Inammissibilità ricorso in Cassazione: i limiti alla valutazione della tenuità del fatto
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una terza valutazione del merito della causa. La pronuncia di inammissibilità del ricorso ha evidenziato come le doglianze relative all’applicazione della particolare tenuità del fatto e al bilanciamento delle circostanze, se non denunciano un vizio di legge o una manifesta illogicità, si scontrano con i limiti del sindacato della Suprema Corte.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo, ritenuto colpevole del reato previsto dall’art. 22, comma 12, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). La pena stabilita era di sei mesi di reclusione e cinquemila euro di multa.
Nel corso del giudizio di merito, erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, le quali erano state però giudicate equivalenti alla contestata recidiva infraquinquennale, senza quindi portare a una diminuzione della pena finale.
I Motivi dell’Inammissibilità Ricorso alla Suprema Corte
L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo essenzialmente su due ordini di motivi:
1. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si lamentava l’omesso riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, denunciando una violazione di legge e una motivazione contraddittoria e illogica.
2. Errato bilanciamento delle circostanze: Si contestava il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la recidiva, sostenendo che le prime avrebbero dovuto essere considerate prevalenti.
La Decisione della Corte e le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto che le censure mosse dal ricorrente non potessero superare il vaglio preliminare di ammissibilità. La ragione di fondo risiede nella natura stessa delle doglianze, le quali, secondo i giudici, erano “interamente versate in fatto e tendenti a provocare una rivalutazione nel merito ad opera di questa Corte”.
In altre parole, l’imputato non stava contestando un errore di diritto o un’irragionevolezza palese della motivazione della Corte d’Appello, ma stava chiedendo alla Cassazione di riesaminare le prove e le valutazioni già compiute dai giudici di merito, un’operazione non consentita in sede di legittimità.
Per quanto riguarda l’esclusione della particolare tenuità del fatto, la Corte ha specificato che la motivazione dei giudici di merito era adeguata. Essi avevano basato la loro decisione sul “complessivo disvalore del fatto”, ritenendolo sufficiente a negare il beneficio. La Cassazione ha richiamato il principio secondo cui, per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è sufficiente una motivazione che dia conto dell’assenza anche di uno solo dei presupposti richiesti dalla norma. Allo stesso modo, la valutazione sul bilanciamento tra recidiva e attenuanti è stata giudicata “completa ed esaustiva”.
Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata è stata considerata “lineare, logica e priva di profili di forme di incoerenza”.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un concetto cruciale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio. Non si può utilizzare questo strumento per rimettere in discussione le valutazioni fattuali operate dai giudici di primo e secondo grado, a meno che non si dimostri un vizio logico macroscopico o una palese violazione di legge. La decisione sul riconoscimento della particolare tenuità del fatto e sul bilanciamento delle circostanze rientra nell’ambito delle valutazioni discrezionali del giudice di merito che, se sorrette da una motivazione coerente e non manifestamente illogica, diventano insindacabili in sede di legittimità. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta, inoltre, la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei necessari requisiti di ammissibilità.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le lamentele sollevate non denunciavano vizi di legge o illogicità manifeste della motivazione, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti del caso. Questa operazione non è permessa alla Corte di Cassazione, che si limita a un controllo di legittimità.
Qual è il motivo per cui non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
I giudici di merito hanno escluso l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale considerando il “complessivo disvalore del fatto”. La Corte di Cassazione ha confermato che è sufficiente una motivazione che spieghi l’assenza di anche uno solo dei presupposti richiesti dalla norma per negare tale beneficio.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la sua colpa, anche al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20648 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20648 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti;
Esaminati il ricorso e il provvedimento impugNOME;
Rilevato che, con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Civitavecchia del 06/10/2022, che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 22 comma 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e, per l’effetto, lo aveva condanNOME – previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, computate con il criterio della equivalenza, rispetto alla contestata recidiva infraquinquennale – alla pena di mesi sei di reclusione ed euro cinquemila di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali;
Rilevato che ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, denunciando violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’omesso riconoscimento dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen. e, in subordine, lamentand contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione adottata e, infine, dolendosi del mancato computo delle concesse circostanze attenuanti generiche secondo il regime della prevalenza, rispetto alla contestata recidiva;
Ritenuto che le doglianze non possano oltrepassare il vaglio preliminare di ammissibilità, in quanto semplicemente volte a denunciare inesistenti aspetti di contraddittorietà e illogicità, oltre che interamente versate in fatto e tendenti provocare una rivalutazione nel merito ad opera di questa Corte, ossia al compimento di una operazione non consentita in sede di legittimità. Invero, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen., laddove si tratti di element considerato, evidentemente, decisivo (Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678).
Ebbene, i Giudici del merito hanno ritenuto di non poter applicare l’istituto ex art. 131-bis cod. pen. de quo, considerando il complessivo disvalore del fatto. Completa ed esaustiva è anche la valutazione compiuta, in tema di criterio di bilanciamento della recidiva, rispetto alle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione, in definitiva, risulta lineare, logica e priva di profili di form di incoerenza; la sentenza impugnata è destinata, pertanto, a restare immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità;
Ritenuto che alla dichiarazione di inammissibilità debba conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.