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Inammissibilità ricorso: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con ordinanza, dichiara l’inammissibilità ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto che le censure sulla tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. costituissero una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso: Quando la Valutazione dei Fatti Blocca l’Appello in Cassazione

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità e delle conseguenze di un’impugnazione che tenta di superare tali confini. La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità ricorso presentato da un imputato, ribadendo un principio cardine del nostro sistema processuale: la Suprema Corte non è un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni giuridiche alla base della decisione.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato dalla Corte d’Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione, basando le proprie difese principalmente su due punti. In primo luogo, ha invocato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale. In secondo luogo, ha mosso censure relative all’accertamento della sua responsabilità e alla ricostruzione dei fatti. Tuttavia, un elemento cruciale ha pesato su questa seconda linea difensiva: l’avvenuta rinuncia ai motivi d’appello correlati.

La Decisione della Corte: l’Inammissibilità Ricorso

La Corte di Cassazione ha respinto in toto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando l’appello inammissibile. La decisione si fonda su una netta distinzione tra la valutazione dei fatti, di competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), e il controllo di legittimità, proprio della Cassazione.

Il Rigetto della Causa di Non Punibilità

Il motivo più significativo del ricorso riguardava l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La difesa sosteneva che il reato commesso fosse di lieve entità. Tuttavia, la Cassazione ha osservato come la Corte d’Appello avesse già escluso questa possibilità con una motivazione precisa e logica. I giudici di merito avevano infatti valorizzato la “particolare intensità del dolo”, desunta dall'”arbitrarietà dell’allontanamento e dalla violazione dei permessi”.
Secondo la Suprema Corte, questa non è una valutazione errata in diritto, ma un’analisi del fatto. Poiché la motivazione della Corte d’Appello non presentava vizi logici evidenti, essa non può essere messa in discussione in sede di legittimità. Tentare di farlo equivarrebbe a chiedere alla Cassazione una “diversa ed autonoma rivalutazione”, compito che non le spetta.

Le Altre Censure e la Rinuncia ai Motivi d’Appello

Per quanto riguarda le critiche all’accertamento della responsabilità, la Corte le ha ritenute inammissibili per una ragione ancora più netta. Il ricorrente aveva già rinunciato a tali motivi nel precedente grado di giudizio, rendendo la loro riproposizione in Cassazione del tutto preclusa.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si ancora saldamente al ruolo istituzionale che le è proprio. Il giudizio di Cassazione non serve a stabilire se i fatti si siano svolti in un modo o in un altro, ma a garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle norme processuali. Le valutazioni sull’intensità del dolo, sulla gravità della condotta o sulla credibilità di una testimonianza sono tipiche del giudizio di merito.
Quando un giudice di merito fornisce una giustificazione logica e coerente per la sua decisione, come nel caso di specie, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella precedente. L’inammissibilità ricorso scatta proprio quando l’impugnazione, pur mascherandosi da critica legale, mira in realtà a ottenere un nuovo esame dei fatti.

Le Conclusioni

La dichiarazione di inammissibilità non è priva di conseguenze pratiche. Ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, essa comporta automaticamente la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha condannato l’imputato al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione volta a scoraggiare impugnazioni palesemente infondate o dilatorie. Questa pronuncia ribadisce quindi un avvertimento fondamentale: il ricorso per cassazione deve essere fondato su vizi di legittimità concreti e non può essere utilizzato come un tentativo di rimettere in discussione l’intera vicenda processuale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure presentate, in particolare quella relativa alla tenuità del fatto, riguardavano valutazioni di merito già adeguatamente e logicamente motivate dalla Corte d’Appello, e quindi non riesaminabili in sede di legittimità. Inoltre, le altre critiche erano state oggetto di precedente rinuncia.

La Corte di Cassazione può riesaminare l’intensità del dolo di un imputato?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare l’intensità del dolo. Questa è una valutazione che attiene al merito dei fatti, di esclusiva competenza dei giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello). Il ruolo della Cassazione è solo quello di verificare che la motivazione su tale punto sia logica e non contraddittoria.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso specifico è stata quantificata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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