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Inammissibilità ricorso: motivazione pena infondata

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato contro la rideterminazione della pena. A seguito di un’assoluzione parziale per il reato di ricettazione, la pena era stata ridotta. L’imputato lamentava la mancanza di una dettagliata motivazione sui calcoli. La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, stabilendo che per una riduzione minima della pena non è necessaria un’analitica specificazione dei parametri, essendo sufficiente che la pena finale sia congrua. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: Quando la Motivazione sulla Pena è Sufficiente

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: i limiti dell’obbligo di motivazione del giudice nella determinazione della pena, specialmente a seguito di una modifica del capo d’imputazione. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato, chiarendo che non sempre è richiesta una spiegazione analitica dei passaggi di calcolo della sanzione, soprattutto quando la variazione è minima. Analizziamo i dettagli di questa pronuncia per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna per i reati di estorsione e ricettazione. In seguito, l’imputato veniva assolto dall’accusa di ricettazione (prevista dall’art. 648 c.p.), il che rendeva necessario un ricalcolo della pena complessiva, originariamente fissata in cinque anni e quattro mesi di reclusione. La Corte d’Appello, eliminando la porzione di pena relativa al reato venuto meno, rideterminava la sanzione finale.

L’imputato, non soddisfatto della decisione, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando proprio le modalità con cui la pena era stata ricalcolata. A suo avviso, la Corte territoriale non aveva adeguatamente motivato i criteri seguiti per giungere alla nuova quantificazione, eliminando una porzione di pena (due mesi) ritenuta esigua rispetto alla pena base per il reato di ricettazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi ritenuti pretestuosi o infondati.

Le Motivazioni sull’Inammissibilità del Ricorso

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui i giudici hanno respinto le doglianze. La Suprema Corte ha stabilito un principio di economia processuale e di logica giuridica: quando la riduzione della pena è di minima entità, non è necessario che il giudice di merito espliciti ogni singolo passaggio matematico o logico che ha portato a quel risultato.

Secondo la Corte:

1. Esiguità della Pena Eliminata: La pena eliminata (due mesi) era talmente esigua, rispetto sia alla pena originaria sia a quella minima prevista per il reato di ricettazione, da non richiedere l’individuazione di specifici parametri ulteriori per giustificarla. La decisione era, in sostanza, auto-evidente nella sua logica.
2. Irrilevanza delle Modalità di Calcolo: Le specifiche modalità di calcolo seguite, incluse quelle relative alla diminuente del rito, non sono rilevanti ai fini della legittimità della decisione, poiché la riduzione è stata correttamente operata sulla pena finale complessiva.
3. Carenza di Interesse del Ricorrente: L’imputato non ha un interesse giuridicamente tutelato a dolersi della mancata enunciazione di tutti i singoli passaggi che hanno portato alla pena finale indicata nel dispositivo. Ciò che conta è che la pena finale sia legale e correttamente determinata nel suo ammontare complessivo.

In pratica, la Corte ha affermato che un’eccessiva parcellizzazione della motivazione non è richiesta se il risultato finale è giusto e proporzionato. Tentare di sindacare tali calcoli minimali costituisce un motivo di ricorso manifestamente infondato, che non supera il vaglio di ammissibilità.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un importante principio: il processo di Cassazione non è una terza istanza di merito dove si possono ridiscutere tutti gli aspetti della sentenza, compresi i dettagli del calcolo della pena, a meno che non emerga una palese illegalità o una manifesta illogicità. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso serve a filtrare le impugnazioni che non presentano vizi sostanziali, garantendo l’efficienza del sistema giudiziario.

Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: un ricorso basato esclusivamente sulla pretesa di una motivazione “a tutti i costi” su ogni minimo dettaglio del calcolo sanzionatorio, in assenza di un errore evidente, è destinato all’insuccesso. L’interesse dell’imputato si concentra sulla correttezza della pena finale, non sulla pedissequa elencazione di ogni passaggio aritmetico intermedio.

Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile quando i motivi su cui si basa sono manifestamente infondati, ovvero quando le argomentazioni del ricorrente sono palesemente prive di fondamento giuridico e non evidenziano alcuna violazione di legge da parte del giudice precedente.

È sempre necessario che il giudice spieghi in dettaglio come ha ricalcolato la pena dopo un’assoluzione parziale?
No. Secondo questa ordinanza, se la modifica della pena è di entità minima, non è necessaria una dettagliata e analitica spiegazione dei singoli passaggi di calcolo. È sufficiente che la diminuzione sia operata sulla pena finale e che il risultato sia congruo e legale.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, per aver azionato inutilmente la macchina della giustizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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