Inammissibilità Ricorso Patteggiamento: Quando l’Appello è Destinato a Fallire
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una via processuale rapida per la definizione di molti procedimenti penali. Tuttavia, l’accesso a questo rito speciale comporta delle precise limitazioni, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce la rigorosa applicazione delle norme che regolano l’inammissibilità del ricorso per patteggiamento, delineando un perimetro molto chiaro per le doglianze ammissibili. Il caso in esame offre un esempio emblematico di come un motivo di ricorso non previsto dalla legge porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
I Fatti del Caso: Un Patteggiamento Contestato
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal G.i.p. del Tribunale di Salerno. L’imputato, d’accordo con il Pubblico Ministero, aveva concordato una pena di quattro anni di reclusione e 20.000,00 euro di multa per un delitto legato agli stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990.
Successivamente, la difesa dell’imputato ha presentato ricorso per Cassazione avverso tale sentenza. Il motivo della contestazione era peculiare: si lamentava il fatto che il giudice, prima di ratificare l’accordo, avesse invitato le parti a riconsiderare l’entità della pena pecuniaria. Questo invito era finalizzato ad adeguare la multa a una modifica normativa che aveva interessato i limiti edittali del reato. Secondo la difesa, questo intervento del giudice costituiva una violazione di legge meritevole di censura in sede di legittimità.
I Limiti all’Appello e l’Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha immediatamente focalizzato la questione sul piano procedurale, richiamando la disciplina specifica che regola le impugnazioni delle sentenze di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione contro una tale sentenza.
Questo elenco è molto restrittivo e non include doglianze generiche o relative alle modalità con cui si è formato l’accordo tra le parti, a meno che non si traducano in vizi specifici come un difetto di consenso. La lamentela del ricorrente, relativa all’invito del giudice a modificare la pena pecuniaria, è stata ritenuta dalla Corte un motivo non contemplato dalla norma. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato a priori inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha motivato la sua decisione in modo netto e conciso. In primo luogo, ha stabilito che la doglianza sollevata dalla difesa era palesemente estranea al catalogo dei motivi di ricorso consentiti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Tale norma limita l’impugnazione a questioni ben definite, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena, ma non si estende a censure sull’interlocuzione tra giudice e parti durante la formazione dell’accordo.
In secondo luogo, i giudici hanno rilevato la genericità del motivo addotto, che non specificava in che modo l’intervento del G.i.p. avesse concretamente violato una norma di legge. Questa combinazione di fattori – motivo non consentito e genericità dell’esposizione – ha configurato una chiara ragione di inammissibilità del ricorso per patteggiamento. La Corte ha quindi applicato la procedura semplificata di cui all’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che permette una rapida definizione dei ricorsi palesemente inammissibili.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione
La declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze dirette per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese del procedimento. In secondo luogo, il versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge.
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento implica una sostanziale rinuncia a far valere determinate contestazioni nelle fasi successive del giudizio. Chi opta per questo rito deve essere consapevole che le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate e circoscritte a vizi specifici e gravi. Tentare di forzare questi limiti con motivi non previsti dalla legge si traduce non solo in un insuccesso processuale, ma anche in un onere economico aggiuntivo.
È possibile appellare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. L’ordinanza chiarisce che il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo per i motivi specificamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Motivi non previsti, come quello sollevato nel caso di specie, rendono il ricorso inammissibile.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende. Nel caso esaminato, la somma è stata quantificata in tremila euro.
L’intervento del giudice che invita le parti a modificare l’accordo sulla pena può essere un motivo valido di ricorso?
Secondo questa ordinanza, no. La Corte di Cassazione ha ritenuto che contestare l’invito del giudice a riconsiderare l’entità della pena pecuniaria non rientri tra i motivi validi di impugnazione previsti dalla legge per le sentenze di patteggiamento, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4006 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 4006 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, n. Salerno DATA_NASCITA avverso la sentenza n. 369/23 del G.i.p. Tribunale di Salerno del 28/06/2023
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME
rilevato
che il G.i.p. del Tribunale di Salerno, in accoglimento della sua richiesta concordata con il Pubblico Ministero, ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la pena di quatto anni di reclusione e 20.000,00 di multa in ordine al delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo violazione di legge per avere il giudicante invitato le parti a riconsiderare l’entità della pena pecuniaria originariamente concordata al fine di adeguarla alla modifica normativa che aveva rimodulato i limiti edittali della previsione di legge applicata;
che è stato, dunque, dedotto – oltre tutto in maniera del tutto generica – un motivo di doglianza inammissibile poiché non contemplato dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., configurandosi di conseguenza una ragione di declaratoria di inammissibilità del ricorso con procedura semplificata ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.;
che alla dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro tremila
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.