Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Fissa i Paletti
Quando si può impugnare una sentenza di patteggiamento? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a chiarire i confini, sottolineando la netta distinzione tra l’illegalità della pena e la sua semplice entità. Questo provvedimento conferma un principio fondamentale del nostro sistema processuale penale: l’accordo sulla pena, una volta raggiunto, può essere messo in discussione solo in casi eccezionali. L’analisi di questa decisione aiuta a comprendere meglio la logica dietro l’inammissibilità del ricorso per patteggiamento quando si contestano profili puramente discrezionali.
I Fatti del Caso
Un soggetto, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Tribunale una sentenza di applicazione della pena (il cosiddetto patteggiamento) per un reato legato agli stupefacenti, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando una violazione dell’art. 133 del codice penale. In sostanza, il ricorrente non contestava che la pena fosse illegale, ovvero non prevista dalla legge o superiore ai massimi edittali, ma ne criticava l’entità, ritenendola sproporzionata. Il suo ricorso si concentrava quindi su un aspetto commisurativo, ovvero sulla valutazione discrezionale che ha portato alla quantificazione della pena base concordata tra le parti.
La Questione dell’Inammissibilità Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione. La decisione si fonda su una norma specifica del codice di procedura penale, l’articolo 448, comma 2-bis. Questa disposizione limita drasticamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Il legislatore ha voluto che l’accordo tra accusa e difesa, una volta ratificato dal giudice, avesse una stabilità quasi definitiva, salvo vizi particolarmente gravi.
La Corte ha specificato che il ricorso è ammesso solo se si denunciano vizi che rendono la pena “illegale”. Per pena illegale si intende una sanzione che l’ordinamento giuridico non prevede affatto per quel reato, oppure una pena che, per specie o quantità, eccede i limiti massimi stabiliti dalla legge. Al contrario, non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione per rimettere in discussione l’adeguatezza o la congruità della pena concordata, in quanto tale valutazione rientra nell’accordo volontario tra le parti.
Le Motivazioni della Cassazione
Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e dirette. I giudici hanno ribadito che l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, preclude un ricorso che deduca motivi non legati all’illegalità della pena. Contestare l’entità della sanzione, lamentando una presunta violazione dei criteri di commisurazione dell’art. 133 c.p., significa criticare un aspetto discrezionale coperto dall’accordo stesso. L’imputato, accettando il patteggiamento, rinuncia a contestare la congruità della pena in cambio dei benefici processuali previsti dal rito speciale.
La Corte, citando un proprio precedente (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019), ha spiegato che la nozione di “pena illegale” ha un perimetro ben definito e non può essere estesa per includere profili di mera valutazione discrezionale. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile de plano, ovvero con una procedura semplificata, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis c.p.p., data la manifesta infondatezza dei motivi. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende, ravvisando una colpa nella proposizione di un’impugnazione palesemente preclusa dalla legge.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. L’istituto del patteggiamento si basa su un patto processuale che, una volta siglato, non può essere rimesso in discussione se non per vizi di legalità intrinseca della pena. Le parti che scelgono questo rito devono essere consapevoli che la valutazione sulla congruità della sanzione si esaurisce con l’accordo. La decisione della Cassazione serve da monito: un ricorso basato su motivi non consentiti, come la critica all’entità della pena, non solo verrà dichiarato inammissibile, ma comporterà anche la condanna a sanzioni economiche. Per gli operatori del diritto, ciò significa dover consigliare attentamente i propri assistiti sui limiti dell’impugnazione, evitando ricorsi temerari e destinati a un sicuro fallimento.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per contestare l’entità della pena concordata?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., il ricorso è inammissibile se contesta profili legati alla commisurazione e all’entità della pena, in quanto questi aspetti sono coperti dall’accordo tra le parti.
Cosa si intende per “pena illegale” ai fini dell’impugnazione di un patteggiamento?
Per pena illegale si intende una sanzione che non è prevista dall’ordinamento giuridico per il reato contestato, oppure una pena che, per specie (es. ergastolo invece di reclusione) o per quantità (es. superiore al massimo previsto dalla legge), viola i limiti legali.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso senza esame del merito, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle Ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1579 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1579 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a BARI il 02/12/2004
avverso la sentenza del 15/05/2024 del TRIBUNALE di BARI
!dato aiviso alle parti;
udita la relazion -e – – s – volt ‘a dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che con sentenza del 15/05/2024, pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Bari ha applicato a Barbetta Ivan la pena concordata in relazione al reato di all’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/90.
Rilevato che il motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione dell’art. 133 cod.pen. e si censura l’entità della pena base concordata, è inammissibile, non profilandosi aspetti di illegalità della pena.
Va ricordato che è inammissibile ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. il ricorso per cassazione che deduca motivi concernenti, non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa (Sez.5, n. 19757 del 16/04/2019, Rv.276509 – 01).
Ritenuto pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, de plano a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 06/12/2024