Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19843 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19843 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME e NOME,
Ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, è inammissibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso, ed anche perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito;
che, il giudice di appello ha, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, esplicitato le ragioni del suo convincimento alle pp. 1-4 della sentenza impugnata ove sostiene l’attendibilità della persona offesa, la quale ha sempre espresso i fatti coerentemente e dettagliatamente ricevendo un riscontro esterno da documenti ed ulteriori testimonianze, al contrario delle dichiarazioni delle sorelle NOME che risultano inverosimili, contraddittorie e smentite dagli elementi probatori;
Ritenuto che il secondo ed il terzo motivo di ricorso che contestano la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, oltre ad essere inammissibili poiché reiterativi dei motivi già proposti in sede di appello, sono generici perché fondati su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici;
che, invero, la mancanza di specificità del motivo, dalla quale, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), deriva l’inammissibilità, si desume dalla mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, in ragione della motivazione esente da vizi fornita dal giudice del merito in relazione all’elemento soggettivo alla base del reato contestato al capo 2), da cui si evince, a pagine 5-6 della sentenza impugnata, il ruolo di ‘procacciatori di affari’ delle odierne imputate, le quali hanno fatto da tramite tra la persona offesa e la NOME, comunicando le condizioni usurarie del prestito e riscuotendo le relative somme;
che, circa il reato di estorsione di cui all’art. 629 cod. pen., il giudice di meri ha assolto al dovere argomentativo a pagina 6 della sentenza impugnata, ove ha richiamato gli elementi probatori posti alla base della dichiarazione di responsabilità, quali, ad esempio, le testimonianze della NOME, già ritenuta persona credibile ed attendibile, oltre che ricordando la consolidata giurisprudenza di merito circa la possibilità di concorso tra i reati di usura ed estorsione, soprattutto considerando che nel caso in esame, l’elemento costitutivo dell’estorsione dell’ingiusto profitto è pienamente integrato dall’interesse usurario conseguito dalle imputate;
Ritenuto che il quarto motivo di ricorso che contesta l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, come emerge dalle pagine 6-7 della sentenza impugnata, in cui il giudice di merito chiarisce la non sussistenza di elementi positivi a favore delle imputate, soprattutto in considerazione della gravità della condotta che si caratterizza per l’aver approfittato dello stato di bisogno e disperato della vittima, l’elevatissim tasso di interesse usurario e l’entità del danno economico causato;
Rilevato che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024.