Inammissibilità Ricorso Penale: L’Analisi della Cassazione sul Furto Consumato
Comprendere i criteri che portano alla dichiarazione di inammissibilità ricorso penale è fondamentale per ogni operatore del diritto e per chiunque sia coinvolto in un procedimento giudiziario. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre spunti preziosi su questo tema, analizzando un caso di furto e chiarendo perché i motivi presentati dall’imputato siano stati giudicati ‘manifestamente infondati’, portando a una condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Questo provvedimento ribadisce principi consolidati sia in materia di diritto sostanziale, come la consumazione del reato di furto, sia in ambito processuale.
I Fatti di Causa: Dal Furto alla Sentenza d’Appello
Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello che, riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva dichiarato estinto per prescrizione un reato minore, ma confermato la responsabilità dell’imputato per il delitto di furto, come previsto dall’art. 624 del codice penale. Sebbene la Corte territoriale avesse escluso l’aggravante della recidiva e ridotto la pena, l’imputato decideva comunque di presentare ricorso per cassazione, contestando la qualificazione giuridica del fatto e la misura della sanzione.
I Motivi del Ricorso e l’Inammissibilità Ricorso Penale
L’imputato ha basato il suo ricorso su due argomenti principali, entrambi ritenuti dalla Suprema Corte manifestamente privi di fondamento, determinando così l’inammissibilità del ricorso penale.
1. Errata qualificazione del reato: Il primo motivo contestava la configurazione del furto come ‘consumato’. Secondo la difesa, il fatto avrebbe dovuto essere riqualificato come ‘tentato furto’, poiché l’imputato aveva avuto la disponibilità del bene sottratto solo per un brevissimo lasso di tempo prima dell’intervento casuale di un terzo. Su questa premessa, si invocava anche l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
2. Eccessività della pena: Il secondo motivo criticava la quantificazione della pena, ritenuta sproporzionata. La difesa lamentava una mancanza di motivazione specifica e dettagliata da parte della Corte d’Appello sul calcolo della sanzione.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi con argomentazioni chiare e in linea con la giurisprudenza consolidata.
Sul primo punto, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il reato di furto si considera consumato nel momento stesso in cui il soggetto agente acquisisce l’esclusiva signoria di fatto sul bene, anche se per un periodo di tempo molto breve. L’eventuale intervento successivo di un terzo che interrompe il possesso è irrilevante ai fini della consumazione del reato. Pertanto, la richiesta di riqualificare il fatto in ‘tentato’ era palesemente infondata. Di conseguenza, anche la richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p., basata sull’erroneo presupposto del tentativo, è stata respinta, in quanto il ricorso non censurava adeguatamente l’iter logico della sentenza impugnata.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha osservato che la pena detentiva era stata fissata al minimo edittale e quella pecuniaria in una misura inferiore alla media. In tali circostanze, non è richiesta una motivazione particolarmente analitica da parte del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva comunque fatto riferimento alla ‘offensività del fatto’, fornendo una giustificazione congrua e sufficiente per la pena inflitta. Anche questo motivo, quindi, è stato giudicato manifestamente infondato.
Le Conclusioni
La decisione finale della Corte è stata quella di dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Questa pronuncia comporta conseguenze significative per il ricorrente: oltre alla conferma della condanna, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha giustificato questa sanzione aggiuntiva ravvisando ‘profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione’.
In conclusione, questa ordinanza serve da monito: la presentazione di un ricorso in Cassazione deve basarsi su motivi solidi e giuridicamente pertinenti. L’impugnazione di una sentenza con argomenti manifestamente infondati non solo è destinata all’insuccesso, ma espone anche a sanzioni economiche, in quanto costituisce un uso improprio dello strumento processuale.
Quando si considera consumato un reato di furto?
Il reato di furto si considera consumato nel momento in cui l’agente acquisisce l’esclusiva signoria di fatto sul bene sottratto, anche se per un tempo molto breve. L’intervento successivo di un terzo non è rilevante per escludere la consumazione.
Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono ‘manifestamente infondati’, ovvero quando non si confrontano adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata o si basano su presupposti giuridici palesemente errati, senza alcuna possibilità di accoglimento.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in caso di colpa nell’aver proposto l’impugnazione, anche al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21330 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME: COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna che, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, perché estinto per prescrizione, ha escluso la recidiva, e rideterminato in mitius la pena per il reato di cui al ‘art. 624 cod. pen. in relazione al quale ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato;
ritenuto che:
il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e non si è confrontato con la motivazione del provvedimento impugnato – che ha esposto le ragioni in forza delle quali ha affermato che l’imputato ha conseguito, sia pure per breve tempo, l’esclusiva signoria di fatto sul bene, correttamente negando rilievo, al fine di escludere la consumazione del furto, il successivo intervento casuale di un estraneo (cfr. Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, S., Rv. 274016 – 01) – e ha perorato la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. peri. nel presupposto della riqualificazione di esso come furto tentato, senza censurare compiutamente l’iter della sentenza impugnata senza neppure addurre il travisamento della prova (cfr. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 – 01; conf. Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01);
il secondo motivo è manifestamente infondato, considerato che la pena detentiva è stata irrogata nella misura minima e quella pecuniaria è inferiore al medio edittale, non occorrendo dunque una specifica e dettagliata motivazione (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME Papa, Rv. 276288 – 01), essendo senz’altro congruo quanto esposto dalla Corte di merito allorché ha dato conto dell’offensività del fatto;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/02/2024.