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Inammissibilità ricorso patteggiamento: i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati contro una sentenza di patteggiamento. Gli imputati contestavano la determinazione della pena, ma la Corte ha stabilito che tale motivo non rientra tra quelli ammessi dalla legge per impugnare un patteggiamento, confermando l’inammissibilità del ricorso patteggiamento. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Fissa i Paletti

L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie principali per la definizione alternativa dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, quali sono i margini di impugnazione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla questione, confermando la stretta interpretazione delle norme che regolano l’inammissibilità del ricorso patteggiamento quando le censure riguardano la congruità della pena. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Due soggetti, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, ottenevano dal Giudice per le Indagini Preliminari una sentenza di applicazione della pena (il cosiddetto patteggiamento) per il reato di concorso in materia di stupefacenti, previsto dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990. Non soddisfatti della pena concordata, decidevano di presentare ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione in relazione alla determinazione della sanzione penale. In sostanza, contestavano quella che a loro avviso era una «mancata adeguata valutazione della gravità del reato».

I Limiti al Ricorso e l’Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento

Il cuore della questione giuridica risiede nei limiti imposti dal legislatore all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione contro tale tipo di sentenza. Tra questi non figura una generica contestazione sulla valutazione della gravità del fatto ai fini della quantificazione della pena.

I ricorrenti, con le loro doglianze, si sono mossi al di fuori di questo perimetro normativo. La loro critica non verteva su un errore di diritto nella qualificazione del fatto o sull’illegalità della pena applicata, ma sulla discrezionalità del giudice nel ponderare gli elementi del reato, un’attività che con il patteggiamento viene di fatto superata dall’accordo tra le parti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato i ricorsi inammissibili in modo netto e conciso. Gli Ermellini hanno evidenziato che le censure proposte erano “estranee al catalogo di quelle previste dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.”.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accordo sulla pena, una volta ratificato dal giudice, cristallizza la valutazione sulla sua congruità. Pertanto, non è consentito rimettere in discussione in sede di legittimità gli aspetti valutativi che hanno condotto a quella determinata sanzione. La decisione si fonda sulla natura stessa del patteggiamento, che implica una rinuncia delle parti a contestare il merito della pena in cambio dei benefici previsti dalla legge.

Inoltre, la Corte ha ravvisato una “colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità”, condannando entrambi i ricorrenti non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro ciascuno a favore della Cassa delle Ammende. Questa sanzione sottolinea la responsabilità di chi intraprende un’impugnazione palesemente infondata.

Le Conclusioni

La pronuncia in commento rafforza la stabilità delle sentenze di patteggiamento e chiarisce inequivocabilmente che le porte della Cassazione sono chiuse per chi intende rinegoziare la pena concordata attraverso critiche generiche sulla sua adeguatezza. L’inammissibilità del ricorso patteggiamento per tali motivi è una conseguenza diretta della scelta processuale compiuta dall’imputato. Per poter impugnare, è necessario che il ricorso si fondi su uno dei vizi specificamente elencati dalla norma, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’applicazione di una pena illegale. Questa decisione serve da monito: il patteggiamento è un accordo che, una volta siglato, preclude ripensamenti sul quantum della pena, salvo i ristretti casi previsti dalla legge.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento contestando la quantificazione della pena?
No, in generale non è possibile. La Corte ha stabilito che contestare la ‘mancata adeguata valutazione della gravità del reato’ non rientra tra i motivi di ricorso ammessi dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. contro una sentenza di patteggiamento.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso 3.000 euro) in favore della Cassa delle Ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un ricorso non consentito dalla legge.

Perché la Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili perché le doglianze sollevate, relative alla valutazione della gravità del reato per determinare la pena, sono estranee al catalogo dei motivi per i quali è possibile ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento, come specificato dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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