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Inammissibilità ricorso patteggiamento: la Cassazione

Un soggetto condannato tramite patteggiamento per reati legati a stupefacenti e armi ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la mancata verifica di cause di non punibilità da parte del giudice. La Corte Suprema ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso patteggiamento, sottolineando che i motivi addotti erano generici e, soprattutto, non rientravano tra quelli tassativamente previsti dalla legge per impugnare una sentenza di questo tipo. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: La Guida Completa alla Decisione della Cassazione

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale che offre una via accelerata per la definizione del giudizio penale. Tuttavia, la sua natura di accordo tra accusa e difesa impone limiti stringenti alla possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’inammissibilità del ricorso contro il patteggiamento, ribadendo principi fondamentali di specificità e tassatività dei motivi di ricorso.

Il Contesto del Caso Giudiziario

Il caso in esame ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Bergamo. L’imputato aveva concordato una pena per una serie di reati, tra cui la detenzione di sostanze stupefacenti di lieve entità (ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990) e violazioni in materia di armi (art. 4 della legge 110/1975), unificati dal vincolo della continuazione.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo di impugnazione.

I Motivi del Ricorso e l’Inammissibilità Ricorso Patteggiamento

Il ricorrente ha lamentato un presunto vizio di motivazione da parte del giudice di merito. A suo dire, il giudice avrebbe omesso di compiere una verifica fondamentale prima di ratificare il patteggiamento: l’accertamento dell’assenza di cause di non punibilità, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

La Genericità delle Censure

La Corte di Cassazione ha immediatamente rilevato una debolezza cruciale nell’argomentazione del ricorrente. Le censure proposte sono state definite “prive di specificità”. In pratica, il ricorso si limitava a enunciare un principio di diritto (l’obbligo del giudice di verificare le cause di proscioglimento) senza però indicare alcun elemento fattuale concreto che avrebbe dovuto spingere il giudice a tale verifica nel caso specifico. Mancava qualsiasi riferimento a circostanze che potessero far dubitare della colpevolezza dell’imputato.

I Limiti Tassativi dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Il punto centrale della decisione, tuttavia, risiede nell’analisi dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca in modo tassativo i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Il motivo sollevato dal ricorrente, ovvero la mancata verifica ex art. 129 c.p.p., non rientra in questo catalogo chiuso. Di conseguenza, il ricorso era “non consentito” dalla legge stessa.

La Decisione della Corte di Cassazione

Sulla base di queste considerazioni, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Tale decisione ha comportato due conseguenze per il ricorrente:

1. La condanna al pagamento delle spese processuali.
2. La condanna al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende, una sanzione pecuniaria dovuta alla colpa del ricorrente nell’aver promosso un’impugnazione palesemente infondata.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri del diritto processuale penale. Il primo è il principio di specificità dei motivi di ricorso: non è sufficiente lamentare la violazione di una norma in astratto, ma è necessario dimostrare come quella violazione si sia concretizzata nel caso specifico, fornendo elementi di fatto a supporto. Il secondo, ancora più dirimente in questo contesto, è il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. L’ordinamento giuridico stabilisce precisamente quali decisioni possono essere impugnate e per quali motivi. Nel caso del patteggiamento, il legislatore ha scelto di limitare fortemente la possibilità di ricorso per garantire la stabilità e l’efficienza di questo rito speciale. Il ricorso era quindi destinato all’inammissibilità ricorso patteggiamento fin dall’origine, poiché basato su argomentazioni estranee al perimetro legale.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un importante monito sulla disciplina delle impugnazioni delle sentenze di patteggiamento. Conferma che il ricorso per Cassazione non può essere utilizzato come un terzo grado di giudizio per rimettere in discussione l’accordo tra le parti su basi generiche o non previste dalla legge. La scelta di patteggiare implica una rinuncia a far valere determinate difese nel merito. Qualsiasi tentativo di aggirare questa logica attraverso impugnazioni non consentite non solo è destinato al fallimento, ma espone il ricorrente a sanzioni economiche significative, come la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende, a causa della manifesta infondatezza e della colpa nell’intraprendere un’azione giudiziaria futile.

È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, non è possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi per cui si può ricorrere. Il ricorso è inammissibile se si basa su motivi diversi da quelli previsti dalla legge.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni principali: era privo di specificità, in quanto non indicava elementi fattuali a sostegno della richiesta, e si basava su motivi non inclusi nel catalogo di quelli consentiti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. per le sentenze di patteggiamento.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
In base a quanto stabilito in questa ordinanza, quando l’inammissibilità è dovuta a colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende. In questo caso, la somma era di 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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