Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10632 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10632 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVEZZANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/04/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di truffa contrattuale, non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si vedano le pagg. 6-7 della sentenza impugnata ove, con corretti argomenti logici e giuridici, il giudice di appello ritiene sussistente tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. cod. pen.);
considerato che l’ulteriore doglianza oggetto del primo motivo di ricorso, che deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. avendo il giudice di prime cure modificato l’originaria imputazione ad oggetto il delitto di cui all’art. 648-bis cod. pen. ed affermato la penale responsabilità per il delitto di cui all’art. 648 cod. pen., è manifestamente infondata poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità – e correttamente applicati dal giudice di merito – secondo cui «non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell’ipotesi di riqualificazione dell’originaria imputazione di riciclaggio in ricettazione, atteso che il reato di ricettazione si pone quale condotta antecedente “di base” rispetto alla successiva condotta di riciclaggio, sulla cui configurazione, pertanto, l’imputato è in condizione di esplicare tutte le prerogative (Sez. 2, n. 29785 del 29/09/2020, COGNOME, Rv. 279816 – 01);
considerato che il principio della correlazione tra contestazione e sentenza può ritenersi violato unicamente in caso di assoluta e reale difformità tra l’accusa e la statuizione del giudice, nel senso che i fatti devono essere diversi nei loro elementi essenziali, tanto da determinare una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, condizioni sicuramente non ravvisabili nel caso di specie. Pertanto, l’indagine volta ad accertare la eventuale violazione del principio sopra indicato non può esaurirsi nel mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, dal momento che la violazione deve ritenersi insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia trovato nella condizione di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (vedi
in proposito Sez. 6, n. 34051 del 20/02/2003, COGNOME, Rv. 226796 – 01; Sez. 6, n. 50151 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277727 – 01). Applicando tali principi alla fattispecie in esame non vi è dubbio che la sentenza impugnata abbia affermato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente sul fondamento di una ricostruzione dei fatti arricchita e conformata alla stregua degli elementi emersi dagli atti utilizzabili per la decisione (cfr. pag. 7), ma al contempo può affermarsi che tale integrazione non ha comportato alcuna compressione dell’esercizio del diritto di difesa in considerazione del fatto che l’imputazione rubricata enunciava in termini chiari e sufficientemente completi, gli elementi essenziali degli addebiti;
osservato che il secondo motivo di ricorso, che lamenta il vizio di motivazione ed il travisamento della prova in cui sarebbero incorsi i giudici del merito quale risultato di una diversa ricostruzione della vicenda e di un differente giudizio di rilevanza delle prove, è formulato in termini non consentiti; il vizio di “travisamento” deve in realtà riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi non già dal suo “significato” ma dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” come idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione laddove, invece, nel caso di specie, la difesa si limita ad evidenziare che la condotta dell’imputato, come puntualmente ricostruita dalle due sentenze di merito, non sarebbe tale da integrare la fattispecie incriminatrice; in tal modo finisce così per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ravvisare nella ricostruzione della concreta vicenda gli elementi costitutivi propri dei delitti in esame non essendo consentito al giudice di legittimità procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148); Corte di Cassazione – copia non ufficiale che l’inammissibilità del ricorso e l’assenza di censure al riguardo preclude la possibilità di rilevare cause estintive del reato in quanto l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (In
motivazione la Corte ha precisato che l’art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione). (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01)
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.