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Inammissibilità ricorso: limiti alla tenuità del fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato condannato per un reato previsto dalla legge sull’immigrazione. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso, relativi alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e al bilanciamento delle circostanze, costituivano un tentativo di rivalutare il merito della vicenda, operazione non consentita in sede di legittimità. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso in Cassazione: i limiti alla valutazione della tenuità del fatto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una terza valutazione del merito della causa. La pronuncia di inammissibilità del ricorso ha evidenziato come le doglianze relative all’applicazione della particolare tenuità del fatto e al bilanciamento delle circostanze, se non denunciano un vizio di legge o una manifesta illogicità, si scontrano con i limiti del sindacato della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo, ritenuto colpevole del reato previsto dall’art. 22, comma 12, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). La pena stabilita era di sei mesi di reclusione e cinquemila euro di multa.

Nel corso del giudizio di merito, erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, le quali erano state però giudicate equivalenti alla contestata recidiva infraquinquennale, senza quindi portare a una diminuzione della pena finale.

I Motivi dell’Inammissibilità Ricorso alla Suprema Corte

L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo essenzialmente su due ordini di motivi:

1. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si lamentava l’omesso riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, denunciando una violazione di legge e una motivazione contraddittoria e illogica.
2. Errato bilanciamento delle circostanze: Si contestava il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la recidiva, sostenendo che le prime avrebbero dovuto essere considerate prevalenti.

La Decisione della Corte e le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto che le censure mosse dal ricorrente non potessero superare il vaglio preliminare di ammissibilità. La ragione di fondo risiede nella natura stessa delle doglianze, le quali, secondo i giudici, erano “interamente versate in fatto e tendenti a provocare una rivalutazione nel merito ad opera di questa Corte”.

In altre parole, l’imputato non stava contestando un errore di diritto o un’irragionevolezza palese della motivazione della Corte d’Appello, ma stava chiedendo alla Cassazione di riesaminare le prove e le valutazioni già compiute dai giudici di merito, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

Per quanto riguarda l’esclusione della particolare tenuità del fatto, la Corte ha specificato che la motivazione dei giudici di merito era adeguata. Essi avevano basato la loro decisione sul “complessivo disvalore del fatto”, ritenendolo sufficiente a negare il beneficio. La Cassazione ha richiamato il principio secondo cui, per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è sufficiente una motivazione che dia conto dell’assenza anche di uno solo dei presupposti richiesti dalla norma. Allo stesso modo, la valutazione sul bilanciamento tra recidiva e attenuanti è stata giudicata “completa ed esaustiva”.

Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata è stata considerata “lineare, logica e priva di profili di forme di incoerenza”.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un concetto cruciale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio. Non si può utilizzare questo strumento per rimettere in discussione le valutazioni fattuali operate dai giudici di primo e secondo grado, a meno che non si dimostri un vizio logico macroscopico o una palese violazione di legge. La decisione sul riconoscimento della particolare tenuità del fatto e sul bilanciamento delle circostanze rientra nell’ambito delle valutazioni discrezionali del giudice di merito che, se sorrette da una motivazione coerente e non manifestamente illogica, diventano insindacabili in sede di legittimità. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta, inoltre, la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei necessari requisiti di ammissibilità.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le lamentele sollevate non denunciavano vizi di legge o illogicità manifeste della motivazione, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti del caso. Questa operazione non è permessa alla Corte di Cassazione, che si limita a un controllo di legittimità.

Qual è il motivo per cui non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
I giudici di merito hanno escluso l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale considerando il “complessivo disvalore del fatto”. La Corte di Cassazione ha confermato che è sufficiente una motivazione che spieghi l’assenza di anche uno solo dei presupposti richiesti dalla norma per negare tale beneficio.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la sua colpa, anche al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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