Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6841 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 6841  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME, nato a Crotone il DATA_NASCITA
Oggi, 15 FEB, 2024
COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 22/02/2023 dalla Corte d’Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
letta la memoria del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22/02/2023, la Corte d’Appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Verona, in data 11/06/2015, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione ai reati, loro rispettivamente ascritti, di ten rapina pluriaggravata, illecito acquisto e successiva cessione di sostanze stupefacenti (capi b e c, contestati al NOME in concorso), nonché di illecito acquisto e successiva cessione di sostanze stupefacenti, e di importazione delle medesime sostanze (capi f e g, contestati al COGNOME in concorso).
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In particolare, la Corte d’Appello dichiarava non doversi procedere in ordine al reato sub b, estinto per prescrizione, eliminando la relativa pena inflitta a COGNOME e mitigando, in relazione ad entrambi gli imputati, il trattamento sanzionatorio loro rispettivamente irrogato.
 Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione dei fatti ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Si censura la sentenza per essersi la Corte territoriale limitata (come già il primo giudice) a “leggere” l intercettazioni in atti e a dar rilievo alla personalità del COGNOME, interlocutore de COGNOME, senza tener conto del limitato numero degli acquirenti di quest’ultimo, e alla esiguità dei quantitativi sequestrati a tali acquirenti. Si sostiene che COGNOME, al più, aveva tentato di aumentare la propria disponibilità di sostanza senza peraltro disporre delle necessarie disponibilità economiche.
 Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
3.1. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità. Si censura la sentenza per avere la Corte, da un lato, condiviso i rilievi difensivi circa l’assenza di prove desumibili dalle intercettazioni, e – d’a lato – contraddittoriamente confermato la condanna, attribuendo valore decisivo alla deposizione dell’operante, esclusivamente fondata sulle predette intercettazioni (nonostante il ricorrente fosse in Albania dal novembre 2004 e non fosse mai stato visto dagli investigatori in operazioni di scambio di sostanza o di altro genere). Si lamenta il reingresso, attraverso la deposizione del teste operante, del contenuto di intercettazioni non acquisite agli atti, non sottoposte al vaglio della difesa e perciò inutilizzabili.
3.2. Violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen. Si censura il mancato apprezzamento della autonomia esistente tra la sentenza irrevocabile pronunciata nei confronti del coimputato, fratello del ricorrente, e la “diversa regiudicanda, relativamente all’utilizzabilità delle prove comuni ai due procedimenti”, posto che l’acquisibilità della sentenza irrevocabile non può essere intesa nel senso di autorizzare un “ingresso improprio” degli elementi di prova accertati in quella sede.
3.3. Violazione di legge per omessa notifica ex art. 179 cod. proc. pen. Si censura la sentenza per non aver dichiarato la nullità assoluta ed insanabile del giudizio, “risultando omessa ogni notifica all’imputato” e non potendo ritenersi idonee le notifiche al difensore di ufficio, non avendo il COGNOME conoscenza delle contestazioni a lui rivolte nel procedimento in cui non aveva mai eletto domicilio.
2.4. Estinzione dei reati per prescrizione, calcolata secondo la previdente normativa.
 Con memoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, attesa la loro manifesta infondatezza.
Con memoria e documentazione allegata, il difensore sviluppa il terzo motivo di ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso e – in subordine degli altri motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 I ricorsi sono inammissibili.
 Iniziando dalla posizione del COGNOME, deve osservarsi che l’unico motivo di ricorso, con cui ci si duole del mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui a comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, appare meramente reiterativo di una prospettazione già esaminata e motivatamente disattesa dalla Corte territoriale.
In particolare, quest’ultima ha escluso la configurabilità dell’ipotesi liev all’esito di una valutazione congiunta e coordinata delle conversazioni relative alle varie fasi nnonitorate: l’invito del COGNOME al fornitore straniero COGNOME ad arrivare con la sostanza (“vieni giù con i tuoi amici…mi raccomando porta 2, 3, 5 quello che vuoi”); l’arrivo del COGNOME, successivamente incontratosi con il COGNOME e l’altro imputato COGNOME; i conteggi interni tra i predetti, dell’ordine di svariate migliaia di Euro e perciò ritenuti indicativi della rilevanza del quantitat pervenuto in Italia posto che protagonisti).
Si tratta di un percorso argomentativo immune da censure qui deducibili, soprattutto alla luce dell’ulteriore rilievo della Corte territoriale, secondo cui era stata fornita alcuna concreta spiegazione alternativa ai traffici emergenti dalle intercettazioni e alle conseguenti rivendicazioni economiche: avendo anzi la prospettazione accusatoria ricevuto un definitivo avallo dalla conversazione intercorsa dopo l’arresto del NOME, in cui il NOME avvisa il NOME del fatto che il telefono “non è più sicuro” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
 Anche il ricorso del COGNOME è inammissibile.
3.1. Prendendo le mosse – per evidenti ragioni logico-sistematiche – dal terzo motivo di ricorso, deve osservarsi che nella iniziale prospettazione (pag. 9 del ricorso) era stata dedotta la nullità assoluta conseguente alla omissione di “ogni notifica all’imputato (sia dell’avviso ex art. 415 bis c.p,p, che di tutti gl successivi)” e alla conseguente mancata conoscenza del processo da parte di quest’ultimo, che non aveva “mai eletto domicilio” nel procedimento.
Tale prospettazione – già disattesa dalla Corte d’Appello, per la tardività dell’eccezione relativa all’art. 415-bis e la piena ritualità delle notifiche in p grado, effettuate presso il difensore di fiducia presso cui il COGNOME aveva eletto domicilio – è stata peraltro modificata con la memoria in atti, in cui la difesa (dando atto della correttezza della notifica al difensore domiciliatario pur dopo la rinunci al mandato) ha dedotto la nullità conseguente alla mancata notifica del decreto
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introduttivo del giudizio d’appello, effettuata non già presso il domicilio eletto mai modificato, ma presso i nuovi difensori di fiducia nominati, ai sensi del comma 8bis dell’art. 157.
Deve peraltro osservarsi, al riguardo, che è stata la stessa difesa a ricondurre correttamente la nullità in questione tra quelle a regime intermedio (sul punto, cfr. Sez. U, Sentenza n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271771 – 01); quanto poi alla deduzione per cui il COGNOME non avrebbe avuto conoscenza del processo in appello, va evidenziato che la censura non si confronta con quanto precisato nella sentenza impugnata circa il fatto che l’imputato, “in vista del processo di secondo grado, ha inviato alla Corte una memoria, nella quale, dopo aver premesso di essere non solo laureato in giurisprudenza, ma di essere diventato notaio in Albania, ha sollevato una serie di questioni procedurali, non indicate dal difensore di fiducia nell’atto di appallo” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
3.2. Per ciò che riguarda i primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, va evidenziato che le censure difensive postulano la mancata acquisizione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, e lamentano una contraddittorietà motivazionale in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, che aveva censurato la motivazione del primo giudice salvo poi considerare rituale la deposizione dell’operante, che aveva riferito proprio sugli esiti dell’attivit captativa.
Tale prospettazione, che non trova alcun riscontro nelle sentenze dei giudici di merito e nello stesso ricorso del COGNOME (che si duole solo della lettura delle “intercettazioni in atti”, non certo della loro mancanza), risulta altresì smentit dagli atti del processo di primo grado, consultati da questa Suprema Corte in considerazione della tipologia di censure sollevate. Emerge infatti che all’udienza del 26/01/2012, alla presenza anche del difensore del COGNOME, venne conferito l’incarico peritale per la trascrizione delle intercettazioni.
Occorre poi evidenziare che nessuna contraddizione sussiste nelle argomentazioni della Corte d’Appello, che per un verso ha stigmatizzato la tecnica motivazionale del primo giudice (limitatosi ad una letterale trascrizione della sentenza, ormai irrevocabile, emessa nei confronti del fratello del COGNOME), e – per altro verso – ha ampiamente quanto doverosamente integrato l’apparato argomentativo a sostegno della decisione di condanna, facendo leva soprattutto sull’ampia ricostruzione delle attività di indagine compiuta dall’operante escusso. Questi aveva infatti riferito le circostanze di segno accusatorio relative sia al capo f (mancato ritrovamento, da parte del fratello del ricorrente, dell’involucro contenente oltre mezzo chilo di cocaina che il COGNOME aveva nascosto nel campo di un contadino, e che era stato tempestivamente prelevato dagli operanti, all’esito di un servizio mirato di o.c.p.; successiva vivace discussione tra i fratelli COGNOME sulla sorte dello stupefacente), sia al capo g (cfr. pag. 9: gli operanti, venuti conoscenza della preparazione di un’importazione di un carico di droga in arrivo dall’Albania, avevano rinvenuto e sequestrato kg. 2,2 all’interno di un’auto
intestata al COGNOME, sbarcata al porto di Ancona e condotta da una cugina o compagna del ricorrente. Dopo l’arresto, i fratelli COGNOME avevano concordato una linea difensiva da far sostenere alla difesa della donna, secondo cui ella s limitata a recuperare la vettura dopo che era stata rubata, ignorando che vi f stato inserito lo stupefacente).
Il ricorrente lamenta che la deposizione dell’operante abbia fatto riferime alle intercettazioni, che sarebbero così impropriamente entrate nel processo. tesi è del tutto infondata, alla luce di quanto già in precedenza evidenzi dell’indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «in tema intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni intercettate può e provato anche mediante deposizione testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme della perizia, atteso che la p costituita dalla bobina o dalla cassetta, che l’art. 271, comma 1, cod. proc. non richiama la previsione dell’art. 268, comma 7, cod. proc. pen. tr disposizioni la cui inosservanza determina l’inutilizzabilità e che la man trascrizione non è espressamente prevista né come causa di nullità, né riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine generale tipizzate dall’art. 1 proc. pen.» (Sez. 3, n. 2507 del 28/10/2021, dep. 2022, Schiariti, Rv. 28269 01).
Le considerazioni già svolte in ordine alla “intraneità” delle risultanze capt evidenziano la manifesta infondatezza anche dell’ulteriore doglianza relativa a pretesa impossibilità di sollevare eccezioni sulle risultanze medesime, che differenza di quanto sostenuto – non hanno fatto ingresso attraverso l’acquisizi della sentenza irrevocabile emessa nei confronti del fratello del COGNOME.
3.3. Manifestamente infondata è anche la residua censura, non essendo ancora decorso il termine massimo prescrizionale anche tenendo conto della pregressa e più favorevole normativa (dal combinato disposto degli artt. 157 160 cod. pen., emergeva un termine massimo prescrizionale di ventidue anni e sei mesi, ben lungi dall’essere decorso).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle s processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle sp processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 16 gennaio 2023
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