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Inammissibilità ricorso: motivi generici e ripetitivi

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato da due sorelle condannate per usura ed estorsione. I motivi del ricorso sono stati giudicati generici, ripetitivi di quelli già presentati in appello e volti a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La decisione sottolinea l’importanza di formulare ricorsi specifici, che contestino vizi di legge e non il merito della valutazione probatoria del giudice. L’ordinanza conferma la condanna e la pena inflitta dalla Corte d’Appello, ritenuta congrua e ben motivata.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso in Cassazione: Quando i Motivi Sono Generici

Presentare un ricorso in Cassazione richiede una tecnica giuridica precisa e rigorosa. Non è una terza istanza di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti, ma una sede in cui si valuta la corretta applicazione della legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la genericità e la ripetitività dei motivi portino inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità ricorso. Analizziamo il caso di due sorelle condannate per aver agito come intermediarie in gravi reati di usura ed estorsione.

I Fatti alla Base della Vicenda Processuale

La vicenda giudiziaria ha origine dalla denuncia di una persona offesa, caduta nella rete di un prestito a tassi usurari. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, due sorelle avevano svolto un ruolo cruciale di ‘procacciatrici d’affari’. Esse fungevano da tramite tra la vittima e la persona che materialmente erogava il denaro, comunicando le condizioni illecite del prestito e occupandosi della riscossione delle somme. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto pienamente attendibile la testimonianza della persona offesa, corroborata da altri elementi probatori, e aveva evidenziato l’inverosimiglianza e le contraddizioni nelle dichiarazioni delle imputate.

L’Analisi della Cassazione e l’Inammissibilità del Ricorso

Le imputate hanno presentato ricorso in Cassazione, articolandolo su diversi motivi. La Suprema Corte, tuttavia, li ha rigettati tutti, dichiarando il ricorso inammissibile. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione, che costituiscono una lezione fondamentale sulla tecnica di redazione dei ricorsi di legittimità.

La Reiterazione dei Motivi d’Appello

Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso contestavano la correttezza della motivazione che aveva portato alla condanna. La Cassazione ha rilevato come tali motivi non fossero altro che una ‘pedissequa reiterazione’ di quelli già presentati e respinti dalla Corte d’Appello. In pratica, la difesa non ha sollevato specifiche critiche alla sentenza di secondo grado per vizi di legittimità, ma ha tentato di riproporre le stesse argomentazioni fattuali. Questo approccio è inammissibile, poiché la Cassazione non può effettuare una nuova valutazione delle prove, ma solo verificare la logicità e la coerenza giuridica della motivazione del giudice di merito.

La Questione della Pena

Un ulteriore motivo di ricorso riguardava l’eccessività della pena inflitta. Anche su questo punto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale decisione può essere sindacata in Cassazione solo se la motivazione è assente, manifestamente illogica o contraddittoria. Nel caso di specie, i giudici d’appello avevano adeguatamente giustificato la loro decisione, considerando elementi come la gravità della condotta, l’aver approfittato dello stato di bisogno della vittima, l’elevato tasso di interesse usurario e l’entità del danno economico causato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato l’inammissibilità del ricorso sulla base di diversi principi procedurali. In primo luogo, la mancanza di specificità dei motivi, che si limitavano a riproporre argomenti già discussi senza un confronto critico con le ragioni della decisione impugnata. In secondo luogo, il tentativo di ottenere una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di merito, compito precluso alla Corte di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta esente da vizi logici e giuridici, avendo spiegato chiaramente perché la versione della persona offesa fosse attendibile e quella delle imputate no. Infine, per quanto riguarda la pena, si è ribadito che la sua quantificazione è un potere discrezionale del giudice di merito, esercitato nel rispetto degli articoli 132 e 133 del codice penale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

Questa ordinanza è un monito per ogni difensore: il ricorso per cassazione deve essere un atto mirato a censurare specifici errori di diritto o vizi logici della motivazione, non un’occasione per ridiscutere il merito della causa. La ‘pedissequa reiterazione’ dei motivi d’appello e la richiesta di una nuova valutazione delle prove sono strategie destinate al fallimento, che portano non solo alla conferma della condanna ma anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La specificità e la pertinenza dei motivi sono i pilastri fondamentali per superare il vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano generici, costituivano una semplice ripetizione di quelli già respinti in appello e miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità.

È possibile contestare l’entità della pena davanti alla Corte di Cassazione?
No, di regola non è possibile. La determinazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione è manifestamente illogica, contraddittoria o assente, cosa che non si è verificata in questo caso.

Qual era il ruolo delle imputate secondo la sentenza impugnata?
Secondo la sentenza, le imputate agivano come ‘procacciatrici di affari’, ovvero intermediarie. Mettevano in contatto la vittima con il prestatore di denaro, comunicavano le condizioni usurarie del prestito e si occupavano della riscossione delle somme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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