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Inammissibilità ricorso: la Cassazione e le prove

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da due imputati condannati per traffico di stupefacenti. La Corte ha respinto i motivi relativi alla riqualificazione del reato, ai presunti vizi di notifica e all’utilizzabilità delle intercettazioni, confermando la validità della testimonianza dell’operante sul loro contenuto e la correttezza procedurale delle notifiche al difensore.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: Quando la Cassazione Chiude la Porta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6841 del 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi e sull’utilizzo delle prove derivanti da intercettazioni. La decisione riguarda due imputati condannati per gravi reati legati al traffico di stupefacenti, il cui tentativo di ribaltare la sentenza di appello si è scontrato con una declaratoria di inammissibilità del ricorso. Questo caso offre lo spunto per analizzare i limiti entro cui è possibile contestare una condanna in sede di legittimità e come vengono valutate le prove captative nel processo penale.

I Fatti del Processo

Il percorso giudiziario ha origine da una sentenza del Tribunale di Verona, che condannava due soggetti per una serie di reati, tra cui tentata rapina pluriaggravata e, soprattutto, acquisto, cessione e importazione di sostanze stupefacenti. La Corte d’Appello di Venezia aveva parzialmente riformato la decisione, dichiarando prescritto uno dei reati ma confermando la responsabilità penale degli imputati per le altre accuse, pur mitigando la pena. Contro questa sentenza, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I difensori hanno articolato i loro ricorsi su diversi fronti.

Il primo imputato ha lamentato la mancata riqualificazione del reato di spaccio in un’ipotesi di lieve entità (prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990). A suo dire, i giudici di merito non avrebbero considerato il numero limitato di acquirenti e l’esiguità dei quantitativi sequestrati, elementi che avrebbero dovuto condurre a una valutazione di minor gravità del fatto.

Il secondo imputato ha sollevato questioni procedurali più complesse:
1. Vizio di motivazione: Contestava la conferma della condanna basata, a suo avviso, su intercettazioni non supportate da altre prove e sulla deposizione di un operante, nonostante l’assenza dell’imputato dal territorio nazionale per un certo periodo.
2. Violazione di legge sull’uso di prove: Criticava l’utilizzo di elementi probatori provenienti da un altro procedimento penale a carico del fratello.
3. Nullità per omessa notifica: Sosteneva la nullità assoluta del giudizio per non aver mai ricevuto notifiche personali degli atti, avendo appreso delle accuse solo tramite il difensore d’ufficio.
4. Prescrizione: Chiedeva che i reati fossero dichiarati estinti per decorso del tempo.

La Decisione e l’analisi sull’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. Questa decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei motivi proposti, ritenuti infondati o meramente reiterativi di questioni già adeguatamente risolte nei gradi di merito.

Le Motivazioni

Per quanto riguarda il primo ricorrente, la Corte ha sottolineato come la sua richiesta di riqualificazione fosse una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva correttamente evidenziato la gravità dei fatti basandosi sulle conversazioni intercettate, che rivelavano l’intenzione di movimentare quantitativi rilevanti di sostanza (si parlava di “2, 3, 5 quello che vuoi”) e conteggi economici di svariate migliaia di euro, elementi incompatibili con un’ipotesi di “lieve entità”.

Ancor più articolata è la motivazione relativa al secondo ricorrente.

Sulla questione delle notifiche, la Cassazione ha chiarito che queste erano state ritualmente eseguite presso il difensore di fiducia, dove l’imputato aveva eletto domicilio. La nullità, pertanto, era insussistente. Inoltre, la Corte ha evidenziato come lo stesso imputato avesse inviato una memoria difensiva alla Corte d’Appello, dimostrando di essere pienamente a conoscenza del processo a suo carico.

Sull’utilizzo delle intercettazioni, i giudici hanno smontato la tesi difensiva. In primo luogo, hanno accertato che le intercettazioni erano state regolarmente acquisite agli atti del processo di primo grado, con tanto di incarico peritale per la loro trascrizione. In secondo luogo, hanno ribadito un principio fondamentale: il contenuto di una conversazione intercettata può essere provato anche tramite la deposizione testimoniale dell’operante che ha condotto le indagini. La prova è costituita dalla registrazione (la “bobina”), non necessariamente dalla sua trascrizione formale. La mancata trascrizione non determina né nullità né inutilizzabilità.

Infine, la Corte ha respinto la doglianza sulla prescrizione, calcolando che il termine massimo, anche applicando la normativa più favorevole, non era ancora decorso al momento della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce alcuni principi cardine del processo penale. In primo luogo, un ricorso per cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni fattuali già respinte dai giudici di merito, ma deve individuare specifici vizi di legittimità. In secondo luogo, conferma la piena validità delle notifiche effettuate al difensore domiciliatario, ponendo a carico dell’imputato l’onere di mantenere i contatti con il proprio legale. Infine, e forse è il punto di maggior interesse pratico, cristallizza la regola secondo cui la testimonianza di un agente di polizia giudiziaria sul contenuto delle intercettazioni è una fonte di prova pienamente legittima, sgombrando il campo da possibili equivoci sul valore della trascrizione. Una decisione che rafforza gli strumenti investigativi e chiarisce i confini dell’impugnazione in sede di legittimità.

La testimonianza di un poliziotto sul contenuto di un’intercettazione è una prova valida in un processo?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato anche attraverso la deposizione testimoniale di un operante di polizia. La prova principale è la registrazione stessa e la sua trascrizione formale non è un requisito indispensabile per la sua utilizzabilità.

Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se ripropone le stesse questioni già decise in appello?
Sì, uno dei motivi che ha portato all’inammissibilità del ricorso è stato proprio il suo carattere meramente reiterativo. La Cassazione non riesamina i fatti, ma giudica la corretta applicazione della legge; riproporre le stesse argomentazioni già valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza indicare un chiaro errore di diritto, porta a una declaratoria di inammissibilità.

Se un imputato viene notificato solo presso il suo avvocato, la notifica è valida?
Sì, la sentenza chiarisce che le notifiche effettuate presso il difensore di fiducia presso cui l’imputato ha eletto domicilio sono pienamente valide. Nel caso specifico, la Corte ha ulteriormente sottolineato che l’imputato era di fatto a conoscenza del procedimento, avendo anche inviato una memoria difensiva alla Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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