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Inammissibilità ricorso: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato da due imputati condannati per associazione di tipo mafioso. I motivi, incentrati sulla presunta incompatibilità di un giudice e su generiche violazioni di legge, sono stati ritenuti manifestamente infondati e aspecifici. La Corte ha quindi condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, ribadendo i rigorosi limiti dell’impugnazione in sede di legittimità.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso: Quando un’Impugnazione è Destinata al Fallimento

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti e i requisiti formali del giudizio di legittimità, sottolineando le conseguenze dell’inammissibilità del ricorso. Questo provvedimento chiarisce perché non basta sentirsi ingiustamente condannati per ottenere una revisione della sentenza, ma è necessario formulare censure precise e legalmente fondate. Analizziamo insieme la decisione per comprendere i principi di diritto applicati.

I Fatti di Causa

Due soggetti, condannati in secondo grado dalla Corte d’Appello di Torino per il grave reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), decidevano di presentare ricorso per Cassazione. La Corte territoriale aveva già parzialmente riformato la sentenza di primo grado, mitigando il trattamento sanzionatorio, ma aveva confermato la loro responsabilità penale. I ricorrenti, attraverso atti separati, hanno cercato di scardinare la decisione di condanna basandosi su vizi procedurali e di merito.

I Motivi del Ricorso e la Dichiarazione di Inammissibilità

I motivi presentati sono stati due e ben distinti, ma entrambi giudicati inadeguati dalla Suprema Corte, portando a una inevitabile declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Il primo motivo, sollevato da uno dei ricorrenti, denunciava una presunta violazione delle norme sull’incompatibilità del giudice (art. 36 c.p.p.). In pratica, si sosteneva che uno dei giudici del collegio d’appello non avrebbe dovuto partecipare al processo.

Il secondo motivo, proposto da entrambi, lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione. Tuttavia, le censure sono state considerate dalla Corte come “patentemente generiche”, ovvero formulate in modo vago e senza un confronto critico con le argomentazioni della sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive, fornendo chiarimenti preziosi sulla corretta interpretazione delle norme procedurali.

Sul primo motivo, relativo all’incompatibilità del giudice, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’eventuale causa di incompatibilità, se non viene rilevata dal giudice stesso con una dichiarazione di astensione o contestata tempestivamente dalla parte con un’istanza di ricusazione, non determina la nullità della sentenza. Nel caso specifico, la richiesta di astensione del giudice era già stata respinta dall’organo competente (il Presidente della Corte distrettuale), chiudendo di fatto ogni possibilità di sollevare la questione in Cassazione. La procedura era stata rispettata, e quindi non vi era alcun vizio deducibile.

Sul secondo motivo, la Corte ha spiegato che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non stabilire se i fatti si siano svolti in un modo o in un altro. I ricorrenti si erano limitati a proporre una lettura alternativa delle prove, senza individuare specifici errori giuridici o palesi illogicità nel ragionamento della Corte d’Appello. Questo approccio rende il motivo generico e, di conseguenza, inammissibile.

Infine, la Corte ha applicato l’art. 616 del codice di procedura penale. La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma alla Cassa delle ammende. Questa sanzione aggiuntiva scatta quando l’inammissibilità è “evidente”, denotando una colpa da parte di chi ha presentato un ricorso palesemente infondato, sprecando risorse giudiziarie.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per chiunque intenda impugnare una sentenza penale. Non è sufficiente contestare la decisione, ma è fondamentale farlo nel rispetto delle rigide regole procedurali. Il ricorso in Cassazione deve basarsi su motivi specifici, pertinenti e legalmente validi. Proporre censure generiche o tentare di ottenere una nuova valutazione del merito dei fatti non solo è inutile, ma espone anche a significative conseguenze economiche. La decisione riafferma la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, garante della corretta interpretazione della legge e non giudice dei fatti.

La potenziale incompatibilità di un giudice rende sempre nulla la sentenza?
No. Secondo la Corte, se la questione non viene correttamente gestita attraverso gli istituti dell’astensione (su iniziativa del giudice) o della ricusazione (su istanza di parte) nei tempi e modi previsti, non incide sulla capacità del giudice e non costituisce motivo di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 178 c.p.p.

Perché un motivo di ricorso viene definito ‘generico’ e quindi inammissibile?
Un motivo è ‘generico’ quando non contiene una critica specifica e argomentata contro la decisione impugnata, ma si limita a riproporre le tesi difensive o a offrire una diversa valutazione dei fatti. Il ricorso per Cassazione deve evidenziare un errore di diritto o un vizio logico della motivazione, non può essere un pretesto per un nuovo esame del merito.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 c.p.p., la parte che ha presentato il ricorso inammissibile è condannata al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se l’inammissibilità è ritenuta evidente e dovuta a colpa del ricorrente, la Corte lo condanna anche al pagamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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