorno alle ore 1:45. Un testimone aveva confermato la presenza dell’imputato all’interno del negozio circa quarantacinque minuti prima dell’esplosione. Inoltre, le saracinesche del locale si presentavano chiuse e rigonfie verso l’esterno, un dettaglio cruciale che indicava come le fiamme si fossero propagate dall’interno e non a seguito di un’effrazione.
Un altro elemento considerato altamente significativo dai giudici di merito era la stipula di una polizza assicurativa contro gli incendi, la cui annualità era prossima alla scadenza.
L’inammissibilità ricorso in Cassazione
Di fronte a questo quadro probatorio, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: una presunta violazione di legge nella valutazione delle prove (art. 192 c.p.p.) e l’avvenuta prescrizione del reato prima della sentenza di secondo grado.
La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto categoricamente entrambe le censure, bollando il ricorso come inammissibile. I giudici hanno sottolineato che le argomentazioni difensive non erano altro che una riproposizione di questioni già ampiamente e correttamente esaminate e disattese dalla Corte di Appello. Tentare di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti è un’operazione non consentita in sede di legittimità, il cui compito è limitato al controllo della corretta applicazione del diritto.
Le motivazioni
La Corte ha spiegato in modo chiaro le ragioni della sua decisione. In primo luogo, le censure relative alla valutazione delle prove sono state ritenute infondate perché la Corte di Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente, basata su elementi fattuali precisi: la presenza dell’imputato sul luogo del delitto poco prima dell’evento, le saracinesche intatte ma deformate dall’interno e l’esistenza di una polizza assicurativa prossima alla scadenza. Questi elementi, nel loro complesso, costituivano un quadro indiziario grave, preciso e concordante, sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza.
In secondo luogo, anche il motivo relativo alla prescrizione è stato giudicato manifestamente infondato. La difesa sosteneva che il reato si fosse estinto prima della pronuncia d’appello. La Cassazione, invece, ha verificato che, tenendo conto dei periodi di sospensione del termine, la prescrizione sarebbe maturata solo dopo la data della sentenza di secondo grado. Di conseguenza, al momento della decisione, il reato non era ancora estinto.
Le conclusioni
La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna definitiva dell’imputato. Oltre a rendere irrevocabile la sentenza di condanna, questa decisione comporta per il ricorrente il pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, quantificata in tremila euro. Questo caso evidenzia come il ricorso per Cassazione debba essere fondato su vizi di legittimità concreti e non su un generico dissenso rispetto alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. Un ricorso che si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, senza individuare precise violazioni di legge, è destinato a un inevitabile esito di inammissibilità.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte erano manifestamente infondate e si limitavano a riproporre questioni di fatto già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte di Appello, senza sollevare reali vizi di legittimità.
Quali sono state le prove decisive per la condanna per incendio?
Le prove decisive sono state: la presenza dell’imputato nel locale poco prima dell’incendio, le saracinesche chiuse e deformate dall’interno (indicando un’origine interna e non una forzatura esterna) e l’esistenza di una polizza assicurativa prossima alla scadenza.
Il reato si era prescritto prima della sentenza di secondo grado?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, considerando i periodi di sospensione, il termine massimo di prescrizione non era ancora scaduto al momento della pronuncia della Corte di Appello, rigettando così il motivo di ricorso relativo all’estinzione del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20987 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20987 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/09/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME col primo motivo di ricorso – nel quale il difensore si duole della violazione dell’art. 192, secondo comma, cod. pen. in relazione all’art. 423 cod. pen. – non sono consentite in sede di legittimità, in quanto manifestamente infondate, in fatto e reiterative di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla sentenza impugnata.
Invero, in essa la Corte di appello di Reggio Calabria evidenzia che: – l’esplosione dell’incendio della bottega di panetteria di cui era titolare COGNOME, avvenuta alle ore 1.45 circa, deve essere riconducibile al medesimo, presente all’interno del locale alle ore 1.00 (come da deposizione del teste COGNOME), anche considerato che le saracinesche della medesima si presentavano chiuse e rigonfie verso l’esterno, a dimostrazione di come le stesse non fossero state forzate e di come le fiamme si fossero propagate dall’interno; – gli spostamenti di quella sera dell’imputato non appaiono incompatibili con quanto riferito dal teste; – altamente significativa della responsabilità di COGNOME è la stipula della polizza assicurativa con la società RAGIONE_SOCIALE per quella specifica annualità, prossima peraltro alla scadenza.
Osservato che manifestamente infondato è il rilievo difensivo secondo cui il reato si sarebbe estinto per prescrizione prima della pronuncia di secondo grado, di cui al secondo motivo di ricorso, in quanto il termine massimo di prescrizione, considerate le sospensioni, risulta essere scaduto 11. gennaio 2024 e, quindi, dopo la pronuncia della Corte di appello di Reggio Calabria.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. peri.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.